Officina della poesia "Nicola Imbraguglio" Laboratorio poetico

Cristina Alziati - Come non Piantengi

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    Antonellat
    Sesso: Femminile
    00 06/01/2013 17:49
    Ora tu credi che basterebbe un niente,
    sedere ad un tavolo sgombro
    in un’ora propizia, e lavorare ai versi
    lavorare ai frammenti. Io sono fatta invece
    di questo non scrivere giorno per giorno;
    dentro il sedimentarsi delle piccole
    cose, e delle grandi, sono
    l’anima ingombra del loro farsi mute.

    Come non piangenti, Cristina Alziati
    Ed. Marcos Y Marcos
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    apassoleggero
    Sesso: Femminile
    00 11/01/2013 17:20

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    tzitzeraz
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    00 13/01/2013 22:54

    ancora !!


    Nina


    "Ogni cavallo ha il suo modello di battaglia"
    Alda Merini
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    Antonellat
    Sesso: Femminile
    00 14/01/2013 08:51
    sì, volentieri...questa sera aggiungo
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    Antonellat
    Sesso: Femminile
    00 16/01/2013 08:23
    da I riccioli della chemio

    1.
    Come vuoi che racconti dei mesi
    di quello straordinario inverno
    di gemme anche quassù, e sole
    fra i rami nel dicembre, quando il manto
    di neve ero io, la corteccia glabra
    lo scricchiolio del gelo nelle ossa – per quale
    voce straordinaria dirti l’inverno,
    quando l’inverno ero io?

    *

    È salita sui prati, ti diranno
    che è morta, non dispera.
    A volte se ne va per la sassaia
    di versi accartocciati, lungo un greto
    bianchissimo, che acceca.
    Osserva rotolare dentro l’acqua
    mille tracce, di quanto non annota
    e scorda. Quando si incagliano in un’ansa
    prende uno stecco e le sospinge un poco.
    Tuffa a caso le mani.
    Fa conca con i palmi, chiude gli occhi, beve.

    [SM=g10429]
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    apassoleggero
    Sesso: Femminile
    00 05/03/2013 23:40


    Presto, dai vetri aperti stamattina
    un baccano di uccelli s'è levato. Folli,
    che fate, ho domandato alle chiome
    ossidate nel giardino, è novembre.
    Sbrigatevi, andate. Lasciate ch'io qui
    resti ancora a chiamare per nome ogni cosa,
    il grido la piazza. l'arrotino, a ripetere
    il fosforo, il fosforo, il cargo, è mattina.
    Il mendicante anche se giura
    non verrà creduto. Lasciateci.
    Che qui resti ancora a guardare, e altri
    attraverso il deserto dei rami
    tralucano, alberi.




    A mio padre

    Ti sei lavato, hai indossato abiti intatti,
    poi la mente mi slitta ad ogni passo.
    Non ho voluto vederti, di certo
    ti avranno sdraiato.
    Solo vorrei sapere, oppure è un sogno,
    che non fu angoscia la tua meticolosa
    cura – i documenti posati sulla panca
    la sedia che portasti nel giardino, il nodo -
    ma un qualche imperscrutabile, ma lieve,
    stato. Tutto è con te, segreto.
    Forse a spartirne il peso io serbo,
    dell’ atto tuo, l’altro versante – il tonfo
    della sedia sulla pietra, e la tua assenza
    e il dondolio, che cullo, lento, lentissimo
    del corpo sotto il pergolato.




    da I riccioli della chemio


    Ora risorgi. Chiudi un libro. Esci.
    Entri nei varchi fra le gocce, nella pioggia.
    Quello che deve sopravvivere viva.
    Ancora vuoi sapere il capezzolo
    dov' è, dove le carni e quale impresa
    prelevi, dove porti, come
    venga smaltito questo Sondermùll,
    ancora vuoi parlare con l'estroso
    chirurgo cucitore, che nei lembi
    della pelle ti ha cucito
    la discarica all' anima.


    *
    Tracce II


    a Etty Hillesum


    Non riesco a inginocchiarmi, scrivevi
    e hai portato, dentro i giorni dannati dei campi,
    per proteggere dio una gioia.


    Forse pregare fu quello - le tue ginocchia,
    ossa d'ombra sulla pietra, e tu
    per questa terra a camminare in volo.


    Ora tu credi che basterebbe un niente,
    sedere ad un tavolo sgombro
    in un'ora propizia, e lavorare ai versi
    lavorare ai frammenti. Io sono fatta invece
    di questo non scrivere giorno per giorno ;
    dentro il sedimentarsi delle piccole
    cose, e delle grandi, sono
    l'anima ingombra del loro farsi mute.




    Terza lettera ad Antigone



    Non ti mando la foto, ti descrivo.
    Sulla riva, distesi sotto il sole, vedi,
    i bei bagnanti, e i pueri, e il cadavere
    poco discosto, soltanto dall’acqua lambito.
    Non fosse per i vestiti – per gli stracci -
    diremmo che è uno del gruppo, fra quelli
    ridenti, uno vivo. È un giorno di festa.

    Arriveranno gli addetti, più tardi,
    a sgomberare quel corpo; altrove
    si sbrigherà una pratica,
    faranno un’autopsia, verrà inumato.
    Questo però non c’è, nella fotografia.

    E nemmeno la bava, domani, dei giornali
    né la pena beghina per quel morto,
    “zingaro – dirà qualcuno – ma bambino…”
    C’è questa roccia, invece
    fra il cisto e i rosmarini,
    questa roccia residua da cui scrivo,
    e dentro l’aria una preghiera
    e il mare intero, lento
    che prima degli addetti il corpo
    si porta via, l’istante prima.
    C’è il resto del paesaggio a sua custodia.