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Affitti brevi, codice identificativo e soggiorno minimo: le nuove regole

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2023 09:39
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l ministro del Turismo, Daniela Santanché, ha proposto una stretta a livello nazionale agli affitti brevi con un disegno di legge il cui testo prevede una permanenza minima di due notti nelle Città metropolitane. Ciò significa che i turisti che avranno bisogno di pernottare solo una notte dovrà affidarsi ad altri servizi di soggiorno. L’intento è quello di favorire le strutture alberghiere, ma secondo un’analisi di Aigab (Associazione italiana gestori affitti brevi) si tratta di appena il 6,4% del totale dei pernottamenti. Una cifra che — come spiega Marco Celani, presidente dell’associazione e amministratore delegato di Italianway — «in termini economici sarebbe pari a 300 milioni di euro. Se teniamo conto anche dell’indotto, la cifra sale a 1,2 miliardi». Per il settore degli affitti brevi si tratta di una parte di mercato consistente, ma non è detto che il fatturato si trasferisca interamente a quello alberghiero.

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Quale sarebbe l’impatto delle nuove norme sul mercato in Italia?

Marco Celani, presidente di Aigab e amministratore delegato di Italianway
Marco Celani, presidente di Aigab e amministratore delegato di Italianway
«I pernottanti tipici delle città metropolitane sono persone che le frequentano per lo più per il weekend — illustra Celani —. Se la normativa dovesse passare, chi va su Airbnb e cerca una casa per una notte senza trovarla potrebbe decidere di andare in una città estera o di non partire proprio. In tal caso, come sistema Paese, questa seconda scelta fatta da un turista straniero avrebbe molto più peso per l’Italia: ad esempio, se un romano rinuncia ad andare due giorni a Venezia, le sue risorse le spenderà comunque a Roma; se invece dovesse rinunciare un parigino, le sue risorse non contribuiranno più al Pil italiano ma a quello francese». Le città che maggiormente saranno condizionate dalla permanenza minima a due notti sono Venezia (dove i cosiddetti mini-soggiorni equivalgono al 9,1% del totale), Firenze (che ne conta per il 6,9%), Milano (dove il dato tocca l’apice a 16,7%) e Bologna (7,4%). «Questo perché — aggiunge Celani — l’attrattiva è molto legata da eventi, come fiere, concerti, festival, e ovviamente viaggi di lavoro». La categoria degli albergatori ha avanzato una controproposta di alzare il soggiorno minimo a tre notti. Secondo i dati raccolti dall’Aigab, questo bloccherebbe il 25% delle prenotazioni, ma soprattutto «ci porterebbe a rivestire un ruolo di forte opposizione, perché è una richiesta monopolista».

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Ci sono simili restrizioni all’estero?
Guardando fuori dai confini italiani, soprattutto in Europa ci sono stati tentativi di limitazione al settore, che però hanno sempre riscontrato una bocciatura da parte di autorità e giudici. «In Spagna la restrizione ai soggiorni di una notte è stata bocciata e abbiamo fornito al ministero tutte le sentenze», racconta ancora il presidente di Aigab. Ad Amsterdam il comune ha imposto il divieto di affitto breve in tre quartieri e nella parte meridionale della cintura dei canali per favorire la qualità di vita della popolazione locale, invasa dai turisti. «La Corte di giustizia, però, ha ritenuto che non ci fosse proporzionalità tra gli sforzi fatti dall’amministrazione e il problema abitativo, per cui il provvedimento è stato ritenuto illegittimo», aggiunge Celani. Situazione analoga in Scozia: «Il Paese ha implementato una restrittiva basata su un sistema di licenze e dopo quattro mesi la corte di giustizia di Edimburgo l’ha bocciata, abrogandola».

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Come si è espressa l’autorità giudiziaria in Italia?
Alcune amministrazioni locali sono d’accordo con la linea tratteggiata dal ministero: il mercato degli affitti brevi ha bisogno di regole e restrizioni. È il caso di Venezia, per un emendamento al decreto Aiuti approvato in estate 2022 prevede un modello per limitare le prenotazioni nel centro storico e nelle isole, in modo da tutelare il patrimonio storico, culturale e ambientale ma anche favorire gli affitti di media e lunga durata. È disposto, inoltre, un tetto massimo di 120 giorni, anche non consecutivi, per l’affitto di un immobile; in caso di superamento, il sindaco determinare «con specifiche disposizioni regolamentari che lo svolgimento dell’attività sia subordinato al mutamento di destinazione d’uso e categoria funzionale dell’immobile». In attesa di una normativa nazionale, altre città — come Firenze e Milano — si stanno battendo per ottenere la stessa autonomia. Ma anche in Italia sono arrivati i primi stop da parte dei giudici. Il Tar del Piemonte, ad esempio, ha contestato per violazione della libertà d’impresa le disposizioni che limitano l’accesso all’attività extra-alberghiera e ne rendono più difficile l’esercizio: in particolare, la normativa chiedeva ad affittacamere e bed and breakfast un periodo massimo di apertura pari a 270 giorni e almeno un periodo minimo e continuativo di apertura pari a 45 giorni. Una sentenza simile era già arrivata dal Tar del Lazio nel 2016, che annullava un regolamento regionale che imponeva ad affittacamere e bed and breakfast in forma non imprenditoriale un regime di inattività forzata in alcuni periodi dell’anno (che il proprietario doveva comunicare) oltre che un limite dimensionale minimo.

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Codice identificativo nazionale (Cin): quali vantaggi porta?
Le altre due novità introdotte dal disegno di legge del ministero del Turismo, invece, potrebbero essere un buon segnale e portare maggiore rilevanza al settore. La prima riguarda il Codice identificativo nazionale (Cin). «Sarebbe un elemento qualificante e utile all’obiettivo, anche delle amministrazioni pubbliche, di controllare il fenomeno di sommerso ed evasione — argomenta Celani —. Da circa dieci anni in Italia sono stati introdotti dei codici unici regionali che, però, hanno valenza appunto solo sul territorio regionale e tra di loro sono estremamente difformi, adottano software diversi che raccolgono dati diversi e soprattutto non prevedono alcuna forma di controllo». Alcuni addetti ai lavori li adottano, ma di fatto oggi un gestore o un singolo privato senza codice identificativo può avere la medesima visibilità sulle piattaforme. Secondo il testo del ddl, la mancanza del codice a un immobile farebbe scaturire una multa fino a 5 mila euro per i proprietari e fino a 3 mila per i gestori. Ma, secondo Celani, non è una questione di ammenda ma di efficacia del controllo: «Prendiamo come riferimento il caso della Grecia: a marzo di quest’anno il governo ha trovato un accordo con le Ota (Online Travel Agencies, siti web per viaggi, ndr), per cui le autorità assegnano un codice agli immobili ma sono le Ota a gestirli. Se questo non risulta verificato o controllato, l’annuncio non viene promosso online. In questo modo ne sono stati bloccati circa 17 mila in pochi giorni».

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Cosa cambierebbe attribuendo un codice Ateco ai property manager?
Altro passo importante, previsto dalla versione attuale del ddl, consiste nel riconoscimento del ruolo delle società di property manager e nell’attribuire alla categoria un codice Ateco (la classificazione delle attività economiche adottata dall’Istat per finalità statistiche) indipendente. «Oggi esiste il codice Ateco 552051 che unisce affittacamere, bed and breakfast, case vacanza, rifugi alpini — spiega Celani —. Sono tutti soggetti, però, che hanno un peso economico diverso ed è giusto differenziarli. Avere un’identificazione riconoscerebbe direttamente la dimensione del fenomeno e il lavoro di chi gestisce le prenotazioni di affitti brevi in modo professionale. In Italia sono circa 30 mila le aziende che operano in questo mercato».





www.corriere.it/economia/affitti/23_giugno_21/affitti-brevi-codice-identificativo-soggiorno-minimo-nuove-regole-domande-risposte-44c70588-0e72-11ee-8d71-890509a973...
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