Oltre alle qualità enumerate in primo luogo, abbiamo dunque visto che l’anziano non può essere un nuovo convertito e deve avere una buona testimonianza da parte del mondo, altrimenti cadrebbe nel laccio del diavolo che cerca di gettare l’obbrobrio sul nome di Cristo, screditandolo a causa della condotta dei suoi (2 Timoteo 2:26) quando questa non è accompagnata da una buona coscienza.
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Vers. 8-13: — «Allo stesso modo i diaconi devono essere dignitosi, non doppi nel parlare, non propensi a troppo vino, non avidi di illeciti guadagni; uomini che custodiscano il mistero della fede in una coscienza pura. Anche questi siano prima provati; poi svolgano il loro servizio se sono irreprensibili. Allo stesso modo siano le donne dignitose, non maldicenti, sobrie, fedeli in ogni cosa. I diaconi siano mariti di una sola moglie, e governino bene i loro figli e le loro famiglie. Perché quelli che hanno svolto bene il compito di diaconi, si acquistano un grado onorabile e una grande franchezza nella fede che è in Cristo Gesù».
È degno di nota il fatto che nell’epistola a Tito, delegato dall’apostolo a stabilire gli anziani, non è fatta alcuna menzione dei servitori dell’assemblea, o diaconi. La ragione di ciò è semplice. In Atti 6, vediamo i servitori scelti non da un delegato degli apostoli, ma dai fratelli, ed in seguito stabiliti dai dodici. Dunque, essi non rientravano nella missione affidata a Tito. Nella prima epistola a Timoteo si tratta non tanto dell’elezione degli anziani quanto dei requisiti di coloro che hanno incarichi nella casa di Dio, dove servitori uomini o donne (diaconesse) devono trovare largamente posto.
Queste qualità hanno rapporto soprattutto con la loro personalità morale. I servitori devono essere dignitosi. Il servitore deve essere conosciuto come rappresentante, nel suo servizio, della dignità del suo Capo, e compenetrato egli stesso della propria responsabilità a questo riguardo. Non deve essere doppio in parole, perché fa parte di un insieme destinato a testimoniare la verità e a sostenerla. Non deve essere dedito a troppo vino, che gli farebbe perdere l’attenzione continua che deve dedicare nel suo servizio. Non deve essere avido di illeciti guadagni, perché è illecito convertire il servizio del Signore in un mezzo di guadagno. Deve infine ritenere «il mistero della fede in una coscienza pura».
Un mistero è sempre una cosa prima nascosta, poi rivelata. Il mistero della fede è l’insieme delle verità che costituiscono il Cristianesimo, e che sono state pienamente messe in luce dalla morte e dalla risurrezione di Cristo. Tutte le verità relative alla posizione celeste del cristiano, rivelate per la prima volta a Maria di Magdala; tutte le verità dipendenti da un Cristo glorioso e seduto alla destra di Dio, quelle, cioè, affidate a Paolo concernenti la Chiesa, la sua unione in un solo corpo con Cristo, «capo» glorioso nel cielo, la sua dignità di Sposa di Cristo e la speranza della venuta del Signore; tutte queste, ed altre ancora, costituiscono il «mistero della fede».
Spesso i cristiani che occupano degli umili posti, diciamo, di servizio, nella casa di Dio, sono lontani da ciò che è richiesto qui dai servitori. Così non era di Stefano, né di Filippo, che erano fra i «sette» scelti per il servizio dei fratelli di Gerusalemme (Atti 6:3-6). Tutti e due avevano acquistato nel loro servizio «un grado onorabile e una grande franchezza nella fede che è in Cristo Gesù»; il primo, rendendo testimonianza di tutto l’insegnamento dato allo Spirito Santo inviato dal cielo, il secondo, annunziando con potenza nel mondo l’evangelo della salvezza. Così, la predicazione dell’insieme della rivelazione divina fu affidata a due servitori che avevano acquistato un buon grado nelle umili funzioni che erano state loro affidate.
Non è, in fondo, soltanto la conoscenza delle verità celesti e del mistero della Chiesa che è loro richiesta, ma il ritenerla «in pura coscienza». Bisogna che una vita irreprensibile davanti a Dio corrisponda a questa conoscenza, e che essa non sia una pura questione intellettuale. Ci vuole uno stato morale che raccomandi la verità che si presenta.
I servitori, come i sorveglianti, devono essere «prima provati». Non si tratta qui, penso, di un certo periodo d’iniziazione dopo il quale i diaconi o gli anziani potevano essere revocati, ma di una minuziosa e pratica inchiesta al momento in cui entravano nel loro servizio, affinché tutte le loro qualità corrispondessero al quadro che la Parola ci fa di chi ha degli incarichi nella casa di Dio. Dopo questa «inchiesta», i servitori potevano entrare nel loro servizio.
L’apostolo passa poi ai caratteri richiesti alle donne. Non dice le «loro mogli» (*), perché non tutte le mogli dei diaconi potevano essere delle «diaconesse», e forse include in questo termine anche le mogli degli anziani. In paragone all’uomo, a loro è domandato poco, e si tratta soprattutto di cose nelle quali una moglie è più che altri in pericolo di cadere. La loro «serietà» deve accordarsi con quella dei loro mariti. Quanto sovente il disaccordo fra marito e moglie, riguardo alla serietà da manifestare nella vita quotidiana, ha danneggiato la testimonianza che era stata loro richiesta!
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(*) Le traduzioni Diodati e Nuova Diodati di questo versetto sono inesatte. (Nota BibbiaWeb)