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Vince il NO al Referendum costituzionale col 60% di voti

Ultimo Aggiornamento: 03/12/2016 16:14
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Referendum costituzionale, l’appello di Pasquino: “Macché efficienza e risparmi, 10 No a riforme da mercato delle pulci”
Referendum costituzionale, l’appello di Pasquino: “Macché efficienza e risparmi, 10 No a riforme da mercato delle pulci”
Politica
di F. Q. | 14 maggio 2016
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Più informazioni su: Gianfranco Pasquino, Italicum, Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, Referendum Costituzionale 2016, Riforme Costituzionali
Pubblichiamo l’appello per il No al referendum costituzionale di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’università di Bologna, già sottoscritto da Carlo Galli, Marco Valbruzzi e Maurizio Viroli.

PER VOI CHE RAGIONATE E NON PLEBISCITATE
C’E’ CHI CI METTE LA FACCIA, NOI CI METTIAMO LA TESTA

“Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei princìpi di parte, volessero darci una Costituzione che non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente).

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1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che sicuramente è una ottima costituzione. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è indispensabile fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili.

2. No, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessita’ di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce con una motivazione che accarezza l’antipolitica “risparmiare soldi” (ma non sarà così che in minima parte) e perché la legge elettorale Porcellum ha prodotto due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania e Gran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. No, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei Deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili tensioni e conflitti fra senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti del popolo, ancorche’ nominati dai capipartito.

3. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo. Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat, non quella del modello misto francese, peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque senatori nominate dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti, difficilmente accertabili, meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Inopinatamente, a cento senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre seicentotrenta deputati ne eleggeranno tre. E’ uno squilibrio intollerabile.

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4. No, non è vero che e’ tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del “si’” ne’ a favore del “no”, di tutta l’erba un fascio. Però, no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL.

5. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo non recepisce nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi probabilmente peggiorativi della situazione attuale. No, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello di Renzi all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.

6. No, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Il governo continuerà le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Limitazioni dei decreti e delle richieste di fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. L’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà, che non fa quasi mai rima con capacità, e di punire i disobbedienti.

7. No, la riforma non interviene affatto sul governo e e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: i) è un deterrente contro i facitori di crisi governative per interessi partigiani o personali (non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); ii) si (deve) accompagna(re) a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.

8. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica (magari dopo le 20.38 per non apparire nei telegiornali più visti).

9. No, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia”. Noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta, sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori, referendum, semmai da definirsi oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare). Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.

10. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali confuse e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.

Quello che sta passando non è affatto l’ultimo trenino delle riformette. Molti, purtroppo, non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lunga migliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. No, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da mercato delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la apre ai secondi e alle loro proposte e da tempo scritte e disponibili.


www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/14/referendum-costituzionale-lappello-di-pasquino-macche-efficienza-e-risparmi-10-no-a-riforme-da-mercato-delle-pulci/...
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Firenze, referendum: sulla Costituzione Libertà e Giustizia fa il pieno all'OdeonFirenze, referendum: sulla Costituzione Libertà e Giustizia fa il pieno all'Odeon
Paul Ginsborg
Fra gli interventi, applaudito Zagrebelsky

di MICHELE BOCCI
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02 giugno 2016
5
La sala del cinema Odeon di Firenze è strapiena. Centinaia di persone e posti in piedi. Libertà e Giustizia ha organizzato l'incontro "Il futuro della Repubblica. 70 anni di vita civile". Il maltempo ha modificato parte dell'iniziaticva che prevedeva una lettura itinerante della Costituzione italiana nelle piazze e nelle strade del centro. DAlle 14 è invece cominciata la maratona degli interventi all'Odeon coordinati sul palco a Norma Rangeri e Sandra Bonsanti. Fra gli altri hanno parlato Carlo Smuraglia, Gustavo Zagrebelsky, Paul Ginsgborg, Nadia Urbinati, Tomaso Montanari, Marco Travaglio e altri.
"Temevamo che ci fossero quattro gatti perché ci si mette contro interessi importanti e invece siamo tanti" ha esordito fra gli applausi Zagrebelsky. "Se ci fosse qui il ministro Boschi le chiederei cosa c'è scritto nell'articolo 70 della Costituzione...- ha proseguito - Questo referendum è una grande occasione, avevamo preso una china di rassegnazione invece siamo qui a impegnarci". Zagrebelsky come molti degli interventi che si sono succeduti all'Odeon è schierato per il no: "Come diceva Foa: sembravano inconvenienti e invece erano opportunità" ha continuato. Poi la ha affrontato poi l'articolo 1 in cui si dice che il "Lavoro deve essere un motivo di emancipazione e i diritti non sono doni ricevuti con il beneplacito del potere. La Repubblica deve essere fondata non sulla finanza ma sul lavoro. Ha detto anche che i veri beni repubblicani spesso sono immateriali come la scuola la salute
o i beni comuni". Quindi l'affondo al Governo: "Dicono di non aver toccato la prima parte della carta Costituzionale, ma questo è successo perché non ne avevano bisogno. Perché si accaniscono sul Senato e cambiano la legge elettorale? Perché il loro obiettivo non è la Costituzione, ma la vittoria politica per assicurarsi anni di potere incontrastato nel nostro paese:ç è questo che ci deve fare paura.
Applausi.


firenze.repubblica.it/cronaca/2016/06/02/news/firenze_liberta_e_giustizia-141156249/?ref...
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Mario Monti dice No al referendum: "Non posso legittimare un modo di generare consenso basato su elargizioni"


"A me risulta impossibile dare il mio voto ad una costituzione che contiene alcune cose positive e altre negative, ma che - per essere varata - sembra avere richiesto una ripresa in grande stile di quel metodo di governo che a mio giudizio è il vero responsabile - molto più dei limiti della costituzione attuale - dei mali più gravi dell’Italia: evasione fiscale, corruzione, altissimo debito pubblico". Parole perentorie, quelle dell'ex premier Mario Monti, che in un'intervista al Corriere della Sera annuncia il suo No al referendum sulla riforma costituzionale.

Monti spiega così le ragioni del suo No alla riforma costituzionale.

"Non mi convince un Senato così ambiguamente snaturato, nella composizione e nelle funzioni. Meglio sarebbe stato abolirlo. Ci possono essere risparmi nel costo della politica in senso stretto, ma il vero costo della politica non è quello, che pure si deve ridurre, per il personale della politica. È nel combinato disposto fra la costituzione, attuale o futura, e metodo di governo con il quale si è lubrificata da tre anni l’opinione con bonus fiscali, elargizioni mirate o altra spesa pubblica perché accettasse questo. Ho riflettuto a lungo in proposito".
Sui timori, in Europa, di un successo del fronte del No al referendum, Monti getta acqua sul fuoco.

"Non credo che l’Europa prema per questa riforma costituzionale, e sarebbe molto grave se lo facesse. E poi l’Ue non ha nessun potere di entrare nelle questioni costituzionali, salvo che discendano da specifici atti che sono stati decisi come il fiscal compact. In questi mesi si discute di una riforma costituzionale anche in Grecia, il più sorvegliato di tutti i Paesi, ma non c’è alcuna pressione su questo punto dal resto d’Europa. Naturalmente l’Unione europea è interessata alla performance dell’Italia, come di tutti gli altri Paesi, quindi vede volentieri stabilità e governabilità. Ma ai miei interlocutori spiego che non credo che ci sarebbe un vuoto di potere in Italia, Renzi potrebbe restare anche se vincesse il No o l’attuale maggioranza potrebbe esprimere un nuovo governo".
Un concetto che l'ex premier ribadisce anche in un altro passaggio dell'intervista.

"Se vincesse il No non sparirebbero gli investitori esteri. Se vincesse il Sì non sparirebbe ogni democrazia. E la Ue, che peraltro non ha mai chiesto questa modifica della costituzione, può stare tranquilla. L’Italia non rischia, come cinque anni fa, di cadere e di travolgere l’euro. Non c’è bisogno che la Ue perda credibilità come arbitro, dando l’idea che se non si dà una dose aggiuntiva di flessibilità all’Italia, vincerebbero ‘i populisti’. I populismi si affrontano promuovendo crescita e occupazione, non autorizzando i governi nazionali ad utilizzare risorse delle generazioni future per avere più consenso oggi".
In caso di vittoria del No, per Monti non ci sarebbe bisogno di un passo indietro da parte di Renzi

"Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza.»«Non vedo ragioni per cui Matteo Renzi dovrebbe lasciare in caso di una vittoria del No, come sostengono molti sostenitori del No e aveva affermato all’inizio lo stesso premier. Ma anche nell’ipotesi che lasciasse, non vedrei particolari sconvolgimenti. Toccherà al Capo dello Stato decidere, ma penso che sarebbe facilmente immaginabile una sostanziale continuazione dell’assetto di governo attuale con un altro premier facente parte della maggioranza".
Nel mirino di Monti anche una delle motivazioni che Renzi utilizza per spingere il fronte del Sì.

"A sentire alcuni ormai sembra improponibile qualunque sistema in cui non si conosce il vincitore la sera stessa. Eppure in Germania non solo non lo si conosce la domenica sera, ma a volte bisogna aspettare mesi. Eppure poi si arriva a un programma chiaro, ben definito e tale da limitare patti fra arcangeli o nazareni. Per quanto mi riguarda mi sono gradualmente convinto sempre più che i problemi dell'Italia non dipendono tanto dalla forma costituzionale e dalla legge elettorale, ma da alcuni connotati fondamentali: l'evasione, la corruzione e una classe politica che usa il denaro degli italiani di domani come una barriera contro la propria impopolarità".


www.huffingtonpost.it/2016/10/18/monti-referendum_n_12534294.html?1476774067&utm_hp_r...
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www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/02/promemoria-referendum-marco-travaglio-e-le-dieci-pillole-per-non-sbagliare-prima-parte/...
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