Trump e le tasse: così ha risparmiato milioni di dollari
Nel giorno in cui Donald Trump accusa il fondatore di Amazon Jeff Bezos di usare il Washington Post per influenzare la politica e ottenere aiuti sulle tasse, Usa Today ricostruisce il rapporto dell’ormai certo candidato repubblicano con il famigerato Irs (l’agenzia delle Entrate americana). Le aziende di Trump - è il risultato dell’indagine - sono state coinvolte in almeno cento cause tributarie per tasse non pagate o controversie su quanto le sue aziende dovevano realmente all’erario in almeno quattro stati, New York, Nevada, Florida e New Jersey.
Nell’ultimo anno, precisamente da giugno 2015, da quando cioè Trump ha lanciato la sua corsa alla Casa Bianca, almeno cinque compagnie del suo gruppo nello stato di New York hanno ricevuto un’ingiunzione per tasse non pagate o pagate in ritardo il cui totale ammonta a più di 13mila dollari. In primavera l’agenzia delle tasse di New York ha tentato di recuperare 8.578 dollari dalla compagnia di Trump che possiede il Boeing 737 che porta scritto il suo congome e con cui si muove per fare campagna elettorale nel paese. Negli ultimi 27 anni, solo a New York, le aziende di Trump hanno accumulato morosità per 300mila dollari. La regola Trump per le tasse è sempre stata fare causa per pagare meno: nel 2006 rivolgendosi alla Tax Commission è riuscito a pagare 3 milioni in meno sulla Trump Tower, dal 1999 ha fatto causa sei volte per le tasse sul grattacielo che porta il suo cognome. Quasi ogni anno dai primi anni 80 allo scorso marzo, calcola Usa Today che si basa su documenti e resoconti delle cause in tribunale, le aziende del costruttore newyorkese hanno ingaggiato battaglie legali che gli hanno permesso di risparmiare milioni di dollari.
In verità la cosa non stupisce più di tanto perché Trump, già restio a rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi («non sono affari vostri», ripete), ha candidamente affermato «ho sempre cercato di pagare meno tasse possibile», non una scelta occasionale ma una strategia «ho sempre lottato come un diavolo perché la tassa è una spesa. Ho i migliori avvocati e i migliori consulenti, e combatto, e pago. Ma è una spesa». Se l’americano medio che lui intercetta così bene dimentica che il magnate è un miliardario, si può pure immedesimare con queste parole.
E a guardare le ricchezze personali che il magnate sbandiera come punto di forza e come tale è percepito da un elettorato che ammira chi ha tanti soldi, le somme contestate nell’ultimo anno sembrano poca roba. Interessante sarà comunque vedere se, in questa inedita campagna presidenziale, almeno le tasse non pagate possono mettere in difficoltà Trump. Non solo perché il candidato ha detto che chi è ricco come lui dovrebbe pagare di più e se eletto alzerà le tasse ai super-ricchi, ma perché il famoso fisco è sempre stato spauracchio di qualsiasi tipo di americano. Un assillo che unisce tutti e non guarda razze, generi e classi che la retorica di Trump ha completamente smontato e riscritto. Donald in lotta col fisco che negli anni 90 accumula un debito miliardario e sfiora la bancarotta, salvato da quella Goldman Sachs che ora attacca quotidianamente. Un quadretto che in un’altra America poteva mettere in difficoltà un candidato, ma forse non Trump e certo non quest’anno.
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