Manderlay

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:Bacco:
00sabato 21 gennaio 2006 16:05
E' il seguito del già noto Dogville, primo
episodio della trilogia statunitense di
Lars Von Trier. Cambia l'attrice protagonista,
che non è più N.Kidman, ma una sempre valida
sostituta.
Lo devo ancora metabolizzare bene, e colgo
l'occasione per aprire un topic per discuterne
con chi l'ha visto (purtroppo io l'ho visto solo
ora perchè questi film "de cervello" non son mai
dati nella colta spezia, i giorni in cui escono).
Il set è sempre un grosso fondale pseudo teatrale
con il terreno e le case disegnate.
L'ambientazione è una tenuta con una grossa villa,
dove si lavora cotone e gli schiavi neri, schedati
in base alle loro personalità, scritte in un registro
(con le indicazioni di quanto cibo spetta ad ogni "tipo")
vengono liberati da grace.
La stessa si premurerà di insegnar loro la libertà
e la democrazia, con l'ausilio delle onnipresenti
armi degli sgherri del padre.Vi ricorda mica qualcosa?
Da vedere.
Soprattutto la raffica di foto finali, con sottofondo
"Young America" del Duca Bianco,
dove lo sdegno di lars, unita alla
mia completa partecipazione, sintetizzano in maniera
perfetta anni di ipocrisia (e politiche fallimentari in
ogni aspetto) su cui è basata quell'accozzaglia
di stati.


riporto anche un paio di sue cose,di quando fu a cannes:


«La missione di cui si fa carico Grace in Manderlay, liberare gli uomini dalla schiavitù, non è poi così diversa da quella di Bush in Iraq», continua il regista. «Anche lui pensa di essere lì per migliorare e modellare il mondo a immagine e somiglianza del suo paese, creando soltanto disastri. Non si può imporre ad un popolo di maturare con le armi puntate. Per questo motivo gli schiavi di Manderlay sono rimasti tali». A sostenere la validità di una problematica come la schiavitù che, a prima vista, sembrerebbe essere quasi fin troppo datata , interviene Danny Glover: «Ancora oggi la parità dei diritti è un principio esclusivamente teorico. In America ci sono più neri nelle prigioni che all'interno delle università, mentre alcuni bambini non possono ancora frequentare le stesse scuole dei bianchi». Ancora una problematica che sembra avere un conto aperto con un governo non esattamente liberale, una situazione che invita il regista a puntare, ancora una volta, il dito verso una società ed un paese che non ha mai visitato e che non intenderà conoscere, come lui stesso ammette, fino a quando non verrà costruito un ponte per raggiungerlo senza l'obbligo di prendere un aereo. «Questo film, in realtà, è simile a mille altri film che ho girato fino a questo momento - chiarisce Von Trier - Per quanto riguarda poi tutti coloro che mi accusano di criticare una realtà che nemmeno conosco, rispondo che pur non avendo mai visitato gli Stati Uniti d'America sono perfettamente a conoscenza della sua cultura. Anche se non sono nato in America, l'America è venuta da me. Il 60% del mio cervello, della mia vita sono invasi da modelli, idee e stili americani. E con questo non dico di esserne orgoglioso o particolarmente felice. Il problema è che vengo da un piccolo paese e sembra che non possa dire la mia. L'influenza dell'America preme su tutti noi e per di più Bush - conclude - è un cretino».


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