La nazione ed il residuo (Luca 1-3)
La nazione ed il residuo (Luca 1-3) Che il lettore non s’inganni sul titolo di questo piccolo lavoro — ne forma meno il soggetto Giovanni Battista che Cristo. Per quanto la sua personalità sia interessante ed importante, Giovanni non può essere che come il fondo d’un quadro destinato a mettere in rilievo Colui che era più grande di lui; ed è così che il profeta stesso avrebbe scritto la sua storia, del che ne fa fede tutta la sua vita e tutte le sue parole.
Il capitolo primo dell’Evangelo di Luca ci fa entrare in un modo vivissimo nelle circostanze di Israele, giusta come le trovò il precursore e come precedettero la manifestazione del Messia. Un grande cambiamento era avvenuto alle circostanze di questo popolo, dai giorni di Neemia in qua; l’ultimo impero universale dei Gentili l’aveva soggiogato, ma moralmente il suo stato non differenziava molto da quello che il profeta Malachia ci rivela 450 anni avanti Cristo. Israele non era più in guerra aperta con l’Eterno; i falsi dei erano spariti dalla casa spazzata ed adorna; il fico era coperto delle foglie d’una professione esteriore, ma sotto questa bella apparenza si nascondeva un’assoluta sterilità. L’indifferenza e l’insensibilità, peggiori dell’odio, erano al fondo del cuore di questo popolo. Uno dei caratteri dell’apostasia è di stimare che non vale nemmeno più la pena di pensare a Dio; e gli uomini dei nostri tempi stanno appunto rigettandolo come un Dio invecchiato. Ciò che farà piegare fin nella polvere la fronte pentita del residuo d’Israele, allorché i loro occhi saranno finalmente aperti sul Cristo, sarà l’aver potuto passare con indifferenza accanto all’uomo dei dolori, senza provare per Lui nessuna stima (Isaia 53).
Tali erano già ai tempi di Malachia i rapporti d’Israele con Dio. Quando il Signore con voce tenera diceva loro: «Io vi ho amati», essi che ignoravano il cuore di Dio, rispondevano: «In che modo ci hai amati?»; e quand’Egli diceva ai sacerdoti: «Voi avete disprezzato il mio nome», essi, accecati quanto al loro stato ed alle loro trasgressioni, rispondevano: «In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?» Essi contaminavano la tavola del Signore, e gli offrivano vittime difettose, poiché, malgrado tutte le loro forme di religione, Dio non c’era nei loro cuori, ed essi non avevano la minima coscienza del disonore che gli facevano (Malachia 1).
Una tal religione finisce sempre per sembrare superflua a coloro che li praticano; e se soprafatti dalla noia, non ritornano idolatri essi stessi, ritorneranno presto al mondo idolatra, si uniranno ad esso, «sposeranno» come dice il profeta, «le figlie di dei stranieri» e diverranno una stessa carne con loro agli occhi di Dio vendicatore che eserciterà il giudizio sopra gli uni e sopra gli altri (Mal. 2, 11-16).
Ed è pure là che sta il pericolo per il cristiano in questi tempi di ruina. Asaf l’esprimeva così: «Perciò il popolo si volge dalla loro parte» (cioè dei malvagi) «beve abbondantemente alla loro sorgente», quando gli arrivano tempi di afflizione che contrastano con la crescente prosperità del mondo (Salmo 73).
Ma c’è per il cristiano un secondo pericolo maggiore di quello, perché è più plausibile, e questo è d’isolarsi a misura che vede aumentare l’indifferenza e la mondanità fra il popolo di Dio. Ora questa tendenza è affatto l’opposto del pensiero di Dio per i Suoi. È precisamente per questi tempi di ruina che il profeta ci dice: «Allora quelli che hanno timore del Signore si sono parlati l’un l’altro» (Mal. 3:16). L’apostasia non isola coloro che temono il Signore, anzi li spinge a riunirsi, come dice un Salmo: «Io sono amico di tutti quelli che ti temono» (Salmo 119:63). Così avviene in tutti i tempi difficili del popolo di Dio: fu così per i giovani testimoni della cattività di Babilonia (Daniele 2:17), e tale è oggi il caso nei tempi pericolosi della fine (2 Tim. 2:22); fu così nelle tetre ore che seguirono la croce, quando i discepoli ancora ignoranti parlavano l’uno all’altro sulla strada di Emmaus, e noi vediamo la stessa parola realizzarsi d’un modo immediato e rimarchevole in questi primi capitoli dell’Evangelo di Luca.
«Quelli che hanno timore del Signore si sono parlati l’un l’altro», è la divina risorsa per i tempi della rovina. In mezzo al deserto arido della professione senza vita, vedete quei pochi fedeli cercarsi, trovarsi, intrattenersi assieme. Maria ed Elisabetta parlano l’una all’altra, Zaccaria ed i suoi vicini s’intrattengono di queste cose, i pastori le divulgano, Simeone le annunzia, Anna ne parla «a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme».
Ora, notiamolo bene, non c’è che un solo soggetto intorno al quale sono occupati tutti questi fedeli: è la consolazione d’Israele, è Cristo, il Messia, è la persona del Salvatore; ed una tale conversazione piace a Dio, vi sta attento, e vi presta orecchio. — Egli nota queste cose in un libro speciale. Niente è più gradevole a Dio che dei cuori che sappiano apprezzare il Suo diletto Figlio. Caro lettore, Egli prende nota del valore che ha il nome di Gesù per te e per me ; e se preghiamo Cristo in questi giorni di afflizione, avremo in un giorno futuro, nel giorno della gloria, l’intima approvazione di Dio: «Essi saranno, nel giorno che io preparo, la mia proprietà particolare(*), dice il Signore degli eserciti» (Mal. 3:17). Una tale promessa non è forse fatta per incoraggiare le nostre anime?
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(*) o: «il mio particolare tesoro» (Nuova Diodati).