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I medici stranieri in Italia? In 4 anni si sono moltiplicati. Ecco perché, e chi sono

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2024 19:55
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In passato l’Italia era la meta prediletta per laurearsi e tornare in patria, poi è diventata un luogo ambito per chi aveva già completato gli studi. Ora il nostro Paese deve andare fuori dai confini (anche europei) per trovare chi possa curarci e compensare le migliaia di posizioni scoperte. Il Covid ha avuto un peso enorme, ma hanno contato anche le guerre e leggi non più adeguate

I medici stranieri in Italia? In 4 anni si sono moltiplicati. Ecco perché, e chi sono
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Nei nostri ospedali e ambulatori pubblici e privati oggi ci sono 28 mila medici di origine straniera che ci curano, di cui l’87% provenienti da Paesi extra Ue. I titoli di quotidiani e telegiornali, al motto di «I medici stranieri salvano la Sanità italiana», ci stanno raccontando un’Italia che s’affida sempre di più alle loro cure per rimediare a decenni di errori di politica sanitaria che hanno portato allo svuotamento delle corsie rimaste sguarnite di medici (e non solo): il blocco del turnover scattato dal 2005, che non ha fatto sostituire il 10% dei medici andati in pensione, è andato di pari passo con una cattiva programmazione degli specialisti da formare, troppo pochi rispetto ai reali bisogni. Così nella migliore delle ipotesi almeno fino al 2027, quando le entrate nel Servizio sanitario nazionale al termine delle Scuole di Specializzazione e le uscite per pensionamento si riequilibreranno, siamo costretti a fare i conti con l’«emergenza-personale».

SONO 28 MILA MEDICI DI ORIGINE STRANIERA CHE CI CURANO TRA OSPEDALI E AMBULATORI PUBBLICI E PRIVATI

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Ma chi sono, dove lavorano e a che condizioni, i medici stranieri? È una storia che parte da lontano e ci mostra una capovolta: l’Italia, da meta prediletta per chi vuole fare studi di prestigio in Medicina, e poi destinazione di chi con una laurea già in tasca va in cerca di miglior sorte, oggi è diventata un Paese costretto ad andare a caccia fuori dai confini di chi può curarci. Sembra passato un secolo da quando Foad Aodi e il suo amico Musa Abu Hegle, allora 19 enni, partono da Jaljulia, città araba in Israele al confine con la Cisgiordania e tutto il paese va a salutarli. In valigia il sogno di diventare medici. È il settembre 1980 e l’Italia attira studenti in Medicina dai Paesi Arabi (Siria, Libano, Palestina, Libia ed Egitto), da Israele, dai Paesi Africani (Nigeria, Camerun, Congo, Somalia) e dal Sud America (Argentina, Brasile, Cile, Perù).

La passione per il calcio, la scelta dell’università
Molti di loro conoscono il nostro Paese per le imprese calcistiche di Antonio Cabrini, Paolo Rossi, Giancarlo Antognoni & C., che vinceranno poi gli storici Mondiali del 1982: lui e il suo compagno di viaggio sono tra questi. L’11 luglio 1989 Aodi si laurea alla Sapienza di Roma, per poi specializzarsi in Fisiatria, Ortopedia e Traumatologia. Dopo gli studi solo il 45% decide di restare, e lui lo fa per amore di Donatella, conosciuta all’università e sua moglie da ormai 30 anni. Il decreto-legge n. 416 del 30 dicembre 1989, più noto come legge Martelli, permette a chi ha studiato in Italia di iscriversi all’Ordine dei Medici anche senza la cittadinanza italiana (fatto salvo, ovviamente, il permesso di soggiorno in regola), così inizia la sua carriera che lo porta oggi, 60enne, a essere direttore sanitario di tre centri medici, docente a contratto all’Università di Tor Vergata in Scienze infermieristiche e in Fisioterapia, nonché storico fondatore e presidente dell’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi). Insieme a lui altri 2-3 mila medici beneficiano della Legge Martelli per lavorare e negli anni la stragrande maggioranza ha i requisiti per prendere la cittadinanza italiana.


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Da Sofia a Roma, ma la laurea non vale
È, invece, il 1995 quando Eugenia Voukadinova, allora 28 enne, una laurea alla Sofia Medical University con specializzazione in Dermatologia e Malattie veneree, lascia la Bulgaria, la mamma medico e la sorella farmacista, per costruirsi un futuro a Roma. Sono gli anni successivi alla caduta del Muro di Berlino che vedono arrivare nel nostro Paese medici anche da Romania, Albania, Moldavia, Polonia, Russia e Ucraina. In assenza di un riconoscimento del titolo di studio «troppo difficile da ottenere», la dottoressa Voukadinova tira a campare facendo flebo e medicazioni, per poi decidere di tornare all’università, stavolta a Tor Vergata, e prendere un’altra volta la laurea. Il 31 agosto 1999 entra in vigore il decreto del Presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi) n. 394 che all’art. 49 prevede: «I cittadini stranieri, regolarmente soggiornanti in Italia che intendono iscriversi agli Ordini (...) se in possesso di un titolo abilitante all’esercizio di una professione, conseguito in un Paese non appartenente all’Unione europea, possono richiederne il riconoscimento ai fini dell’esercizio in Italia». Ma niente, neppure così: «La burocrazia era cosa estremamente complessa e io non sapevo dove sbattere la testa».

La Bulgaria entra nell’Ue
La situazione si risolve nel 2007 quando la Bulgaria entra nell’Ue: «Nel giro di 3-4 mesi mi sono vista riconoscere la laurea della Sofia Medical University e, dopo un esame scritto e orale in lingua italiana, mi sono risparmiata la tesi di laurea a Tor Vergata!». Comprensibilmente ancora oggi chiunque voglia iscriversi all’Ordine dei Medici per esercitare in Italia deve, come la dottoressa Voukadinova, farsi riconoscere il titolo di studio: la differenza è che per chi si laurea in Medicina nella Ue l’autorità competente a pronunciare il riconoscimento è il Ministero della Salute, mentre per chi ha un titolo di studio preso in un Paese extra Ue il Ministero della Salute deve indire una Conferenza dei Servizi a cui partecipa anche il Ministero dell’Università.


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La primavera araba e l’ondata da Africa e Medioriente
Dal 2011, con la Primavera Araba, arrivano in Italia in cerca di fortuna sempre più medici da Marocco, Algeria, Siria e Tunisia. E nel 2015 sono 17 mila i dottori di origine straniera nel nostro Paese di cui 6 mila europei e 11 mila extraeuropei. Nel 2019, anno pre-Covid, il numero sale ancora: 21 mila, di cui 5.200 provenienti da Paesi Ue e altri 15.800 da Paesi extra Ue. In pochi hanno la cittadinanza italiana e per il 75% lavorano nelle strutture private (accreditate e non) perché i medici extra Ue non possono partecipare ai concorsi per essere assunti a tempo indeterminato negli ospedali pubblici. Il motivo: c’è una giungla di interpretazioni legislative che impegna da anni i tribunali. In assenza di disposizioni legislative chiare di prassi ci si ispira all’art. 51 della Costituzione che dice: «Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici...». Tradotto nella pratica vuol dire che l’esercizio delle funzioni pubbliche - com’è considerato anche quello di un medico arruolato dal Servizio sanitario nazionale - è tradizionalmente riservato solo ai cittadini italiani e, dal decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, art. 3, anche a quelli europei (con l’unica esclusione dei posti che attengono alla tutela dell’interesse nazionale come magistratura, corpi militari e di polizia). Di fatto, dunque, gli ospedali pubblici sono off-limits.

I mesi del Covid e la svolta negli ospedali
Il 17 marzo 2020, nel pieno di uno dei mesi più difficili del Covid, il decreto Cura Italia e il suo art. 13 portano a una svolta: gli ospedali pubblici hanno bisogno urgente di medici! E così: «Per la durata dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, in deroga agli articoli 49 e 50 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999 n. 394 (quello che prevede il riconoscimento dei titoli di studio, ndr) - si legge nel Cura Italia - è consentito l’esercizio temporaneo ai professionisti che intendono esercitare sul territorio nazionale una professione sanitaria conseguita all’estero. Gli interessati presentano istanza corredata di un certificato di iscrizione all’albo del Paese di provenienza alle Regioni e Province autonome, che possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti».

La brigata dei medici cubani
Di quei giorni è difficile dimenticarsi l’arrivo su quattro pulmini bianchi della brigata medica «Henry Reeve» arrivata da Cuba all’Ospedale Maggiore di Crema. Intervistato da Beppe Severgnini, il capo missione Carlos Ricardo Pérez Diaz dice: «Rimarremo finché è necessario e finché ci sentiamo utili». Loro sono in missione temporanea, gli altri che via via arrivano sono qui invece per restare. Ma fino a quando? La norma che, in estrema sintesi, abolisce il riconoscimento dei titoli di studio per i medici stranieri che vengono a svolgere la professione in Italia - lasciando la palla alle Regioni - viene prorogata al 31 dicembre 2021, poi al 31 dicembre 2022, ancora al 31 dicembre 2023, e il Milleproroghe del 27 febbraio 2023 la estende fino al 31 dicembre 2025: «Il professionista comunica all’Ordine competente l’ottenimento del riconoscimento in deroga da parte della Regione interessata, la denominazione della struttura sanitaria a contratto con il Servizio sanitario nazionale presso la quale presta l’attività».

Gli accordi dei Comuni con Paesi esteri
Il 7 dicembre 2021 Giuseppe Catania, sindaco di Mussomeli, 9.932 abitanti a 53 km da Agrigento e 58 km da Caltanissetta, è promotore di uno dei primi accordi strutturati di cooperazione con Paesi esteri. Lo firma con l’Università pubblica di Rosario, Argentina, che s’impegna a reclutare i medici specialisti mancanti all’ospedale di Mussomeli: chirurghi, pediatri, anestesisti, medici di medicina d’urgenza, ortopedici, fisiatri. Il Comune si impegna a fornire gratuitamente corsi di alfabetizzazione linguista e assistenza logistica ai medici selezionati. Un’esperienza che fa scuola. Lo scorso 23 novembre l’assessorato alla Salute della Sicilia pubblica un avviso aperto (cioè senza scadenza) rivolto ai medici sia di Paesi dell’Unione europea che di provenienza extracomunitaria: «Devo garantire» dice il presidente Renato Schifani «il diritto alla salute a tutti i siciliani». Il 17 agosto 2022 Roberto Occhiuto, commissario ad acta per la Sanità in Calabria, sottoscrive un accordo con la Comercializadora de Servicios Médicos Cubanos, S.A., una società commerciale con capitale al 100% appartenente allo Stato cubano, controllata dal Ministero della Salute Pubblica di Cuba. Obiettivo: reclutare medici professionisti per strutture del servizio sanitario calabrese.

Tante richieste anche al Nord
La caccia al medico straniero, però non è prerogativa delle Regioni del Sud. Lo scorso 31 dicembre s’è chiuso un avviso pubblico di Regione Lombardia, aperto nel febbraio 2023, per raccogliere domande «ai fini dell’esercizio temporaneo della professione sanitaria di medico in base a una qualifica professionale conseguita all’estero». Li possiamo incontrare - assicura l’Associazione dei medici di origine straniera in Italia - negli ospedali pubblici di Torino, Brescia, Padova, Bologna, Roma, oltre che a Bari, Cosenza, Napoli, Caltanisetta, Catania e Cagliari. E la lista può continuare. Risultato: dei 21 mila medici stranieri in Italia nel 2019 (pre-Covid) solo il 25% lavora nel servizio sanitario pubblico (quelli con la cittadinanza italiana); mentre dei 28 mila di oggi ben il 40% (ci sono poi 219 che fanno i medici di famiglia). Ma per gli ospedali pubblici resta il diktat: nessuna assunzione a tempo indeterminato, quelle possono avvenire sempre e solo attraverso i concorsi e i medici stranieri senza cittadinanza italiana non possono partecipare! Un’interpretazione legislativa che - ci sentiamo di sostenere - fa a pugni con i tempi che corrono e che avvantaggia i privati.


www.corriere.it/sette/attualita/24_febbraio_04/medici-stranieri-italia-0d6d7a80-bde1-11ee-953a-f2625d858469.shtml?re...

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