Trattativa stato-mafia:indagato Marcello Dell'Utri

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angelico
00giovedì 17 novembre 2011 19:53
IL DOCUMENTO
L'ultimatum dei boss a Scalfaro
"Ora revocateci il carcere duro"
La lettera, della quale "Repubblica" è entrata in possesso, è stata depositata dai pm di Palermo Di Matteo e Ingroia al processo contro il prefetto Mario Mori: potrebbe costituire un prezioso retroscena per spiegare alcuni provvedimenti clamorosi, come la revoca del carcere duro per circa trecento mafiosi adottata dall'allora guardasigilli Conso
di ALESSANDRA ZINITI
Oscar Luigi Scalfaro
PALERMO - La lettera è del febbraio 1993. Sette mesi dopo le stragi di Capaci e di via d'Amelio nel mirino di Cosa nostra c'era il neoeletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. A lui, con toni pesantissimi dall'inequivocabile sapore di avvertimento, si rivolsero i familiari di alcuni detenuti di mafia che da mesi, nelle supercarceri di Pianosa e dell'Asinara, subivano i rigori del 41 bis, il regime di carcere duro che - come si sarebbe appreso solo molti anni dopo - costituiva uno dei temi più caldi della trattativa tra Stato e Cosa nostra.

GUARDA / La lettera dei boss

Che la lettera fosse stata inviata al presidente della Repubblica e per conoscenza anche a diverse altre cariche dello Stato e ad alcuni personaggi come ad esempio Vittorio Sgarbi, era cosa nota da anni. Quello che è inedito è il suo contenuto e soprattutto i toni estremamente minacciosi con i quali i familiari dei detenuti, che non si firmano, si rivolgono a Scalfaro. Circostanza che, letta alla luce delle nuova acquisizioni processuali, potrebbe costituire un prezioso retroscena per spiegare alcuni provvedimenti clamorosi, come la revoca del carcere duro per circa trecento mafiosi che l'allora guardasigilli Conso dice di aver adottato in assoluta solitudine. Una versione questa - recentemente fornita ai pm di Palermo che indagano sulla trattativa
- che non ha mai convinto e che è stata incrinata da altre acquisizioni documentali e testimoniali.

La lettera, della quale "Repubblica" è entrata in possesso, è venuta fuori solo ora dagli atti del processo di Firenze ed è stata depositata dai pm di Palermo Di Matteo e Ingroia al processo contro il prefetto Mario Mori accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e ora anche ufficialmente anche di aver avuto un ruolo nella trattativa con lo Stato.

Ma ecco come i familiari dei detenuti, dopo aver illustrato a Scalfaro, le "angherie" subite dai loro congiunti, si rivolgono al presidente della Repubblica. "Noi ci permettiamo di farle notare che, continuando di questo passo, di detenuti nei moriranno ma lei non si curi di loro tanto si tratta di carne da macello. Per noi e per loro resta solo la consolazione che un giorno Dio, che ha più potere di lei, sarà giusto nel suo giudizio.... lei si è vantato più volte di essere un autentico cristiano. Le consigliamo di vantarsi di meno e di AMARE di più. Non ci firmiamo non per paura, ma per evitare ulteriori pene ai nostri familiari (e poi fanno lezioni di mafia!).... Al momento non crediamo che la volontà dello Stato che lei rappresenta sia così civile nel dare una risposta adeguata. La sfidiamo a smentirci".

E, in un altro passo, il richiamo alla responsabilità personale del presidente della Repubblica nell'adozione del 41 bis. "Ora, se lei ha dato ordine di uccidere, bene, noi ci tranquillizziamo, se non è così guardi che per noi è sempre il maggior responsabile, il più alto responsabile dell'Italia "civile" che, con molto interesse, ha a cuore i problemi degli animali, i problemi del terzo mondo, del razzismo e dimentica questi problemi insignificanti perché si tratta di detenuti, ovvero di carne da macello".

Che i toni siano volutamente pesanti, gli autori della lettera lo sanno bene e aggiungono: "Concludiamo scusandoci per la forma arrogante con la quale ci siamo presentati distogliendola sicuramente da problemi più gravi e urgenti di questi".

Ascoltato dai pm nei mesi scorsi, l'ex presidente della Repubblica Scalfaro è rimasto sul vago nel ricordare il contenuto e i toni della lettera. Che invece, per i pm di Palermo, è un tassello importante dell'ancora indefinito puzzle della trattativa.

(17 novembre 2011)

palermo.repubblica.it/cronaca/2011/11/17/news/l_ultimatum_dei_boss_a_scalfaro_ora_revocateci_il_carcere_duro-2...


palermo.repubblica.it/cronaca/2011/11/17/foto/la_lettera_ultimatum_dei_boss_revocate_il_carcere_duro-251...
angelico
00giovedì 24 novembre 2011 22:06
Trattativa tra Stato e mafia
indagato Marcello Dell'Utri
Condannato in appello a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, il senatore Pdl sarebbe accusato in questa indagine di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario
PALERMO - Il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri è indagato dalla Procura di Palermo nell'inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia. Condannato in appello a 7 anni per concorso in associazione mafiosa, Dell'Utri sarebbe accusato in questa indagine di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario.

L'inchiesta, condotta dai pm Nino Di Matteo, Paolo Guido e Lia Sava, ipotizza l'esistenza di una trattativa tra Stato e mafia che negli anni avrebbe visto alternarsi diversi protagonisti istituzionali, politici e mafiosi.Nell'indagine sono coinvolti, oltre ai boss Totò Riina, Bernardo Provenzano e Antonino Cinà, il generale dei carabinieri Mario Mori, il suo ex braccio destro al Ros, Giuseppe De Donno, Angelo Angeli, un ufficiale dei carabinieri che, pur avendo messo le mani sul 'papello' durante la perquisizione della cassaforte nella casa di Massimo Ciancimino non l'avrebbe sequestrato, alcuni esponenti dei Servizi e lo stesso Ciancimino jr.

A tirare per primo in ballo Dell'Utri nell'indagine sulla trattativa è proprio il figlio di Vito Ciancimino, l'ex sindaco mafioso di Palermo. E' lui a raccontare al processo al generale Mori, imputato di favoreggiamento mafioso, di avere saputo dal padre di stretti rapporti tra il senatore e Provenzano. Don Vito avrebbe riferito al figlio anche che sarebbe stato proprio Dell'Utri, con l'avallo del boss di Corleone, a sostituirlo nella conduzione della trattativa che, fino al '92 sarebbe stata portata avanti da Ciancimino e dai carabinieri.

A fare il nome di dell'Utri ai pm è anche il pentito Stefano Lo Verso che ha sostenuto di aver saputo da Provenzano che, dopo le stragi del '92 e del '93, Dell'Utri, ex manager di Publitalia tra i fondatori di Forza Italia, si sarebbe offerto come garante politico degli interessi di Cosa nostra. Dall'altra parte del tavolo ancora Provenzano che, in nome dell'accordo stretto, avrebbe assicurato il sostegno elettorale dei boss al partito dell'ex premier Silvio Berlusconi.

E anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, a cui il boss Giuseppe Graviano avrebbe detto che "grazie al paesano (Dell'Utri, ndr) e a Berlusconi la mafia aveva il Paese nelle mani", sarebbero finite nell'inchiesta sulla trattativa condotta dai pm di Palermo.
(24 novembre 2011)

palermo.repubblica.it/cronaca/2011/11/24/news/dell_utri_indagato-2...
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