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Scontrini folli, quando ci si può rifiutare di pagare? La guida anti-abusi

Ultimo Aggiornamento: 29/08/2023 17:32
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L’avvocato Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, spiega quali comportamenti adottare al bar o al ristorante di fronte ai rincari furbi o del tutto illegali di quest’estate. La Fipe: «Alcune situazioni sono state inopportune, ma non generalizziamo»
Scontrini folli, quando ci si può rifiutare di pagare? La guida anti-abusi
Due euro in più per il basilico sulla pizza, per dividere un toast o per un piattino vuoto. Dieci centesimi per una spruzzata di zenzero sul cappuccino, 50 per pagare con il Pos, venti euro per un piatto rotto. Quella del 2023 è l’estate del caro-scontrini: da Novara a Portofino, da Panarea al lago di Como, i consumatori hanno segnalato voci di costo di ogni genere, talvolta fantasiose, talvolta proprio illegali, come nel caso della maggiorazione per il pagamento elettronico. Insomma, a colpi di segnalazioni social siamo nel bel mezzo di un’estate ad alta tensione in cui il rapporto che dovrebbe essere di fiducia tra cliente ed esercente in più di un’occasione è venuto meno.

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La «guerra» tra gli ultimi anelli della catena
Cosa sta succedendo? «Quest’anno sono aumentate le rimostranze dei consumatori perché sono aumentate le furbate degli esercenti. Il tutto, secondo me, dovuto a una situazione generale di difficoltà — commenta Massimiliano Dona, avvocato e presidente dell’Unione nazionale consumatori —. Purtroppo vedo un clima di guerra tra gli ultimi anelli della catena: i ristoratori da un lato, che arrivano alla fine di una filiera piena di rincari, e i clienti dall’altro, che hanno meno soldi in tasca tra stipendi fermi e inflazione, e che dunque sono più attenti e vigili. Entrambi sono i soggetti che più subiscono l’attuale congiuntura economica». Lo dicono anche i numeri, come spiega Roberto Calugi, direttore generale di Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi che rappresenta le imprese della ristorazione: «Il settore viene da due anni drammatici di rincari, dalle materie prime all’energia. Anche l’indebitamento e gli oneri finanziari sono aumentati. Una situazione prolungata che ha eroso moltissimo i margini di guadagno. Eppure, secondo un’elaborazione Fipe su dati Istat, i prezzi della ristorazione sono saliti dell’11 per cento rispetto a luglio 2021, mentre nello stesso periodo l’inflazione è aumentata del 14 per cento e le materie prime alimentari del 22 per cento. Tra le quali la pasta, cresciuta del 34,8 per cento. Quindi gli aumenti per i clienti finali restano al di sotto di quelli di cui gli esercenti si devono fare carico. A nessuno piace alzare i prezzi, ma i ristoranti e i bar sono imprese, non possono lavorare in perdita. E la maggior parte agisce in modo trasparente, pronta a esaudire le richieste dei clienti: non generalizziamo. Ciò detto, alcune segnalazioni dimostrano comportamenti inopportuni e controproducenti, che noi stessi sconsigliamo». Come uscire dall’impasse? Con la consapevolezza, ambo i lati.

L’uso del Pos
La prima cosa da sapere è che per legge l’esercente non può negare l’uso del Pos. «Se accade, il cliente può chiamare la Guardia di Finanza o la polizia locale: c’è una sanzione di 30 euro più il 4 per cento della transazione negata. Chiaro che se succede in un locale in cui di solito il Pos funziona e quel giorno c’è un guasto il cliente può capire la situazione, ma a volte si trovano cartelli “Pos guasto” con la cornicetta o lo scotch ingiallito. Ecco, quella è una violazione molto grave», continua Massimiliano Dona. E se si scopre dell’assenza del Pos alla fine del servizio non si è affatto tenuti ad andare a ritirare al Bancomat per pagare in contanti: «Il cliente deve pagare, certamente, ma poiché il disservizio è responsabilità dell’esercente, può tornare in un altro momento a saldare o fare un bonifico. E nessuno può trattenerlo». È illegale anche addebitare al cliente una maggiorazione per il pagamento elettronico: «In questo caso si tratta di una pratica commerciale scorretta, non c’è la sanzione, ma si può chiedere all’esercente di stornare l’importo, segnalare il fatto sul sito dell’Agcm, l’autorità preposta al controllo della concorrenza e del mercato, e chiamare la Guardia di Finanza», spiega Dona. Un terzo scenario è la richiesta di un importo minimo per poter usare il Pos: «Anche questo è illegale, il cliente si può rifiutare di procedere».

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Trasparenza dei prezzi e trappole per turisti
L’altra grande regola aurea è la pubblicità dei prezzi: «Devono essere segnalati già all’esterno — spiega Dona —. E se il cliente trova differenze con quelli riportati nel menu all’interno ha il diritto di pagare la somma più bassa». E per i piatti fuori menu, spesso spiegati a voce? «Il cameriere dovrebbe dire il prezzo. Se non lo fa, il cliente lo chieda, così non avrà sorprese. Stessa cosa per il vino: meglio domandare sempre la carta. Si tenga presente che quando avviene l’ordinazione si stabilisce tra cliente e ristoratore un vero e proprio contratto, chiamato contratto atipico di ristorazione: si tratta di un accordo verbale che impegna l’esercente a servire pasti e bevande a regola d’arte e il consumatore a pagare. Tutto ciò che è fuori da questo contratto è una pratica commerciale scorretta». Ma c’è un limite al rincaro dei prezzi? «No, in Italia sono liberi. Infatti il punto non è sindacare sul perché uno spaghetto alle vongole costi 15, 30 o 50 euro: dietro c’è il lavoro, la creatività di chi cucina. E l’esperienza di mangiare fuori casa. Però il cliente deve sapere con chiarezza quanto spende». Quello che non si può fare, invece, è il doppio menu con prezzi diversi per italiani e stranieri: «Fare una differenza tra i clienti è gravissimo e denunciabile».



Il piattino vuoto si paga? L’effetto «compagnia aerea»
Veniamo agli «scontrini folli» di quest’estate: è legittimo addebitare due euro per un piatto vuoto per la condivisione o 1,50 euro per un cucchiaino in più? «No, stoviglie, piatti e tovaglioli dovrebbero essere inclusi nel coperto — spiega Dona —. Arrivati alla cassa, il mio consiglio è controllare sempre lo scontrino. Se si trovano voci del genere ci si può rifiutare di pagarle». Che dire dei due euro per tagliare a metà il toast o per il basilico sulla pizza? «Dal punto di vista legale, se questi supplementi sono segnalati sul menu, sono legittimi perché il ristorante è un luogo privato in cui il ristoratore fa le sue politiche, l’importante è che il cliente sia informato. Se invece non sono segnalati da nessuna parte il cliente può rifiutarsi di pagare quelle voci». Si apre poi il capitolo del senso di opportunità di alcuni costi: «Nel caso della maggiorazione di due euro per tagliare il toast sul Lago di Como eravamo ai limiti — continua Dona —. Un conto è se in cucina devono dividere un piatto gourmet, azione che implica un certo tempo e un certo lavoro, un conto è se si tratta di tagliare un panino... Vale anche per il basilico: non è un ingrediente aggiuntivo come il prosciutto crudo o la mozzarella di bufala sulla margherita, di solito è incluso nella pizza. Se si comincia a far pagare separatamente ciò che di norma è incluso nel piatto o nella pratica della ristorazione si prende la strada di alcune compagnie aeree low cost, che hanno di fatto scomposto il servizio. E che infatti adesso sono odiatissime».

Coperto, acqua e pane
Il coperto è il costo che il ristoratore scarica sul cliente per tutto ciò che riguarda la tavola e il servizio: stoviglie e loro lavaggio, lavoro del cameriere, tovaglie, tovaglioli, allestimento, eccetera. «Deve essere segnalato sul menu: se non è scritto nulla e ci si trova una voce nello scontrino, ci si può rifiutare di pagarla». Di recente si trovano coperti diversi nello stesso ristorante: «Quattro euro all’interno, sei sul pontile. Vale la solita regola: legittimo se è esplicitato sul menu. Ma rientra sempre nel discorso generale: ne vale la pena?». Capitolo a parte per il pane: «La gente pensa che sia nel coperto, invece no. Se il cestino del pane è gratis nessun problema, ma se ha un costo va indicato nel menu e, se si trova già in tavola, va chiesto al cliente se lo vuole tenere o meno. Per quanto riguarda l’acqua, tutti avrebbero diritto di chiedere quella del rubinetto».

Mezze porzioni e ordinazione minima
Un altro tema sono le mezze porzioni: «Non tutti le servono ed è legittimo, oppure a volte non costano la metà esatta ma il 70 per cento del piatto intero. Basta che sia indicato. Se non è scritto sul menu si può ragionevolmente ritenere che costino la metà». Molte segnalazioni arrivate all’Unione nazionale consumatori ultimamente riguardano l’obbligo imposto da alcuni ristoranti di ordinare un tot di portate o di sostenere una spesa minima: «Legittimo anche questo, se opportunamente scritto. Ma mi sento di dire attenzione ai ristoratori: a forza di aggiungere costi, regole e obblighi, si rischia che andare a mangiare fuori diventi un lavoro invece che qualcosa di piacevole».

Stoviglie rotte
Venendo alle stoviglie, si possono chiedere 20 euro per un piatto rotto da una bimba di pochi mesi, come è successo a Maratea? «Dipende — commenta Dona —: si apre il doppio tema della responsabilità e dell’importo. Siamo sicuri che la colpa non fosse del cameriere che ha messo il piatto vicino alla bimba? E chi stabilisce che l’importo è 20 euro? C’è una fattura di acquisto del piatto? Che però nel frattempo si è usurato... è tutto da discutere. Il consumatore avrebbe potuto opporsi all’addebito, e se il ristoratore non fosse stato d’accordo avrebbe dovuto intentargli una causa civile». Per la Fipe si tratta di «un mezzo di produzione rotto», quindi «legalmente si può addebitare», dice Calugi. E aggiunge: «Ma è chiaro che è controproducente farlo, si deve andare a buon senso».

Un problema di competenze?
In sintesi, il suggerimento di Dona ai clienti è di evitare la denuncia postuma sui social e di parlare piuttosto con il ristoratore: «Quando ci sono incidenti è sempre meglio discuterne, magari si trova un accordo. Postare lo scontrino sui social senza aver detto niente lì per lì lo trovo vile. Dall’altra parte, ai ristoratori dico: vogliamo davvero buttare alle ortiche la reputazione di un settore per due euro del piattino vuoto?». Per Calugi della Fipe non bisogna fare di ogni erba un fascio: «Su 5 milioni di pasti serviti ogni giorno in Italia, i casi come quelli descritti finora sono veramente pochissimi. Non credo si sia perso il senso del servizio, però il fatto di aver perso 250 mila addetti con il Covid non ha aiutato. Sono andate perse anche tante competenze, che vanno sicuramente recuperate, ed è quello su cui noi stiamo puntando».

29 agosto 2023 (modifica il 29 agosto 2023 | 12:12)


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