La ricetta degli italiani: bisogna rovesciare il sistema

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angelico
00mercoledì 2 maggio 2012 16:28
"Un leader giovane e forse la rivoluzione"
La ricetta degli italiani per uscire dalla crisi
La recessione? Finirà fra tre anni, ma saremo tutti più poveri. Un sondaggio Ipr marketing, commissionato per il congresso delle Acli, ci rivela il rapporto tra il Paese e l'attuale fase di difficoltà economica. Con una sorpresa: per un cittadino su tre le riforme non bastano, bisogna rovesciare il sistema
Lo leggo dopo
ROMA - Usciremo dalla crisi entro i prossimi tre anni, ma saremo più poveri. Per cambiare, il Paese avrebbe bisogno di riforme oppure - parola che sembrava uscita dal vocabolario della politica - di una rivoluzione. E il leader del futuro dovrà essere, prima di ogni altra cosa, giovane. Sono alcune delle risposte a un sondaggio di Ipr marketing commissionato dalle Acli - i lavoratori cattolici - alla vigilia del congresso che si aprirà domani a Roma. La fotografia insomma di un'Italia pessimista, rassegnata al peggioramento delle condizioni di vita. Ma disposta perfino a soluzioni estreme per uscire dall'attuale fase di stagnazione.

GUARDA TUTTO IL SONDAGGIO 1

Spese fuori controllo. Il campione è stato sottoposto a dieci domande, partendo dalla percezione della crisi. "Quanto peserebbe sul bilancio mensile della sua famiglia un spesa imprevista di cento euro?", è stato chiesto. Per sei italiani su dieci (60,2%) molto o abbastanza. Al Sud la preoccupazione per una spesa fuori budget riguarda il 70,9% dei cittadini. Sopra la media anche le donne (68,7%) e gli under 35 anni (62,7%).

L'inizio della sofferenza. Ma quando è davvero cominciata questa crisi? Quasi la metà degli intervistati (47,5%) ha iniziato a percepirla nella vita quotidiana tra il 2010 e il 2011. Solo il 14,8% dichiara
di essere stato in una situazione di sofferenza economica prima del 2008. Questa fase di recessione potrebbe rappresentare un'occasione di cambiamento? La grande maggioranza degli italiani (72,4%) non lo ritiene possibile.

Futuro. La parola futuro è associata al concetto di preoccupazione per il 27,4% del campione, all'insicurezza per il 17,3% e al pessimismo per il 12,4%. La speranza ha invece il sopravvento sul pessimismo per gli uomini oltre i 54 anni, i laureati e i cattolici praticanti.

La ricetta. L'equità è la ricetta più invocata per uscire dalla crisi sociale: la reclama il 24,9 per cento degli intervistati; al secondo posto c'è la moralità (22,8 per cento), seguono la competenza delle classi dirigenti (18,5%) e l'innovazione (12,7%). Corollario della risposta sull'equità è quella sui ricchi e la crisi: per il 74,8% degli italiani sono i cittadini più facoltosi che devono sostenere il carico maggiore, in questo momento di difficoltà. Opinione condivisa in maniera trasversale, da tutti i segmenti socio-demografici della popolazione.

Il leader. Quale potrebbe essere l'identikit del leader in grado di farci uscire dalla crisi? La risposta più gettonata è una persona giovane (53%); seguono un laureato (per il 49%) e poi un esperto, magari docente universitario (37%). Poco conta che si tratti di una donna (25%), di una persona sposata (14%) o di un cattolico (14). Ancor meno che si tratti di un esponente di partito (6%). Ma quali sono gli interventi più urgenti? Per il 75 per cento degli intervistati, bisognerà occuparsi innanzitutto delle famiglie e dei conti dello Stato, e solo dopo tenere conto delle indicazioni delle istituzioni internazionali (56%). Insomma, no al puro rigore finanziario imposto finora dai diktat tedeschi.

Il metodo. Cosa occorre per cambiare il nostro Paese? La maggioranza degli intervistati (50,9%) propende per la strada delle riforme, con interventi graduali e condivisi (35,7%) ma anche impopolari (14,6%). I più propensi a una via riformista sono gli uomini, gli over 54enni, e i cattolici praticanti. L'aspetto forse più sorprendente è che per il 32,2 per cento degli intervistati - praticamente un italiano su 3 - l'unico mezzo per uscire dall'attuale situazione è la rivoluzione. C'è poi un 17,2% totalmente pessimista, che sentenzia: "questo Paese non cambierà mai". Un dato da collegare, probabilmente, all'onda montante dell'antipolitica.

L'indicatore della ripresa. Il lavoro viene considerato come il primo segnale della ripresa dal 26,3 per cento degli intervistati, la ripresa dei consumi dal 19,8%. Opinione questa condivisa in maniera trasversale da tutta le fasce di popolazione intervistate.

Quando ne usciremo. Sui tempi, gli italiani sono moderatamente ottimisti. La crisi finirà entro 3 anni
per la maggioranza del campione: il 51,3%. Il 37,7% ritiene, invece, che servano dai 4 ai 10 anni. C'è uno zoccolo duro di pessimisti - pari al 10,9% - che invece ritiene l'attuale situazione senza ritorno.

Il dopo crisi. Usciremo dalla crisi, ma come? Il 40,2% degli italiani pensa che saremo in condizioni peggiori. Per il 30,5% , invece, l'Italia si riprenderà come prima. Ma c'è anche chi vede rosa: un terzo degli italiani immagina un futuro migliore quando la crisi sarà passata. Chi sono questi ottimisti? Soprattutto uomini (34,5%), di età matura cioè oltre i 54 anni (32%), e residenti nel Sud (33%). Nell'orizzonte dei prossimi 10 anni, il 44,7 per cento si immagina più povero contro un misero 19,1 che pensa a un miglioramento della propria condizione. Nelle risposte, si avverte qui una forte divaricazione in base al titolo di studio e all'età. L'approccio più ottimista è quello dei laureati e dei giovani.


(02 maggio 2012)

www.repubblica.it/politica/2012/05/02/news/dopo_la_crisi_saremo_pi_poveri_per_cambiare_va_bene_anche_la_rivoluzione-34323286/?ref...
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