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Referendum Acqua: Atersir rende 9,6 milioni ai cittadini. Comitati: “Sono pochi”

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2014 12:59
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Nichi Vendola ha fatto dell'acqua pubblica uno dei suoi sermoni buoni per ogni campagna elettorale. Nel 2005 asseriva: "Provo orrore al pensiero che l'Acquedotto pugliese venga privatizzato". Dopo il referendum, visibilmente soddisfatto, ha detto: "Vince chi in solitudine e per decenni ha creduto che l'acqua pubblica non si può privatizzare". E' riusciuto in un'impresa bolivarista: nazionalizzare al cento per cento l'Acquedotto pugliese, la più grande struttura del genere in Europa, eredità di epoca post-risorgimentale, emblema (emblematico) delle politiche meridionaliste, di consorterie notabilati e clientele poco inclini alla concorrenza, che ancora oggi sconta perdite strutturali di acqua rilevanti.
Vendola ha messo a regime la s.p.a. controllata dalla Regione Puglia fino a raggiungere un utile di 30 milioni di euro (nel 2010), con un rialzo del rating dell'acquedotto da parte di Standard & Poor's, ma per capire quanto possa essere pericoloso questo neocomunismo iperdirigista e turbostatalista basta guardare a un vecchio modello di "sviluppo" dell'album di famiglia, l'economia di stato sovietica o jugoslava. Negli anni Ottanta le repubbliche sovietiche, e ancora meglio la confederazione titina, non erano economicamente instabili come comunemente si crede, nonostante la stagnazione e l'immane sforzo bellico della Guerra Fredda. Per ottenere il sempre sbandierato e mai realizzato bene comune, ovvero rafforzare il potere della nomenclatura e il consenso verso di essa, c'era un'unica soluzione: far pagare progressivamente alla popolazione il prezzo di quella crescita forzosa e drogata dalla mancanza di competizione, tenendo dritta la barra della pianificazione centrale mentre si governava con zelo diligente il lento impoverimento generale.
Cosa c'entra tutto questo con Vendola e l'Acquedotto pugliese? Un paio di giorni fa il governatore della Puglia ha commentato la manovra finanziaria di Tremonti dicendo che "il grosso dei 45 miliardi previsti sarà pagato estraendo dalle tasche degli italiania, dei ceti medi e bassi, tutto quello che si potrà estrarre", con una sicumera tale che può nascere solo dall'esperienza di chi sa come calare le mani nelle tasche altrui. Vendola c'è riuscito con le accise, i ticket sanitari, il repentino aumento dell'Irpef regionale, ma questi balzelli sfigurano davanti all'ultima mossa del governatore: far pagare l'acqua pubblica, cara, come prima. Il testo del secondo quesito referendario, approvato dalla stragrande maggioranza degli italiani, infatti, tra le altre cose prevedeva di abrogare "la remunerazione del capitale investito dai gestori". Un bel fiume di soldi, il 7% delle tariffe, la mano morta del capitale denunciata da ogni bravo compagno dei gazebo durante la campagna referendaria. Ebbene: la remunerazione è stata finalmente abrogata. Ma i pugliesi continueranno a pagarla.
Quel 7% serve a Vendola per ripianare i debiti dell'Acquedotto e a favorire gli investimenti dei prossimi anni (da 219 a 402 milioni di euro). Ci mancherebbe a non investire nelle infrastrutture. Ma pensateci solo un attimo: se a chiedere la remunerazione fossero stati i privati quella percentuale sarebbe diventata lo sterco del diavolo, se invece è la mano pubblica a prelevarla allora sembra la moltiplicazione dei pani e dei pesci. (C'è da dire che gli italiani hanno una storica predisposizione masochista a pagare di più e senza chiedersi il perché).
In realtà Vendola sapeva, e lo sapeva già da prima dei referendum, che sbarrando la strada al capitale privato avrebbe aperto la porta ai suoi apparati, esosi almeno quanto le corporations. Ma prima del voto popolare ha evitato la questione del risarcimento, blaterando con la solita foga oratoria sull'acqua per tutti e di tutti. E adesso risponde a chi gli chiede spiegazioni: "Prima nessuno me lo aveva chiesto". Fa niente se il Codacons abbia dissotterrato l'ascia di guerra minacciando una class action; al demagogo rosso ormai interessa solo salire nel rating di Standard & Poor's. Piedi per terra e mani sull'acqua. Gli utili dell'Acquedotto non saranno redistribuiti, i pugliesi continueranno a pagare la remunerazione e le cose andranno come sono sempre andate.
Ma per evitarsi rogne con la stampa e l'opinione pubblica serviva addossare preventivamente la colpa su qualcun altro, e la colpa è del berlusconismo, incarnato, alla bisogna, dall'attuale ministro Raffaele Fitto, storico avversario di Nichi nel Tavoliere. Gli assessori di Vendola accusano l'ex giunta Fitto di essersi fatta abbindolare dai bond americani per accedere al credito necessario a risollevare le sorti dell'Acquedotto. Qui va fatta una precisazione perché evidentemente s'ignora qual è stato il meccanismo che ha condotto alla disastrosa bolla dei titoli tossici, o conviene evocarla solo a metà, finché ci va di mezzo Fitto: le banche d'affari in questione nel 2008 erano il cuore della finanza mondiale, esaltate e glorificate proprio dalle agenzie di rating che i Vendola Boys prendono per il vangelo. "In Puglia la remunerazione del 7% del capitale investito è un costo," spiega sicuro di sé l'assessore Amati, "quello che pagheremo ogni anno fino al 2018 sul bond in sterline pari al 6,92% contratto durante la gestione dell'era Fitto", vagli a spiegare come le agenzie di rating elargivano triple A ai colossi in fallimento in cambio di succulente provvigioni.
L'elencone dei risultati sciorinati da Vendola per festeggiare la nazionalizzazione dell'acqua, dunque, l'appalto per la ricerca perdite, quello dei nuovi contatori, la lotta all'abusivismo e alla morosità, il telecontrollo, l'internalizzazione della depurazione, non sarebbero stati possibili senza aver prima stipulato dei mutui (rischiosissimi) con la grande finanza globale. "E' l'economia, stupido", un realista putiniano del suo calibro dovrebbe saperlo, quindi perché scaricare sui predecessori i costi della politica economica prevista da qui fino al 2018? La risposta è semplice: non alienarsi lo zoccolo duro del suo elettorato e chi fra i moderati e i liberali della domenica si è fatto abbindolare dal referendum.
Costoro possono stare tranquilli: nel prossimo esercizio della Regione Puglia è previsto un "minimo vitale", una quantità di acqua gratuita per tutti. Il contentino serve ad addolcire la parte più settaria di Sel, che storce il naso davanti a trucchetti come la remunerazione delle tariffe ma sa bene che l'Acquedotto pugliese è vitale per rafforzare le proprie rendite di potere nel medio e lungo periodo. Chi se ne frega del referendum, era una scusa per togliere di mezzo il mercato e tenere al riparo gli interessi dei nuovi carrozzoni pubblici. Ma quando i russi se ne accorsero (che il loro sistema aveva fregato il mercato), e Gorbaciov fece l'errore di farglielo capire (che si poteva vivere meglio in un mondo libero), l'Unione Sovietica crollò.

www.loccidentale.it/node/107172
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