I fascisti festeggiano la marcia su Roma a Modena

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angelico
00giovedì 27 ottobre 2011 21:32
Modena, estrema destra celebra la marcia su Roma. Protesta antifascista in piazza Venerdì 28 ottobre, Fiamma Tricolore e Forza Nuova apriranno il convegno dedicato alla Marcia su Roma del 28 ottobre del '22. Ma è solo l'ultimo episodio in ordine di tempo dell'esplosione dell'estrema destra in provincia di Modena. Da Sassuolo e Pavullo nel Frignano segnali preoccupanti di violenze razziste e frasi xenofobe. La procura di Modena ha aperto un fascicolo su un militante leghista che sul web invitava a bruciare le moschee. Rigurgiti fascisti a viso aperto nel cuore dell’Emilia Romagna. A Modena, città medaglia d’oro della resistenza, Fiamma Tricolore-Movimento sociale organizza venerdì 28 ottobre un convegno per commemorare persino la marcia su Roma del 28 ottobre 1922.

L’intento descritto da Stefano Garzya, 19enne commissario provinciale di FT, è di portare alla luce “le dimenticate opere sociali del fascismo e i crimini partigiani nascosti”. Le proteste dei partiti di sinistra, in testa Rifondazione comunista che invita in piazza tutti gli antifascisti, sono condivise dalle istituzioni locali.

Il sindaco di Modena, Giorgio Pighi, sottolinea che “creare tensioni e disordini, vilipendere le istituzioni e fare apologia di fascismo sono fatti che rientrano nell’ambito della sicurezza pubblica, dunque il Questore saprà intervenire nel migliore dei modi. In Italia – prosegue Pighi – la destra si è da tempo allontanata da atteggiamenti scomposti, da improbabili celebrazioni dei fasti del ventennio e dagli insulti rivolti a coloro che combattendo il nazifascismo hanno consentito la nascita della Repubblica, ma esiste una minoranza che non ama fare i conti con la storia e vive di nostalgie che suscitano dolorose memorie. E’ dunque bene assumere atteggiamenti fermi e non accettare provocazioni che possono sfociare in fatti violenti”.

La scelta di commemorare il colpo di stato fascista a Modena, e non più soltanto nella Predappio di Mussolini o nei feudi dei nostalgici, è però il sintomo di un mutamento della situazione. Secondo fonti investigative qualificate, anche in Emilia si è esteso il raggio d’azione di gruppi autonomi di estrema destra in contatto con camerati più organizzati di regioni limifrofe, in particolare del Veneto.

Anche se gli episodi sotto la lente della magistratura sono scollegati, risultano in crescita le aggressioni notturne, le frasi razziste sul web, i propositi bellicosi ai danni del nemico di sempre: il diverso. L’inchiesta milanese condotta dal procuratore aggiunto Armando Spataro sulla violazione della legge Mancino ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio di Stefano Gherardi, simpatizzante leghista sassolese che online invitava a bruciare islamici e comunisti.

Il Pm di Modena Enrico Stefani, ricevuto il fascicolo per competenza, ha chiesto di processarlo per propaganda razzista, reato che vanta pochissimi precedenti. Tra questi il sindaco di Verona Flavio Tosi, condannato a due mesi per frasi xenofobe contro le popolazioni rom e finito di recente – per la sua vicinanza all’estrema destra – nel mirino di un Umberto Bossi vecchio stampo, quello cioè che invitava a ‘stanare i fascisti casa per casa’.

“Nello specifico Gherardi – si legge nel capo d’imputazione – inseriva o consentiva che fossero inseriti sul blog messaggi come bisognerebbe riaprirla (la moschea, n.d.r.) per un giorno e poi quando ci sono dentro tutti magari anche i loro amici di Rifondazione e dell’Italia dei Valori chiudere bene le porte e i catenacci e cominciare a fare fuoco”.

La realtà descritta è quella di Sassuolo, capitale della ceramica laboriosa e inclusiva, ex roccaforte rossa passata due anni fa nelle mani di un centrodestra a forte connotazione leghista. La Procura di Modena sta cercando di far luce anche su alcune violenze avvenute nottetempo al parco Ducale, immensa area verde dietro il palazzo storico sassolese.

L’unico ad aver presentato querela per lesioni è Mirco Zanni, aggredito una sera di luglio da alcuni sconosciuti che l’hanno preso a pugni. Poco tempo dopo un ragazzo pugliese ha raccontato di essere stato seguito nel parcheggio da un gruppo che indossava magliette ‘White power’, forse ultras del Sassuolo. Motivo? La spilla con la svastica sbarrata sulla giacca, subito strappata ed esibita sul berretto del capobanda come un trofeo, assieme ad altri ‘scalpi’.

Enrico Sighinolfi (Pd) critica il Temple bar, locale estraneo alle violenze affidato dalla controllata comunale Sgp ad un gruppo di associazioni capitanate da Aikido e circolo Rometta 81: “E’ il ritrovo di elementi discutibili di estrema destra – spiega – in cui si svolgono iniziative di matrice culturale neofascista come quelle dell’associazione culturale Zang tumb tumb (dall’opera del futurista Tommaso Marinetti, n.d.r.)”.

Per il vicesindaco leghista di Sassuolo Gian Francesco Menani invece è tutto regolare: “Non risultano presenze legate all’estrema destra e le violenze sono due casi isolati non qualificabili come rissa”. L’associazione Ztt ha assicurato di avere “come obiettivo quello di scuotere dal torpore e dall’indifferenza i cittadini”, anche se lo scorso gennaio organizzò il concerto della band padovana di ispirazione neofascista “La compagnia dell’anello”, previsto all’auditorium comunale intitolato a Pierangelo Bertoli. Solo l’indignazione della famiglia del cantautore indusse a ripiegare nella locale discoteca Area.

Neppure un mese dopo, alla vigilia della Giornata della Memoria, i consiglieri provinciali della Lega Nord lanciarono una proposta choc: affiancare alla stele dell’Olocausto nel parco della Resistenza di Modena, per due volte distrutta da ignoti, una lapide in memoria di tutti i caduti della ‘guerra civile del 1943-45’, dunque repubblichini e nazisti compresi.

Sviste o scientifici sdoganamenti? A Sassuolo, va sottolineato, il sindaco Luca Caselli (Pdl, area ex An) non ha stretto accordi con gli estremisti per strappare il Comune a Graziano Pattuzzi del Pd: centoquaranta voti in più di un centrosinistra in crisi d’identità, che inseguendo la destra sul refrain della sicurezza aveva inaugurato la stagione bipartisan degli sgomberi (la nuova Giunta, oltre a non concedere la moschea ai 4mila islamici residenti, ha sfrattato il centro sociale Fassbinder) chiudendo il palazzo del ‘degrado’ di via Circonvallazione.

A Pavullo, invece, la candidata sconfitta del Pdl Fiorella Bernardoni non ha esitato a imbarcare Fiamma Tricolore, che vanta numerosi iscritti sull’Appennino. La scorsa primavera il segretario nazionale di Fiamma Tricolore Luca Romagnoli inaugurò la sede di Pavullo per intitolarla a Bruno Rivaroli, segretario del partito fascista nel Ventennio e poi comandante della brigata nera locale alleata dei nazisti.

Anche allora l’organizzatore fu Stefano Garzya, il commissario provinciale che sta preparando il convegno del 28 ottobre per ricordare, a Modena, la marcia su Roma. Le preoccupazioni, espresse anche dalle istituzioni locali, riportano all’incontro del leader di Forza Nuova Roberto Fiore lo scorso mese all’hotel Michelangelo di Sassuolo. Gli scontri tra gruppi autonomi di sinistra e partecipanti alla serata non hanno avuto conseguenze grazie all’imponente cordone di polizia.

All’interno dell’albergo, dal pulpito di una condanna per banda armata e associazione sovversiva e di una latitanza a Londra terminata con la prescrizione di 11 anni fa, Fiore ha tenuto una conferenza su legalità e anticomunismo: “La presenza dei Carc (acronimo di Comitato per l’appoggio della Resistenza per il Comunismo, ndr) – ha detto – è segno di quanto queste persone siano rimaste indietro di almeno 50 anni. La culla del comunismo, la Russia, si è prepotentemente ribellata a quelle idee e oggi è su posizioni che potremmo definire nostre: sociale, nazionale e cristiana“.

Il presidio formato da partiti di sinistra, sindacati e cittadini è rimasto fuori a contestare. Tranne Alessandra Coliva del Popolo Viola, che sfuggita al controllo degli agenti è riuscita a interrompere il comizio: “La carta costituzionale parla di apologia del fascismo – ha ricordato la ragazza con tutto il fiato che aveva in gola – voi qui non potete parlare di camerati”.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/27/modena-estrema-destra-celebra-il-ventennio-forze-antifasciste-in-rivolta-presidiamoli...
angelico
00sabato 29 ottobre 2011 23:43
Fascisti a Milano, da Ordine nuovo a Cuore nero. L’infiltrazione tra le pieghe del potere Il libro di Saverio Ferrari, curatore anche del sito osservatoriodemocratico, ricostruisce la storia di un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri ritualiLa copertina del libro Fascisti a Milano (edizione Bff) È la storia milanese di quelli che Renato Sarti, a ragione, ha chiamato i “mai morti”. E che Saverio Ferrari, in Fascisti a Milano, da Ordine Nuovo a Cuore Nero, descrive come un mondo in cui nomi e gesta si ripetono nei decenni, anche se spesso con stanchi e macabri rituali. È un sottobosco che oggi si muove tra locali bene e palestre di boxe, tra lamate ai compagni e pistolettate ai camerati infedeli, tra spaccio e vendita di armi. L’innegabile capacità mimetica, proprio come si confà a un soldato politico, permette loro di riemergere in modo carsico dai rivoli putrescenti della storia. Come? Come sempre: infiltrandosi nella pieghe del potere (oggi Lega Nord o Pdl), dividendosi in piccole frazioni pronte ad agire come irrazionali squadracce, cooptando la malavita e scendendo a patti con le mafie. Oppure arruolando politicamente le curve degli stadi. Sono gli stessi, per intenderci, che ogni primo novembre sfilano al cimitero Maggiore (talvolta insieme al sindaco con la fascia tricolore a tracolla) per rendere omaggio, tra labari e bandiere con il gladio, agli aguzzini della Repubblica di Salò. Gli stessi che accoltellano un consigliere comunale di Rifondazione comunista intento ad attaccare manifesti, oppure mettono per due volte una bomba nella sede dell’Associazione Naga, colpevole di occuparsi dei diritti degli immigrati. Sono i “mai morti”, insomma. A Milano, non su Marte.

Saverio Ferrari che differenza c’è tra i fascisti di oggi e quelli degli anni Settanta?

La stagione degli anni Settanta è sepolta. Allora i neofascisti furono utilizzati per compiti che oggi non servono più. Non dimentichiamo che Ordine nuovo era stato allevato dai servizi segreti ai fini della guerra psicologica. La strategia della tensione, infatti, non fu la follia di un pazzo isolato, ma un progetto ben pianificato e cominciato al convegno dell’Hotel Parco dei principi a Roma nel 1965. Poi quelle stesse organizzazioni furono combattute dalla magistratura e sciolte dal ministero degli interni. Oggi invece notiamo come ci sia una maggiore vicinanza, diciamo ideologica, tra la destra di governo e quella fascista. Basti pensare al rifiuto della società multiculturale, alla difesa dell’Occidente, della cristianità e della famiglia. Ma anche il tentativo di modificare la costituzione, di rivedere la resistenza facendola passare per banditismo e di riscrivere la storia degli anni Settanta, coprendo le responsabilità della destra e colpevolizzando le sinistre. In un certo senso un denominatore comune con i fascisti del passato è il fatto che c’è sempre una cittadella da difendere.

Eppure il neofascismo continua a frazionarsi…

Be’, quello è un mondo in cui ognuno vuole fare il duce. Però si frazionano anche per divergenze culturali. Forza nuova, ad esempio, ha forti connotazioni cristiane, altri invece sono legati a riti pagani. C’è poi in loro una vocazione elitaria, quindi si comportano come gli squadristi degli anni Venti, cercando di ripeterne la storia in base all’assunto che pochi elementi possono sconfiggere grandi masse. Insomma, vecchi miti riproposti senza grande fantasia. Il 23 marzo scorso, addirittura, per il 91° anniversario della fondazione dei fasci di combattimento, una decina di camerati ha tenuto una commemorazione in onore degli squadristi della prima ora. Alla cerimonia ha partecipato un vecchio “mutino” (della Legione Muti, famigerata a Milano per le torture inflitte agli antifascisti durante la Repubblica di Salò, NdR). Si dà il caso, infatti, che al cimitero monumentale di Milano esista ancora un sacrario dei martiri fascisti della “rivoluzione”, eretto durante il regime. Si tratta di 13 giovani che si erano macchiati di efferatezze: bombe, omicidi, spedizioni punitive, assalti a redazioni di giornali e camere del lavoro, botte a dirigenti politici nemici e a sindaci regolarmente eletti. Tutti morti in “incidenti sul lavoro”.

Il libro racconta anche la storia politica delle due curve milanesi. È quello il principale luogo di reclutamento del neofascismo milanese?

Le curve degli stadi in verità non sono un buon luogo di proselitismo. Servono per far passare alcuni messaggi, ma poi non tutti diventano fascisti. È uno spazio dove far vivere certi rituali, non un luogo di reclutamento. Anche perché a Milano le curve sono oramai preda delle organizzazioni criminali. C’è però un’ambizione a entrare in relazione con le nuove generazioni, perché arruolare giovani è sempre stato un problema per la destra. Ecco perché le discoteche, le palestre, gli stadi. Ma anche i centri sociali, come Casa Pound. Sembra che, non avendo strumenti loro, si mettano a copiare. E allora diventano anticapitalisti, anti globalizzazione, arruolano miti giovanili come Rino Gaetano e addirittura Che Guevara. Contestano perfino la Gelmini. È un giovanilismo fine a se stesso, certo, ma molto in sintonia con il fascismo degli anni Venti.

Un’altra questione che si evince dal suo libro è il rapporto che c’è oggi tra neofascismo e mafie.

Che poi non è una novità. Da sempre le ‘ndrine hanno avuto rapporti con i fascisti, come a Reggio Calabria nel 1970. E per il golpe borghese si mosse la mafia, che fece un summit in via General Govone a Milano. Oggi la Dia ha scoperto la contiguità tra neofascisti milanesi e organizzazioni mafiose. Non è un rapporto di tipo eversivo, ma legato ad affari, ricchezza e potere. E a rapporti personali. Per esempio a Domenico Magnetta (uomo di fiducia di Lino Guaglianone, tesoriere dei Nar condannato dalla Cassazione nel 1995) hanno trovato un arsenale. Progettavano un attentato a un magistrato con tanto di auto clonata. E forse non è un caso che Guaglianone (candidato per AN nel 2005, NdR) abbia preso voti a Buccinasco.

Un pentito sembra voler fornire nuove informazioni sulla strage di Brescia. L’impressione è che si cerchi di tenere in vita un processo per una strage i cui responsabili sono già stati processati.

In realtà ci sono due nuovi pentiti. Uno avrebbe sentito casualmente un imputato per la strage dire di aver mentito perché sotto ricatto. Ma non penso che questo possa avere ripercussioni sul processo d’appello. La Cassazione ha già condannato come esecutore Ermanno Buzzi, che poi fu ucciso in carcere da Tuti e Concutelli. Altri invece sono stati addirittura già processati e assolti. La fonte Tritone, cioè Maurizio Tramonte, che disse cose molto importanti a ridosso della strage, poi ritrattò. Un prete affermò di aver visto lo stragista, ma non venne creduto. Tutto ha sempre concorso a intorpidire le acque e a fornire verità. Ciò nonostante in questi ultimi 15 anni gli elementi per esprimere un giudizio storico ci sono tutti. Alla sbarra sono state portate parecchie persone che però, ad eccezione di Rauti e Delfino, non erano che meri esecutori. Mancano le figure di raccordo con le istituzioni, e le coperture. Perché è chiaro che gli apparati di intelligence e i servizi segreti erano conoscenze delle trame eversive. Un po’ lasciavano fare, un po’ orientavano. È una storia che ancora deve essere scritta. Mancano i nomi dei piani alti. Questi di sicuro non sono stati ancora processati.


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angelico
00sabato 5 novembre 2011 21:50
Varese, intitolato parco al teorico del fascismo
Giovanni Gentile tra le polemiche di Anpi e Pd Questa la targa: "Al filosofo e padre della scuola italiana, assassinato il 15 aprile 1944 negli anni tristi della guerra civile e della divisione tra gli italiani". Proteste dell'Anpi e del Pd nelle scorse settimane, ma all'inaugurazione non si presenta nessuno. Il primo cittadino leghista rivendica la scelta: "Grave che in questo Paese non siamo ancora riusciti a superare le contrapposizioni ideologiche"Il filosofo Giovanni Gentile “A Giovanni Gentile filosofo e padre della scuola italiana, assassinato il 15 aprile 1944 negli anni tristi della guerra civile e della divisione tra gli italiani”. Questa la scritta che da stamattina campeggia sulla targa di un giardino pubblico di Varese, tra il liceo classico e una scuola media.

Proprio quel Giovanni Gentile: filosofo, ma soprattutto teorico del fascismo, ministro dell’Istruzione all’inizio del Ventennio, sostenitore del regime, firmatario del “manifesto della razza” e repubblichino.

La giunta comunale di Varese ha scelto di procedere per l’intitolazione del giardino, sulla scorta di una proposta formulata nel 2005 dall’allora consiglio di circoscrizione. A fare da padrino all’evento, celebrato sotto una fitta pioggia, è intervenuto l’assessore Stefano Clerici (Pdl in quota ex An), sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine che hanno presidiato l’area nel timore di contestazioni da parte dei detrattori dell’iniziativa.

Non sono infatti mancate polemiche nelle scorse settimane, con obiezioni sollevate da parte degli esponenti dell’Anpi e del Partito Democratico: “Una decisione inopportuna – ha commentato nei giorni scorsi il capogruppo del Pd in consiglio comunale, Fabrizio Mirabelli – è la figura di un intellettuale che ha aderito al fascismo che non ci va bene, un uomo che firmò il ‘Manifesto della razza’ e che aderì alla Repubblica sociale, non mi pare una scelta che unisca le varie sensibilità della città”. Totale disaccordo è stato espresso anche dall’Anpi varesina: “Fu ministro durante la Repubblica sociale italiana, voluta e sostenuta dal regime nazista. Questi fatti inducono le forze democratiche alla continua vigilanza sulle iniziative miranti a negare il valore della lotta di Resistenza che, unica, insieme agli eserciti alleati, ha garantito all’Italia libertà, democrazia e pace”.

Chi si aspettava presidi o contestazioni è rimasto però deluso. Alla cerimonia non si è visto nessuno, né un drappo partigiano, né uno striscione di protesta.

In compenso il sindaco di Varese, il leghista Attilio Fontana, si è detto esterrefatto per le polemiche: “E’ grave che in questo Paese non siamo ancora riusciti a superare le contrapposizioni ideologiche. Stiamo ancora a parlare di fascismo e comunismo, quando fuori dai palazzi la gente è ben al di là di tali divisioni, ideologiche appunto, “care” solo agli pseudopolitici. È vergognoso a mio parere che ci si confronti in tali termini in occasione dell’inaugurazione di un parchetto”. E, ancora: “Perché sollevare questioni di pensieri buoni e pensieri cattivi? Dobbiamo ricominciare le stucchevoli discussioni se abbia fatto più danni il comunismo o il fascismo? Io credo che al di là di qualche rigurgito neoideologico a nessuno più interessi. Nel nostro Paese i valori della democrazia e della libertà sono ormai patrimonio acquisito”.


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