VANGELO COMMENTATO 30-7-2010

Jon Konneri
00venerdì 30 luglio 2010 21:09
(Matteo 13,54-58) Non è costui il figlio del falegname? Da dove gli vengono allora tutte queste cose? In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.

COMMENTO Nessuno può essere giudice di se stesso - Dopo aver spiegato, con sette parabole, cos'è il Regno che egli an­nuncia, Gesù ritorna a Nazaret, e li sperimenta sulla sua pelle quel rifiuto di cui ha parlato, per esempio, nella similitudine della se­mente. I preconcetti bloccano i suoi compaesani. Essi presumono di saper tutto di lui, perché lo hanno visto, fino a pochi mesi prima, continuare il lavoro di Giuseppe, perché conoscono Maria, sua madre, gli altri parenti, e perché, secondo il loro modo di pensare, dal loro ambiente non può uscire il Messia. La loro prevenzione è tale da rasentare lo scandalo. Gesù in tutto ciò vede ripetersi la sto­ria di Geremia e degli altri profeti e, amareggiato, commenta: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». Meditazione - L'osservazione di Gesù che «nessuno è profeta in patria sua», può essere letta anche in modo positivo, provvidenziale. Così è suc­cesso ai primi diaconi che, dopo l'uccisione di Stefano, sono do­vuti andar via da Gerusalemme e hanno diffuso il Vangelo al di fuori della Giudea; così è successo all'apostolo Paolo che, rifiutato dai Giudei, si è rivolto ai pagani. Così è avvenuto nella vita san Leopoldo Mandic, un umile frate cappuccino nato in Dalmazia, che avrebbe voluto operare nelle sue terre per affrettare l'unità dei cristiani d'Oriente con quelli d'Occidente. Invece, la volontà dei suoi superiori lo ha relegato per anni in un convento di Padova; e lui ha accettato, passando ore e ore in confessionale, convinto che «ogni anima che chiedeva il suo ministero era, di fatto, il suo Oriente». San Leopoldo, come il santo Curato d'Ars, come san Pio da Pietrelcina, è stato un vero «martire del confessionale». E proprio guardando alla missione specifica di questi "confessori" possiamo applicare alla nostra persona la frase che Gesù ha pro­nunciato a Nazaret. Perciò, «nessuno è profeta in patria sua», di­venta per noi: «Nessuno è giudice di se stesso», perché, come scri­ve san Paolo, «l'unico giudice è il Signore». Allora, per vederci chiaro nel nostro cuore, per scorgervi il peccato nascosto, o anche per capire cosa Dio voglia da noi, quale forma di santità egli ci richieda, abbiamo bisogno di uno diverso da noi, che non abbia lo sguardo deformato dal nostro soggettivismo e che, come il profeta Geremia, possa parlarci a nome di Dio e guidarci nelle sue vie. Ecco il ministero che svolge il sacerdote: il sacramento della riconciliazione. Non facciamo come gli abitanti di Gerusalemme, che rifiutarono Geremia, o come i Nazaretani che si scandalizza­rono di Gesù. Con umiltà e fiducia accostiamoci ai confessori che Dio ha scelto come suoi ministri di riconciliazione. (Tratto da: Messa Meditazioni Ed. Art 7/2010)
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