Spagna, Rajoy e i popolari in trionfo
il voto ai tempi della crisi cancella il Psoe
Risultati definitivi: i conservatori avranno 186 seggi su 350. Il miglior risultato di sempre. I socialisti crollano al minimo storico. Un esito annunciato, effetto dell'alto prezzo pagato dal Paese alla recessione. Buona affermazione degli indipendentisti baschi
dal nostro inviato OMERO CIAI
Mariano Rajoy (lapresse)
MADRID - In Spagna ci sono solo due puntini rosa in una marea di azzurro: sono le province di Barcellona e Siviglia, le uniche dove, per un pelo, i socialisti sono ancora il primo partito. La nuova mappa politica è il risultato di una giornata che, per quanto prevista, ha la dimensione di svolta storica per un paese che ormai da mesi si dibatte in una crisi economica e finanziaria dirompente.
FOTO La gioia dei popolari 1 / Il crollo Psoe 2
Quello di Mariano Rajoy, presidente del partito popolare (centrodestra), è diventato un trionfo grazie ad una maggioranza assoluta (186 seggi, dieci in più del necessario) più ampia di quella che ottenne José Maria Aznar, il primo leader di destra a tornare al potere dopo la dittatura nel 1996.
I popolari hanno ottenuto il 44,5% dei voti e 32 seggi in più del 2008 mentre il Psoe crolla sotto il 30% (28,6) e si ferma a 110 seggi, perdendo 59 seggi e quattro milioni di voti rispetto a tre anni e mezzo fa quando Zapatero fece il bis proprio contro Rajoy.
Il resto del quadro politico è più mosso. Tutti i partiti minori sono cresciuti e la Spagna è un po’ meno bipolare nonostante
la legge elettorale punisca i piccoli. Izquierda Unida, approfittando del “desencanto” degli elettori verso il Psoe, passa da 2 a 11 deputati. Il partito di Rosa Diez, una ex socialista critica, da 1 a 5. Mentre nei Paesi Baschi, gli independentisti radicali di Amaiur ottengono per la prima volta più seggi (7) dei moderati del Partito nazionalista basco (5).
IL RITRATTO Chi è Mariano Rajoy, 'il tenace' 3
Appena eletto Rajoy ha parlato dalla sede storica del suo partito in calle Genova, centro di Madrid, sottolineando che governerà “nella più delicata congiuntura degli ultimi 30 anni” e che i suoi unici nemici saranno “la disoccupazione e la crisi del debito”.
VIDEO Rajoy: "Sforzo comune contro la crisi" 4
“Umiltà, compromesso, iniziative comuni, sforzo solidario”, le altre parole chiave di un discorso molto moderato teso a rassicurare tutti. Mentre il suo avversario, Alfredo Perez Rubalcaba, dall’altra sede storica, quella del Psoe in calle Ferraz, si è presentato da solo davanti alle telecamere (video 5) e dopo aver riconosciuto la netta sconfitta, al di là delle previsioni, ha chiesto un Congresso anticipato del suo partito.
Il dato che colpisce di più l’osservatore esterno è la mobilità del voto. L’astensione rispetto al 2008 è salita di 2 punti, dal 26 al 28%, ma quattro milioni di voti hanno abbandonato il Psoe per dirigersi nell’arca del Partito popolare e, a sinistra, nel movimento neocomunista di Izquierda Unida. Una emorragia senza precedenti e, per i socialisti, il peggior risultato elettorale dalle prime elezioni democratiche del 1977 quando ottennero 118 seggi, fino ad ora il loro minimo storico.
La soglia di galleggiamento che avrebbe permesso a Rubalcaba di diventare segretario al posto di Zapatero era stata fissata in 125 seggi. Ora, è ovvio, s’aprirà la guerra interna per il controllo del partito nei prossimi quattro anni. Ma nessuno ha le carte in regola. Perché anche Carme Chacon, la “zapaterista” ministro della Difesa, che nel Psoe contende la premiership a Rubalcaba, esce menomata dal terremoto elettorale. Nella sua Catalogna i socialisti hanno perso 11 seggi (da 25 a 14) e sono retrocessi a secondo partito.
Per vincere Mariano Rajoy non ha fatto praticamente nulla, neppure dal punto di vista delle proposte concrete, delle ricette politiche per affrontare la crisi del debito, i cinque milioni di disoccupati e le difficoltà di migliaia di famiglia a pagare il mutuo della casa. Il suo programma è ciò che di più vago un leader politico può mostrare agli elettori. Ha solo atteso con tenacia che la crisi maciullasse Zapatero, per offrirsi come alternativa senza neppure entrare nel campo di gioco.
Ora dovrà farlo e, con la riapertura dei mercati, sapremo anche a quali condizioni. La transizione post elettorale del nuovo governo è lenta. I tempi costituzionali prevedono almeno un mese prima che il nuovo esecutivo entri ufficialmente in carica. Ma forse questa volta tutti faranno uno sforzo per accelerare il passaggio dei poteri.
(20 novembre 2011)
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