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Referendum Acqua: Atersir rende 9,6 milioni ai cittadini. Comitati: “Sono pochi”

Ultimo Aggiornamento: 04/01/2014 12:59
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Referendum sull’acqua: volontà popolare imprigionata nei cavalli giuridici dei gestori Subito dopo l'esito della consultazione popolare del 12 e 13 giugno scorsi, l'Acea ha chiesto rassicurazioni sul mantenimento degli accordi stipulati a Giulio Napolitano, avvocato, esperto del settore e figlio del Presidente della Repubblica. Secondo il parere legale, l'esito dei quesiti non sarebbe sufficiente a intaccare gli interessi delle società idriche. Ecco perchéIl Sì all’acqua pubblica uscito dalle urne lo scorso giugno rischia di vedere i suoi effetti allontanarsi nel tempo, imprigionando la volontà popolare nelle pastoie giuridiche della giustizia amministrativa. E’ questa la tattica che i gestori privati dell’acqua hanno messo in campo subito dopo il voto dei ventisette milioni di italiani il 12 e 13 giugno scorsi, preparando le battaglie legali che potranno affollare i Tribunali nei prossimi mesi.

La mossa avviata da Acea - primo operatore idrico, società quotata in Borsa – che ha chiesto ad un giurista esperto quali armi tecniche utilizzare per contrastare la volontà dei cittadini italiani, è arrivata all’indomani del voto, dopo un Consiglio di amministrazione dove predominavano le facce cupe. Un parere contenuto in un documento di sedici pagine – che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare – con la pesante firma dell’avvocato Giulio Napolitano, ordinario di diritto pubblico a Roma Tre, uno dei due figli del Presidente della Repubblica – che gira dallo scorso giugno riservatamente tra i gestori dell’acqua, citato nei Consigli di amministrazione di tante Spa che si occupano di risorse idriche. Un dossier articolato, inviato a Renato Conti, manager della multinazionale romana, a capo della Direzione funzione legale, quando nelle piazze ancora si festeggiava la vittoria dei Sì.

Due i quesiti che Acea ha posto poche ore dopo il risultato del referendum: “Conoscere il nuovo assetto normativo dei servizi pubblici locali, verificando la legittimità delle convenzioni” e “un parere in merito alla nuova disciplina delle tariffa”, chiedendo lumi sulla “legittimità e validità degli atti stipulati”. In altre parole Acea voleva essere rassicurata dalla voce autorevole di Giulio Napolitano sul mantenimento di quelle condizioni di gestione dell’acqua contestate da tanti comitati che avevano portato milioni di italiani ad esprimere il loro voto per una gestione pubblica del servizio idrico integrato.

L’importanza del documento – di per se assolutamente legittimo – sta nella data, il 24 giugno 2011. L’interpretazione giuridica contenuta anticipa le tesi sostenute poi in tutta Italia dalle Autorità d’Ambito, che fino ad oggi hanno negato la riduzione delle bollette dopo l’abrogazione referendaria del 7% di profitto garantito.




Chi pensava che con il referendum si potesse tornare alla gestione pubblica dell’acqua, secondo Giulio Napolitano si deve mettere l’anima in pace: con il risultato del voto “in nessun modo (…) è possibile trarre indicazioni prescrittive in ordine ad un ipotetico ritorno a forme di gestione integralmente pubblica dei servizi idrici”. Nulla da fare – almeno nell’immediato – anche per il secondo quesito, quello che ha eliminato il profitto garantito, considerato dai gestori privati dell’acqua come una vera e propria bomba atomica in grado di eliminare ogni convenienza nel business degli acquedotti.

“La valutazione dell’effettivo impatto dell’abrogazione referendaria – si legge nel parere inviato ad Acea – è resa più complessa (…) dal decreto legge 70/2011″, ovvero dalla norma del governo Berlusconi che ha creato l’Agenzia di vigilanza delle risorse idriche. Secondo Giulio Napolitano toccherà proprio a questo organismo modificare la tariffa, come poi hanno sostenuto i gestori in tutta Italia. Peccato che questo nuovo organismo non è stato creato fino ad oggi. E, secondo il documento, le conferenze dei sindaci non hanno nessun potere per cambiare immediatamente la tariffa, perché questa operazione non terrebbe conto del “costo finanziario della fornitura del servizio”. Una tesi che avrà un particolare successo, partendo dalla Puglia - che non ha abrogato il 7% ritenendolo, appunto, un costo finanziario – fino all’ultimo documento di fine ottobre della commissione di vigilanza delle risorse idriche.

Ma c’è di più, una sorta di cavallo di Troia che potrebbe garantire alle società private dell’acqua di mantenere inalterati i dividendi dopo il referendum: “Tutti gli investimenti già effettuati dal gestore – spiega Napolitano -, anche laddove le opere non siano completate, dovranno continuare a essere coperti e remunerati in base alla tariffa a suo tempo fissata dall’Autorità d’Ambito“. In altre parole, se l’investimento del gestore è ammortizzato anche sui prossimi anni, il 7% di remunerazione del capitale rimane, con buona pace del referendum.

Per capire l’importanza di questo punto occorre guardare da vicino i conti di Acea, scoprendo gli incredibili meccanismi – permessi da quella legge poi abrogata – che hanno portato a utili milionari. Quando Acea ha iniziato a gestire, ad esempio, l’acqua nella provincia di Roma, ha stimato il proprio valore – e quindi la base per il calcolo del profitto del 7% – in 894,34 milioni di euro. Una cifra che viene sommata, anno dopo anno, all’ammortamento degli investimenti, facendo così crescere esponenzialmente la remunerazione, che, dopo le tasse, finisce nei dividendi per gli azionisti (oltre al Comune di Roma, che detiene il 51%, il gruppo Caltagirone, la Suez e tanti altri investitori privati). Quel valore iniziale doveva essere confermato da una perizia fatta dalla conferenza dei sindaci, atto che, però, non è mai stato realizzato, come ha ammesso la stessa segreteria tecnica operativa. Questo meccanismo ha garantito ad Acea, per la sola gestione dell’acqua nella provincia di Roma, dal 2003 al 2008, 404 milioni di euro di remunerazione del capitale investito, una cifra che ha alimentato i conti – non sempre rosei – della holding romana. Ora è probabile che Acea consideri quella cifra iniziale – che valuta il suo valore basandosi su criteri come il posizionamento sul mercato e il management – come un investimento avvenuto prima del referendum, e quindi, secondo il parere chiesto al giurista, intoccabile.

La battaglia che i comitati hanno annunciato sotto il nome di “obbedienza civile” si preannuncia, dunque, campale. La difesa del voto dovrà passare per i meandri giuridici pronti a bloccare quella piccola rivoluzione di giugno che punta a difendere i beni comuni.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/27/ecco-come-disinnesca-referendum-sullacqua-tutto-norma-legge...





www.slideshare.net/ilfattoquotidiano/acqua-pubblica?player=js
[Modificato da angelico 27/11/2011 20:25]
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Spesso neppure ce ne accorgiamo perché rispetto ai salassi di luce o gas, il costo dell’acqua rimane poca cosa. Eppure, come emerge dall’ultimo rapporto di Cittadinanzattiva, ogni anno la bolletta idrica pesa un po’ di più sulle nostre tasche. Goccia dopo goccia il rincaro ha raggiunto il 25% negli ultimi 5 anni con un balzo di quasi il 6% solo nel 2011. Una famiglia di tre persone paga oggi in media 290 euro l’anno, 16 euro in più di un anno fa e 67 euro più del 2007.

Le tariffe salgono quasi ovunque ma le differenze da città a città sono marcate sia in termini assoluti (si va dai 474 euro di Firenze ai 110 di Isernia) sia in termini di entità degli aumenti. La bastonata più forte l’hanno ricevuta ad esempio gli abitanti di Lecco che si sono trovati a pagare l’80% in più solo nell’ultimo anno e il 126% nel quinquennio. Seguono Benevento e Massa Carrara dove tra il 2007 e il 2011 le bollette sono lievitate dell’80 e del 64%. Più in generale sono ben 40 i capoluoghi che hanno subito aumenti superiori al 30% mentre risultano appena 6 su 117 quelli dove il costo dell’acqua è diminuito. Si tratta di Trento, Cremona, Avellino, Chieti e Agrigento (dove però la bolletta è di 445 euro, tra le più alte d’Italia).

Visto che la quantità di acqua a diposizione è sempre la stessa e i consumi non hanno subito significative variazioni si potrebbe sperare che gli aumenti siano almeno serviti per migliorare il servizio. Niente di più sbagliato. Salvo rare eccezioni gli oltre 330 mila chilometri di rete idrica italiana rimangono un colabrodo dove per ogni 100 litri immessi solo 68 arrivano ai rubinetti degli utenti. Per di più negli ultimi cinque anni la dispersione idrica è aumentata in 47 delle 88 città esaminate e in centri come Cosenza o Campobasso si colloca intorno al 70%.

“La verità è che gli aumenti sono serviti ai comuni unicamente per fare cassa e gli investimenti nessuno li ha visti” spiega il vicesegretario generale di Cittadinanzattiva Antonio Gaudioso. In alcuni casi sono stati persino caricati in bolletta oneri di depurazione senza che venissero costruiti i depuratori. “Il problema, aggiunge, è che per ora il settore è ancora privo di una vera autorità di controllo e ognuno fa un po’ quel che vuole. Finché questa situazione non cambia gli aumenti continueranno e gli investimenti non si faranno ” Come emerge dall’indagine, pubblico o privato fa poca differenza. Anzi, se nelle gestioni pubbliche i rincari sono un’eventualità quando ci sono di mezzo i privati diventano la regola. Valga l’esempio della Toscana, dove la presenza di privati nella gestione del servizio è più forte che altrove e le tariffe sono da tempo le più alte d’Italia.

A Firenze, Arezzo, Pistoia, Grosseto o Prato le bollette superano i 460 euro e sono aumentate in 5 anni di circa il 30% nonostante il livello di dispersione sia rimasto uguale o addirittura peggiorato. Esistono anche isole felici dove l’acqua costa poco e il servizio è efficiente. Valga l’esempio di Cremona, Trento o Milano. Nel capoluogo lombardo il servizio è in mano pubblica, quasi tutta l’acqua arriva a destinazione e la bolletta di 123 euro rimane tra le più basse d’Italia.

www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/08/tariffe-dellacqua-negli-ultimi-anni-lecco-incrementi-maggiori...
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Nichi Vendola ha fatto dell'acqua pubblica uno dei suoi sermoni buoni per ogni campagna elettorale. Nel 2005 asseriva: "Provo orrore al pensiero che l'Acquedotto pugliese venga privatizzato". Dopo il referendum, visibilmente soddisfatto, ha detto: "Vince chi in solitudine e per decenni ha creduto che l'acqua pubblica non si può privatizzare". E' riusciuto in un'impresa bolivarista: nazionalizzare al cento per cento l'Acquedotto pugliese, la più grande struttura del genere in Europa, eredità di epoca post-risorgimentale, emblema (emblematico) delle politiche meridionaliste, di consorterie notabilati e clientele poco inclini alla concorrenza, che ancora oggi sconta perdite strutturali di acqua rilevanti.
Vendola ha messo a regime la s.p.a. controllata dalla Regione Puglia fino a raggiungere un utile di 30 milioni di euro (nel 2010), con un rialzo del rating dell'acquedotto da parte di Standard & Poor's, ma per capire quanto possa essere pericoloso questo neocomunismo iperdirigista e turbostatalista basta guardare a un vecchio modello di "sviluppo" dell'album di famiglia, l'economia di stato sovietica o jugoslava. Negli anni Ottanta le repubbliche sovietiche, e ancora meglio la confederazione titina, non erano economicamente instabili come comunemente si crede, nonostante la stagnazione e l'immane sforzo bellico della Guerra Fredda. Per ottenere il sempre sbandierato e mai realizzato bene comune, ovvero rafforzare il potere della nomenclatura e il consenso verso di essa, c'era un'unica soluzione: far pagare progressivamente alla popolazione il prezzo di quella crescita forzosa e drogata dalla mancanza di competizione, tenendo dritta la barra della pianificazione centrale mentre si governava con zelo diligente il lento impoverimento generale.
Cosa c'entra tutto questo con Vendola e l'Acquedotto pugliese? Un paio di giorni fa il governatore della Puglia ha commentato la manovra finanziaria di Tremonti dicendo che "il grosso dei 45 miliardi previsti sarà pagato estraendo dalle tasche degli italiania, dei ceti medi e bassi, tutto quello che si potrà estrarre", con una sicumera tale che può nascere solo dall'esperienza di chi sa come calare le mani nelle tasche altrui. Vendola c'è riuscito con le accise, i ticket sanitari, il repentino aumento dell'Irpef regionale, ma questi balzelli sfigurano davanti all'ultima mossa del governatore: far pagare l'acqua pubblica, cara, come prima. Il testo del secondo quesito referendario, approvato dalla stragrande maggioranza degli italiani, infatti, tra le altre cose prevedeva di abrogare "la remunerazione del capitale investito dai gestori". Un bel fiume di soldi, il 7% delle tariffe, la mano morta del capitale denunciata da ogni bravo compagno dei gazebo durante la campagna referendaria. Ebbene: la remunerazione è stata finalmente abrogata. Ma i pugliesi continueranno a pagarla.
Quel 7% serve a Vendola per ripianare i debiti dell'Acquedotto e a favorire gli investimenti dei prossimi anni (da 219 a 402 milioni di euro). Ci mancherebbe a non investire nelle infrastrutture. Ma pensateci solo un attimo: se a chiedere la remunerazione fossero stati i privati quella percentuale sarebbe diventata lo sterco del diavolo, se invece è la mano pubblica a prelevarla allora sembra la moltiplicazione dei pani e dei pesci. (C'è da dire che gli italiani hanno una storica predisposizione masochista a pagare di più e senza chiedersi il perché).
In realtà Vendola sapeva, e lo sapeva già da prima dei referendum, che sbarrando la strada al capitale privato avrebbe aperto la porta ai suoi apparati, esosi almeno quanto le corporations. Ma prima del voto popolare ha evitato la questione del risarcimento, blaterando con la solita foga oratoria sull'acqua per tutti e di tutti. E adesso risponde a chi gli chiede spiegazioni: "Prima nessuno me lo aveva chiesto". Fa niente se il Codacons abbia dissotterrato l'ascia di guerra minacciando una class action; al demagogo rosso ormai interessa solo salire nel rating di Standard & Poor's. Piedi per terra e mani sull'acqua. Gli utili dell'Acquedotto non saranno redistribuiti, i pugliesi continueranno a pagare la remunerazione e le cose andranno come sono sempre andate.
Ma per evitarsi rogne con la stampa e l'opinione pubblica serviva addossare preventivamente la colpa su qualcun altro, e la colpa è del berlusconismo, incarnato, alla bisogna, dall'attuale ministro Raffaele Fitto, storico avversario di Nichi nel Tavoliere. Gli assessori di Vendola accusano l'ex giunta Fitto di essersi fatta abbindolare dai bond americani per accedere al credito necessario a risollevare le sorti dell'Acquedotto. Qui va fatta una precisazione perché evidentemente s'ignora qual è stato il meccanismo che ha condotto alla disastrosa bolla dei titoli tossici, o conviene evocarla solo a metà, finché ci va di mezzo Fitto: le banche d'affari in questione nel 2008 erano il cuore della finanza mondiale, esaltate e glorificate proprio dalle agenzie di rating che i Vendola Boys prendono per il vangelo. "In Puglia la remunerazione del 7% del capitale investito è un costo," spiega sicuro di sé l'assessore Amati, "quello che pagheremo ogni anno fino al 2018 sul bond in sterline pari al 6,92% contratto durante la gestione dell'era Fitto", vagli a spiegare come le agenzie di rating elargivano triple A ai colossi in fallimento in cambio di succulente provvigioni.
L'elencone dei risultati sciorinati da Vendola per festeggiare la nazionalizzazione dell'acqua, dunque, l'appalto per la ricerca perdite, quello dei nuovi contatori, la lotta all'abusivismo e alla morosità, il telecontrollo, l'internalizzazione della depurazione, non sarebbero stati possibili senza aver prima stipulato dei mutui (rischiosissimi) con la grande finanza globale. "E' l'economia, stupido", un realista putiniano del suo calibro dovrebbe saperlo, quindi perché scaricare sui predecessori i costi della politica economica prevista da qui fino al 2018? La risposta è semplice: non alienarsi lo zoccolo duro del suo elettorato e chi fra i moderati e i liberali della domenica si è fatto abbindolare dal referendum.
Costoro possono stare tranquilli: nel prossimo esercizio della Regione Puglia è previsto un "minimo vitale", una quantità di acqua gratuita per tutti. Il contentino serve ad addolcire la parte più settaria di Sel, che storce il naso davanti a trucchetti come la remunerazione delle tariffe ma sa bene che l'Acquedotto pugliese è vitale per rafforzare le proprie rendite di potere nel medio e lungo periodo. Chi se ne frega del referendum, era una scusa per togliere di mezzo il mercato e tenere al riparo gli interessi dei nuovi carrozzoni pubblici. Ma quando i russi se ne accorsero (che il loro sistema aveva fregato il mercato), e Gorbaciov fece l'errore di farglielo capire (che si poteva vivere meglio in un mondo libero), l'Unione Sovietica crollò.

www.loccidentale.it/node/107172
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02/02/2013 21:38
 
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Acqua: Consiglio di Stato boccia le bollette,
aumenti non coerenti con referendum
Saranno restituite ai cittadini le cifre legate ai maggiori esborsi pagati tra il 21 luglioe il 31 dicembre 2011. Forum dei movimenti per l'acqua: "Abbiamo vinto"
Lo leggo dopo

ROMA - Le bollette dell'acqua "non sono coerenti" col quadro normativo uscito dal referendum del 12-13 giugno 2011. Lo dice in Consiglio di Stato in un parere reso all'Authority per l'energia, giudicando "in contrasto" col referendum il criterio della "adeguatezza della remunerazione dell'investimento" per determinare la tariffa. L'Authority dovrà tenerne conto per la adozione del nuovo sistema.

Il Consiglio di Stato ricorda in sostanza che il 7% di aumento sulle bollette, legato alla remunerazione del capitale investito, è stato applicato dal 21 luglio 2011 al 31 dicembre 2011 nonostante l'esito referendario.

Toccherà ora all'Autorità per l'energia decidere il criterio per rimborsare ai cittadini le cifre in più pagate e, a quanto pare, è probabile che invece del conguaglio, ci sarà una restituzione secca. "Abbiamo vinto, non si possono fare profitti sull'acqua - afferma il Forum dei movimenti per l'acqua commentando il parere -. Questa volta a darci ragione è il parere del Consiglio di Stato sulla tariffa: le bollette che i gestori consegnano ai cittadini sono illegittimamente gonfiate e non rispettano la volontà referendaria espressa da 27 milioni di persone". L'Autorità per l'energia "incaricata di formulare la nuova tariffa all'indomani del Referendum, aveva chiesto un parere al Consiglio di Stato sulla remunerazione del capitale investito, ovvero il profitto garantito del 7% presente nelle bollette". La risposta ha confermato "quanto precedentemente affermato dalla Corte Costituzionale: dal 21 luglio 2011, data di proclamazione della vittoria referendaria, la remunerazione del capitale investito doveva cessare di essere calcolata in bolletta". Per questo "quello che i cittadini hanno pagato è illegittimo e i soggetti gestori non hanno più alibi: devono ricalibrare le bollette". Quanto scritto dal Consiglio di Stato - osserva ancora il Forum - "delegittima le scelte che hanno guidato l'Authority nella formulazione della nuova tariffa, emessa un mese fa, in cui la remunerazione del capitale investito viene reintrodotta sotto mentite spoglie".

(01 febbraio 2013)

www.repubblica.it/economia/2013/02/01/news/acqua_consiglio_di_stato_boccia_le_bollette_aumenti_non_coerenti_con_referendum-51685849/?ref=...
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Referendum acqua, Atersir rende 9,6 milioni ai cittadini. Comitati: “Sono pochi”
L'Agenzia territoriale per i servizi e i rifiuti dell'Emilia Romagna ha stabilito nuove tariffe retroattive, fissando la cifra da rimborsare. Gli attivisti contestano la decisione: "Bisogna considerare l'intero periodo che va da giugno 2011 a dicembre 2013"

di Giulia Zaccariello | 3 gennaio 2014Commenti (2)
Referendum acqua, Atersir rende 9,6 milioni ai cittadini. Comitati: “Sono pochi”
Più informazioni su: Acqua, Acqua Pubblica, Privatizzazione Acqua, Referendum Scuola Pubblica.

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A due anni e mezzo dal referendum sull’acqua pubblica, si scatena la battaglia di cifre sulla quota relativa alla remunerazione del capitale, abolita con il voto del 2011 e quindi destinata a essere restituita agli utenti in bolletta. Da una parte c’è l’Atersir, ossia l‘Agenzia territoriale per i servizi e i rifiuti dell’Emilia Romagna, che a fine anno ha stabilito nuove tariffe retroattive, fissando in 9,6 milioni di euro la cifra da rimborsare ai cittadini. Dall’altra si schierano invece i comitati referendari, che hanno chiesto di non fare sconti e di considerare l’intero periodo che che va da giugno 2011 a dicembre 2013, così da arrivare alla soglia di 150 milioni di euro da redistribuire in tutta la regione.

La decisione dell’Atersir è arrivata il 30 dicembre, quando l’agenzia presieduta dal sindaco di Bologna Virginio Merola, che si occupa di determinare la composizione della bolletta, ha approvato le nuove tariffe dell’acqua con valore retroattivo. Quindi valide anche per gli anni 2012 e 2013. Il provvedimento, spiega l’Atersir in una nota, è stato preso sulla base del “metodo stabilito per legge dall’Aeeg, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, nel settembre del 2013. E prevede la piena copertura dei costi attraverso le tariffe e l’eliminazione della remunerazione fissa del capitale come richiesto ed ottenuto dal referendum”. Da qui il calcolo dei 9,6 milioni di euro da restituire agli utenti. Che corrispondono alla “indebita remunerazione del capitale, ossia l’utile finanziario riconosciuto indebitamente ai gestori e cancellato dal referendum, che i gestori hanno incassato nelle bollette del 2011”.

La ripartizione dei soldi però non sarà omogenea in tutta la regione. “Le cifre sono molto diverse da provincia a provincia e da gestore a gestore, dato che in Emilia Romagna non era riconosciuta ovunque la remunerazione del capitale investito fissa al 7% (come prevedeva la legge abrogata dal referendum)”. In altre parole si va da un massimo di 2,2 milioni di euro per il territorio coperto da Bologna, fino ai bacini serviti da di Iren Parma, Hera Modena ed Hera Ferrara, dove “non si restituisce niente in quanto nel 2011 non erano stati riconosciuti ai gestori profitti finanziari”. Ma non è tutto, perché le nuove tariffe porteranno anche dei rincari in bolletta. Gli aumenti di spesa annuali vanno da un minimo di circa 1 euro nel caso di Reggio Emilia a picchi di 29 euro per Piacenza, Bologna e Modena. Mentre in Romagna si fermano su valori compresi tra i 15 ed i 17 euro.

Una serie di novità che non è piaciuta però ai comitati Acqua bene comune, che ora puntano il dito sui componenti dell’Autorità d’ambito regionale. In particolare contro Mirko Tutino, assessore provinciale all’Ambiente di Reggio Emilia, che durante la riunione dell’Atersir ha preferito astenersi dal voto. “Sappiamo chel’Atersir non ha potere decisionale, ma solo quello di ratificare le scelte fatte dall’Aeeg ” specifica Cesare Schieppati del comitato di Reggio Emilia. “Ma di sicuro un voto negativo, seppur simbolico, avrebbe avuto un significato politico forte. Invece non hanno voluto prendersi la responsabilità”.

Durissimo anche il giudizio sulla quota da rimborsare agli utenti. Secondo gli attivisti reggiani, che in questi giorni stanno promuovendo una lettera aperta ai sindaci per chiedere di ripubblicizzare il servizio idrico con la creazione di un’azienda di diritto pubblico, la cifra avrebbe dovuto comprendere anche gli anni 2012 e 2013, esclusi invece grazie al valore retroattivo della nuova tariffa. “Ma non solo. Oltre ad aver preso in considerazione un periodo molto breve, di circa sei mesi, sono stati scontati anche tre componenti: gli oneri fiscali, gli oneri finanziari e gli accantonamenti per la svalutazione crediti. Dedotto tutto questo saltano fuori 9 milioni e mezzo. Ma noi avevamo calcolati circa 150 milioni, per tutta l’Emilia Romagna”.


www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/03/referendum-acqua-atersir-rende-96-milioni-ai-cittadini-comitati-troppo-pochi...
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