Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Mafia al Nord ( e al Sud):Archivio della Camera, 65 anni di documenti: uno su quattro è una richiesta d'arresto

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2012 10:46
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
12/11/2011 22:39
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

IL BLITZ NEL CORSO DELLE INDAGINI CONTRO L'ALA CAPEGGIATA DA MICHELE ZAGARIA
Scoperto un arsenale dei Casalesi:
armi ben lubrificate, pronte all'uso
La santabarbara era nell'abitazione di un muratore
L'ipotesi: sarebbero servite per attentati a magistrati

CASERTA - Due kalashnikov, due mitragliatori con proiettili in grado di perforare auto corazzate, un silenziatore, un fucile da caccia con la canna segata, cinque caricatori e centinaia di cartucce: si tratta di un vero e proprio arsenale quello scoperto nella mattinata di sabato dagli uomini della squadra mobile di Caserta.

ARMI PRONTE ALL'USO - L’operazione rientra nelle indagini coordinate dalla Procura distrettuale di Napoli e dirette dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho contro il clan dei Casalesi, in particolare, contro l’ala capeggiata dal latitante Michele Zagaria. Le armi, ben lubrificate e pronte all’uso, erano occultate in un’abitazione in via Bembo a San Cipriano d’Aversa. Il proprietario, Nicola Pagano, originario di Napoli è un insospettabile muratore di 42 anni, con piccoli precedenti penali. L’uomo, che non risulta essere affiliato al clan occultava le armi, contenute in un borsone nascosto in un'intercapedine ricavata in una parete. La stanza è stata individuata grazie a una vistosa macchia d'umidità, notata dagli agenti su una delle pareti della cantinola-garage dell'abitazione.

LE INDAGINI - Gli investigatori del distaccamento di Casal di Principe, sono stati insospettiti dall’atteggiamento dell’uomo, che ha tentato di distogliere la loro attenzione, allontanandoli dal vano. Gli agenti hanno effettuato dei sondaggi con dei trapani sulla parete e si sono accorti della cavità, che è stata portata alla luce con dei picconi. Le indagini sono ora rivolte ad accertare a cosa servissero le armi, che non sono del genere utilizzato per estorsioni o rapine. Il sospetto è che, come hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia, i fucili (e in particolare quello che spara proiettili perforanti) dovessero servire per un attentato ai danni di magistrati.

Redazione online
12 novembre 2011

corrieredelmezzogiorno.corriere.it/caserta/notizie/cronaca/2011/12-novembre-2011/scoperto-arsenale-casalesile-armi-usate-attentati-magistrati-19021413544...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
13/11/2011 12:16
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Boom dei negozi “compro oro”
La Finanza: “Rischio di infiltrazioni mafiose” La sola Bologna conta 40 di questi negozi, così come Parma, mentre la Provincia di Piacenza ne conterebbe ben 170. Zironi (Anopo): "Sono a tutti gli effetti un’attività finanziaria, non commerciale, e come tale dev’essere normata. Per ora ci troviamo di fronte ad una filiera di commercio illegale". L'Idv attacca: "E' la legalizzazione dell'usura"Silenzioso, ma sotto gli occhi di tutti il giro dei “compro oro”, gravita. Negli ultimi 2 anni i negozi di compro oro in Italia sono quadruplicati, mentre in Emilia Romagna l’incremento registrato tra il 2009 e il 2011 è del 25%. Secondo una prima stima della Regione, sul territorio sarebbero tra i 500 e i 600 punti vendita, “ma potrebbero essere molti di più visto che spesso si tratta di lavoro sommerso”. La sola Bologna ne conta 40, così come Parma, mentre la Provincia di Piacenza conterebbe ben 170 negozi.

Tra le cause: l’impennata del prezzi dell’oro che ha trasformato il metallo in un vero e proprio bene di investimento da un lato; l’aumento del bisogno immediato di liquidità delle famiglie dall’altro.

La denuncia nella regione emiliano romagnola arriva dall’Italia dei Valori. Il 26 ottobre, la consigliera regionale Liana Barbati, ha presentato una mozione, approvata all’unanimità, nella quale denuncia il fenomeno in crescita e richiede l’istituzione di controlli, dato che “la procedura amministrativa attuale sulla concessione delle licenze è fin troppo semplice, mentre – prosegue la Barbati – il controllo della filiera è pressoché inesistente. Questo da ampio spazio a chiunque voglia sfruttare tutte quelle famiglie che trovandosi nei guai a causa della crisi, hanno iniziato a vendere sempre di più i propri effetti personali. Siamo ai livelli dell’usura”.

A conferma, l’azione della Guardia di Finanza che difatti sta indagando il campo da tempo: “Il fenomeno esiste ed è diffuso”, spiega il colonello del comando provinciale di Bologna, Giorgio Viale. Spesso alle attività di “compro oro” sono soggette a infiltrazioni da parte delle associazioni mafiose, che utilizzano tali attività come copertura per riciclare proventi illeciti (come denuncia la risoluzione regionale e come comprovato dai dati diffusi dalla Guardia di Finanza), e più in generale si associano episodi criminogeni secondo cui “i sequestri di pietre preziose nei settori di falso, truffa, contraffazione, usura, ricettazione e violazione delle leggi di pubblica sicurezza ammontano (per tutto il 2009 e nei primi dieci mesi del 2010) a oltre 2 milioni di euro. E vicini alla stessa cifra sono quelli relativi alla minuteria e agli oggetti di gioielleria”.

Tuttavia, quantificare le agenzie indagate è a oggi quasi impossibile: le Fiamme Gialle hanno difficoltà nel distinguere i rivenditori dalle normali gioiellerie perché “questi esercizi – spiega il colonnello – utilizzano per la registrazione alla Camera di commercio la stessa codifica merceologica delle gioiellerie ed è dunque è molto difficile quantificarli o identificarli separatamente”. In tutta Italia, i finanzieri stanno svolgendo indagini più approfondite perché: “non basta una semplice verifica come si può fare per un esercizio commerciale qualsiasi – spiega il colonnello Viale – Serve un approccio mirato, con identificazione sul posto”. Non solo: sempre più spesso i compro oro e le oreficerie iniziano a convergere. “Molte oreficerie si sono convertite in compro oro a causa del calo delle vendite di oggetti preziosi nuovi”, spiega Andrea Zironi il presidente dell’associazione di categoria, l’Anopo (Associazione Nazionale Operatori Professionali in Oro).

Il fatto è che i compro oro non sono un esercizio commerciale qualsiasi. L’attività di comprevendita dei rivenditori di oggetti aurei, è “a tutti gli effetti un’attività finanziaria, non commerciale, e come tale dev’essere normata – chiarisce il presidente degli orafi – “compro oro” è un’espressione gergale, perché in realtà si tratta di commercio di oro come materia prima. Azione che andrebbe parificata a quella delle operazioni bancarie”.

Al tal fine l’Anopo assieme all’Aire (Associazione italiana responsabili antiriciclaggio), ha presentato una proposta di legge, che prevede, oltre alla suddetta equiparazione dell’attività di compro oro a quella di intermediazione finanziaria, meccanismi di tracciabilità attualmente assenti, come per esempio l’obbligo di dettagliata ricevuta per il cliente, nonché una certificazione degli esercenti da parte delle forze dell’ordine in merito ai requisiti di onorabilità e professionalità necessari per rendere questa delicata professione affidabile. Per ora “ci troviamo di fronte ad una filiera di commercio illegale”, denuncia Zironi.

Ma come funzionano nel dettaglio i compro oro? Per iniziare l’attività, basta semplicemente andare in questura e richiedere una licenza per commercio in oggetti preziosi, che viene rilasciata senza alcun tipo di obbligo (al di fuori dell’incensurabilità dell’apertura della partita Iva). Il commerciante a questo punto , sarebbe tenuto a iscrivere nel “registro di carico e scarico”, secondo la norma dettata dal Testo Unico sulla Pubblica Sicurezza, l’acquisto dell’oggetto prezioso. Non è tuttavia obbligato al rilascio di alcuna ricevuta.

Allo stesso modo, al privato che volesse vendere oggetti preziosi, è sufficiente esibire un documento d’identità, senza alcun tipo di certificazione sulla provenienza materiale. “Ed è qui che subentra evidentemente il pericolo di riciclaggio – spiega Zironi – perché l’operazione non viene certificata in alcun modo. Per questo motivo nella proposta di legge chiediamo la tracciabilità di tutta la filiera”. Il punto più delicato, spiega il presidente degli orafi, è che “qui stiamo erogando denaro. Non solo i privati ricevono denaro contante in cambio di oro e oggetti preziosi, ma allo stesso tempo questi ultimi sono essi stessi denaro, perché vengono venduti alle fonderie per tornare a essere materiale prezioso originario”. Per questo “spesso dietro a questi esercizi – spiega il colonnello a capo delle Fiamme Gialle bolognesi – è facile che si annidi il reato di ricettazione: perché è il sistema più rapido per la monetarizzazione della refurtiva”.

Intanto, la Procura di Modena lancia l’allarme sul rischio di infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Modenese (tramite il procuratore aggiunto Lucia Musti) nelle attività di compravendita dell’oro. Basta poi non dichiarare l’acquisto dell’oggetto, in gergo tecnico “transazione trasparente”, e commettere “la classica evasione fiscale”, che si elude l’unica forma di controllo possibile. Non solo: nel nostro Paese, il mercato dell’oro è stato liberalizzato nel 2000, con la legge numero 7 del 17 gennaio che ha abolito l’Iva sull’oro da investimento (ovvero l’oro puro), svincolando il mercato dal monopolio da parte dell’Ufficio Italiano Dei Cambi senza tuttavia stabilire, come suddetto, specificazioni da parte di chi contrae affari maneggiando il metallo prezioso.

Ma c’è di più. Ogni negozio che acquista e vende oro si attiene ad un proprio listino e può effettuare le proprie valutazioni di stima autonomamente: le quotazioni ufficiali delle borse internazionali e delle mercuriali sono, infatti, meramente indicative e non vincolanti. La bilancia che viene utilizzata, inoltre, che dovrebbe essere tarata e controllata dagli uffici metrici della Camera di Commercio, anche qui senza alcun vincolo, capita invece che sia “aggiustata” per così dire: “Vi sono stati casi non sporadici in cui il rivenditore è stato denunciato per truffa sul peso dell’oggetto prezioso”, prosegue Zironi.

Un altro passaggio delicato, è la confusione tra l’oggetto prezioso e l’oro contenuto nella lega. “Se parliamo di lega a 18 carati, significa che il 75% del materiale dovrebbe essere oro. Ma stabilirlo con certezza è molto difficile, perché gli strumenti a disposizione come la pistola laser o gli acidi sono approssimativi. E il cliente non ha la controprova che sia diverso da ciò che il rivenditore gli comunica”. E infatti, basta farsi un giro per i compro oro di bologna, e sarà difficile trovarne uno che proponga il reale prezzo dell’oro sulla borsa: il materiale perde almeno il 30% del valore reale. Zironi conferma: “Entro con 30grammi d’oro, ed esco che me ne hanno pagati 17”.

Si capisce come la certificazione con la conseguente l’iscrizione all’Albo degli operatori professionali del settore istituito dalla Banca d’Italia (solo 348 sono attualmente iscritti) possa fare la differenza. Intanto, la mozione è già stata messa all’ordine del giorno in vari comuni, da Forlì a Reggio Emilia, mentre alcuni giorni fa, da un’operazione della Guardia di Finanza di Cesena è risultata un’evasione fiscale di quasi un milione di euro connessa alle attività dei compro oro della città.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/12/boom-compro-regione-barbati-idv-siamo-livelli-dellusura...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
14/11/2011 17:27
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Riciclaggio, l'imprenditore Iorio
chiese aiuto a Fabio Cannavaro
L'ex capitano della Nazionale campione del mondo accettò di intestarsi le quote della società di Iorio. La circostanza emerge dalle stesse dichiarazioni rese ai pm dall'ex calciatore che non risulta indagato

L'imprenditore della ristorazione Marco Iorio, arrestato nei mesi scorsi perchè ritenuto il promotore di un'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di denaro della camorra, chiese all'ex capitano della Nazionale, Fabio Cannavaro, suo amico, di intestarsi fittiziamente il 25 per cento delle quote di una società; Cannavaro accettò. Emerge dai verbali delle dichiarazioni rese dal calciatore lo scorso luglio ai pm Sergio Amato ed Enrica Parascandalo.

Cannavaro, in particolare, ricostruisce gli investimenti in comune con Iorio nel ristorante 'I re di Napoli': "Attraverso il pagamento di 200 mila euro in assegni circolari il 9.02.2005 ho rilevato il 45% della società SVEVA s.r.l. come da contratto che produco in copia informatica privo di sottoscrizione". E ancora: "Sebbene il mio commercialista abbia fatto riferimento quale partecipazione reale solo al 10%, in realtà la mia quota reale è del 20%. Tanto dovrebbe risultare dalla procura a vendere la quota del 25% che contestualmente fu fatta in favore di Marco Iorio e che tuttavia allo stato non è in copia nella mia disponibilità".

"Fu Marco Iorio" ha raccontato Cannavaro ai magistrati "a chiedermi la cortesia di intestarmi quel 25% in più e mi spiegò che tanto si rendeva necessario in quanto aveva problemi familiari e con altri soci. Non entrò nei particolari nè io feci altre domande. L'intesa era nel senso che di lì a poco avrebbe provveduto ad intestarsi quelle quota, ma poi le cose sono rimaste così e d'altra parte, come ho già dichiarato, non ho mai personalmente seguito questi affari. E' stata dunque una cortesia personale fatta ad una persona che non potevo mai immaginare potesse essere quella che appare oggi per effetto delle indagini che state portando avanti. Si consideri che all'epoca avevo contratti per circa dieci milioni di euro all'anno e, quindi, a questa partecipazione ho prestato poca attenzione".

L'ex capitano della Nazionale racconta poi in che modo venne a sapere del blitz del 30 giugno scorso in cui erano stati arrestati i fratelli di Marco Iorio e sequestrati i ristoranti, mentre l'imprenditore - a sua volta destinatario di un'ordinanza di custodia cautelare - si trovava proprio assieme a lui negli Stati Uniti: "Ero con lui negli Stati Uniti quando qui in Italia ci sono stati gli arresti e i sequestri. Appresi al risveglio la notizia da internet cui mi collegai in quanto trovai dei messaggi sul telefonino dei miei parenti che mi invitavano a farlo. Chiesi spiegazioni a Marco, il quale mi disse solo che avevano arrestato tutti e sequestrato tutto e che pertanto doveva subito rientrare in Italia".


(14 novembre 2011)

napoli.repubblica.it/cronaca/2011/11/14/news/riciclaggio_l_imprenditore_iorio_chiese_aiuto_a_fabio_cannavaro-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
15/11/2011 23:44
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Voti dai clan in cambio di appalti
arrestato consigliere regionale
Enrico Fabozzi (gruppo misto) ex sindaco di Villa Literno è accusato di collusioni con il gruppo dei Casalesi capeggiato da Bidognetti. Fermati anche il consigliere comunale Nicola Caiazzo e gli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mastrominico
di DARIO DEL PORTO
Qualche anno gli fu recapitata la testa mozzata di un maiale. Ma quella minaccia indirizzata all'allora sindaco di Villa Literno Enrico Fabozzi non era, secondo la Procura di Napoli, diretta a intimidire un nemico della camorra, ma rappresentava invece un invito al rispetto dei patti stretti con il clan. Ora Fabozzi, attualmente consigliere regionale della Campania, eletto con il Pd, poi passato nel gruppo misto, è agli arresti con l'accusa di presunte collusioni con il gruppo del clan dei Casalesi ritenuto capeggiato dal boss Francesco Bidognetti.

GUARDA LO SPOT ELETTORALE

Nell'inchiesta, condotta condotta dai carabinieri di Caserta e coordinata dai pm Antonio Ardituro, Marco Del Gaudio ed Enrica Parascandolo con il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho, sono stati arrestati anche il consigiere comunale di Villa Literno Nicola Caiazzo e gli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mastrominico. Gli imprenditori sono ritenuti vicini all'ala del clan dei Casalesi guidata dal padrino Antonio Iovine, arrestato un anno fa dopo una latitanza durata quindici anni. Proprio durante la caccia a Iovine, gli investigatori hanno rinvenuto una vecchia macchina da scrivere che ha aperto un nuovo filone d'indagine.

LE IMMAGINI IN CONSIGLIO

Le analisi del Racis sul nastro hanno permesso di ricostruire la corrispondenza tra un altro latitante del clan, Enrico Martinelli, con il suo omonimo Enrico Martinelli di 40 anni, sindaco di San Cipriano d'Aversa e marito di Annarita Patriarca, sindaco di centrodestra a Gragnano. Martinelli e la Patriarca non sono indagati. Gli inquirenti vogliono approfondire il contenuto delle missive dove si farebbe riferimento anche ad appalti da assegnare ai Mastrominico.
(15 novembre 2011)


napoli.repubblica.it/cronaca/2011/11/15/news/voti_dai_clan_in_cambio_di_appalti_arrestato_consigliere_regionale-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
16/11/2011 14:50
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Mafia, sequestrati beni per 32 milioni di euro alla cosca dei Graviano Nel mirino della guardia di finanza sono finite attività imprenditoriali, immobili, terreni e quattro autovetture, riconducibili attraverso prestanomi ai boss di Cosa Nostra Il Tribunale di Palermo ha disposto il sequestro di beni per 32 milioni di euro a presunti esponenti della cosca mafiosa di Brancaccio a Palermo, guidata dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. I due fratelli di Cosa nostra sono in carcere da quasi vent’anni: non hanno mai voluto collaborare con i magistrati, dal giorno del loro arresto a Milano, il 27 gennaio del 1994, anche se hanno iniziato a rispondere ad alcune domande dei magistrati. La polizia e la guardia di Finanza del capoluogo siciliano, nell’ambito dell’operazione “Madre natura” ha posto i sigilli ad appartamenti, ville, negozi, terreni, distributori di benzina, bar e agenzie di scommesse che, secondo l’accusa, sarebbero riconducibili, attraverso prestanomi, ai fratelli Graviano, a Giorgio Pizzo, Cesare Lupo e Giuseppe Faraone. Le indagini hanno messo in luce l’infiltrazione della criminalità organizzata in settori strategici del tessuto economico locale come quello delle scommesse, della ristorazione, della rivendita di tabacchi e della vendita al dettaglio di carburante. Ed è proprio nel settore della distribuzione di carburanti che i fratelli Graviano hanno investito ingenti capitali, acquisendo, sin dai primi anni ’90, aree di servizio di rilevanti dimensioni in posizioni strategiche, come all’ingresso autostradale del capoluogo siciliano.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/16/mafia-sequestrati-beni-milioni-euro-alla-cosca-graviano...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
16/11/2011 15:05
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Scampia, nasce lo sportello anti-camorra
“La legalità è possibile anche qui” L’anima del progetto è Ciro Corona presidente dell’associazione (R)esistenza che da anni lavora sul territorio napoletano. Gratis per le famiglie del quartiere il servizio di supporto legale e di ascolto e sostegno. Manca però una sede per le attività di tutoraggio e di dopo-scuola con minori a rischioNon poteva che nascere in via della Resistenza – nella sede dell’Ottava municipalità di Napoli – il primo sportello anticamorra del quartiere Scampia. L’anima del progetto è Ciro Corona presidente dell’associazione (R)esistenza che da anni lavora sul territorio per promuovere la legalità: “L’idea nasce in seguito a una denuncia di don Aniello Manganiello che aveva messo in evidenza come un camorrista può decidere da un giorno all’altro, senza incorrere in alcun rischio, di edificare un giardino personale, su di un campo di calcetto di proprietà del Comune”.

La gente ha paura di esporsi, non si sente tutelata e nel quartiere tutti sanno che se non ci fosse stato don Aniello nessuno avrebbe avuto il coraggio di denunciare l’abuso. “Da qui la decisione – continua Ciro –, in collaborazione con l’associazione Libera e con il presidente della Municipalità, Angelo Pisani, di creare uno sportello che possa interfacciarsi con la cittadinanza e le forze dell’ordine, dove le persone possono lasciare le proprie segnalazioni e denunce, in modo del tutto anonimo”. I volontari di (R)esistenza provvederanno poi a consegnare le denunce al commissariato di Scampia. Lo sportello ospiterà anche la vendita dei prodotti nati sui beni confiscati alla camorra e sarà il primo presidio napoletano di Libera e del movimento “Amici di Pino Masciari”. Inoltre saranno offerti gratuitamente il servizio di supporto legale e lo sportello di ascolto e sostegno alle famiglie del quartiere. Non sappiamo come risponderà il quartiere ma Ciro è certo: “Al di là della risposta, l’esistenza dello sportello è un segnale forte contro chi pensa che qui nulla si può fare perché tutto è nelle mani della camorra. Questa sfida fino a qualche anno fa era impossibile anche immaginarla”.

Nonostante le numerose richieste, (R)esistenza è ancora alla ricerca di una sede per portare avanti le attività di tutoraggio e di dopo-scuola con i minori a rischio del quartiere. “Qui ci sono diverse strutture comunali abbandonate, diventate punto di ritrovo per tossicodipendenti – spiega Corona – L’associazione si è offerta di recuperarne una, a sue spese, per avviare all’interno una pizzeria sociale e una comunità dove i minori, dell’area penale, in misura cautelativa in alternativa al carcere possano scontare la pena lavorando”. Quali sono state le risposte? “Purtroppo la vecchia amministrazione comunale ha sempre snobbato le nostre richieste. Il nuovo sindaco Luigi De Magistris e gli assessori competenti ci hanno incontrato e ascoltato, ma da quattro mesi aspettiamo ancora una risposta.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/15/nasce-scampia-sportello-anti-camorra...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
18/11/2011 08:22
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

'Ndrangheta, 11 arresti a Reggio
controllavano le società del comune
Operazione della Guardia di Finanza nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Dda. Provvedimenti restrittivi per commercialisti, avvocati e capi della cosca Tegano-De Stefano

REGGIO CALABRIA - Commercialisti, avvocati, tutti professionisti e tutti affiliati alla cosca Tegano. Rappresentavano l'"area grigia" al servizio dei boss e controllavano per loro le società del Comune di Reggio Calabria. Gli arresti - undici - sono scattati stamattina in un'operazione anti 'ndrangheta della Guardia di finanza, nell'ambito di un'inchiesta coordinata dal DDA di Reggio. Sequestrato anche un patrimonio di oltre cinquanta milioni di euro. Secondo quanto anticipato dalla Guardia di Finanza una società, La Reci.im s.r.l, controllava il 33% del capitale sociale della "Gestione servizi territoriali s.r.l. che, a sua volta, controlla il 49% della Multiservizi S.p.A.

I colpiti dal provvedimento del Gip sono esponenti di spicco del clan degli "arcoti" Tegano - De Stefano della città dello Stretto. Tra questi il commercialista Giovanni Zumbo, già in carcere perché coinvolto in altre inchieste da cui è emerso il suo ruolo di "talpa" al servizio delle cosche, alle quali avrebbe fornito informazioni riservate su inchieste in corso apprese in ambienti giudiziari ed investigativi. Uno dei provvedimenti restrittivi emessi dal gip di Reggio Calabria su richiesta della Dda riguarda la moglie di Zumbo, Maria Francesca Toscano, che è un avvocato, e altri due la sorella del commercialista, Patrizia Zumbo, e il marito di quest'ultima, Roberto Emo, che fa il commercialista. Un'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa anche contro Giovanni Tegano, capo della cosca, già detenuto, ed un altra contro l'imprenditore Giuseppe Rechichi, che avrebbe svolto il ruolo di prestanome della cosca.

(18 novembre 2011)


www.repubblica.it/cronaca/2011/11/18/news/ndrangheta_arresti-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
19/11/2011 00:31
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Cannavaro, il caffé e la camorra. Voleva importare cialde a Dubai
Venerdì, 18 novembre 2011 - 20:27:48

Cannavaro
Fabio Cannavaro voleva importare cialde di caffé a Dubai e l'amico imprenditore Marco Iorio, in carcere per riciclaggio di soldi della camorra, gli propose la marca "Morena". "E' del fratello nostro", scrisse in un messaggio. Il riferimento era, secondo la Procura di Napoli, a Vittorio Pisani, ex capo della Squadra Mobile di Napoli, indagato nella stessa inchiesta, in quanto i cugini della moglie sono i proprietari dell'azienda.

Iorio sconsigliò invece a Cannavaro di avviare contatti con un'altra azienda produttrice di caffé la Kimbo. La circostanza emerge da alcune intercettazioni depositate nell'ambito del procedimento. Si tratta, in particolare, di uno scambio di sms tra il calciatore e l'amico imprenditore che dimostra, secondo i pm Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, quanto stretti fossero i rapporti tra Iorio, Pisani e l'ex capitano della nazionale.

Quando giocava a Dubai, hanno ricostruto gli inquirenti, Cannavaro intendeva avviare un commercio di cialde sfruttando la propria immagine. Pensò di avviare contatti con la Kimbo e invia a Iorio un sms: "Bombolo, ho bisogno del numero del proprietario di caffé Kimbo. Comm amma fa?". Il ristoratore spingeva per un'azienda concorrente, quella del caffé Moreno, che appartiene ai Percuoco, cugini della moglie di Vittorio Pisani. Dunque gli rispose così: "Moreno è frat a nui, Kimbo e chiammò a Pippo Baudo".


affaritaliani.libero.it/cronache/camorra-riciclaggio-imprenditore-raccomandava-caffe-cannavaro181...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
19/11/2011 23:16
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

‘Ndrangheta in Lombardia, 110 condanne
e 5 assoluzioni per il maxi-processo L’obiettivo era fare in fretta. E così è stato. Un anno e mezzo dopo il maxi blitz del 13 luglio 2010 la criminalità organizzata lombarda incassa la sentenza di primo grado. Assolto l'ex assessore della Provincia di Milano Antonio Oliverio. Durante la lettura del dispositivo, i detenuti dalle gabbie hanno inveito contro il giudice Roberto Arnaldi e gli avvocati: "Buffoni!"Una sentenza record. Per il numero di imputati, 118. Per il numero di condannati, 110. E per i tempi, 16 mesi appena per arrivare al primo grado di uno dei processi di ‘ndrangheta più grandi e complessi nella storia giudiziaria italiana. L’obiettivo era fare in fretta. E così è stato. Un anno e mezzo dopo il maxi blitz del 13 luglio 2010 la ‘ndrangheta lombarda incassa la sentenza di primo grado e il processo Infinito, andato alla sbarra nel gennaio 2011 con rito abbreviato, oggi raggiunge il traguardo. Sulla graticola 119 persone.

L’estate scorsa, l’accusa aveva chiesto 118 condanne e l’assoluzione di Antonio Oliverio, ex assessore di origini calabresi, la cui carriera, in riva al Naviglio, è cosa nota: prima nella giunta provinciale di Filippo Penati (quota Udc), dopodiché, transfugo, tra i maggiori sostenitori di Guido Podestà. Per Oliverio anche in primo grado è arrivata l’assoluzione.

Il carcere invece è arrivato per 110 imputati con pene che vanno da un massimo di 16 anni di reclusione per Alessandro Manno, capo della locale di Pioltello, a un minimo di 1 anno e 4 mesi per l’ex sindaco di Borgarello (Pavia), Pasquale Valdes. Cinque le assoluzioni, quattro non luogo a procedere: 3 perché già giudicati per i medesimi fatti in altro procedimento, un quarto per estinzione del reato a causa della morte dell’imputato. Anni di carcere arrivati dopo che ieri si è consumata una giornata drammatica nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi profonda periferia milanese nel quartiere di Ponte Lambro. Dopo 32 ore di Camera di consiglio.

Riassumiamo: in mattinata è atteso il verdetto. Poi posticipato nel pomeriggio. Motivo ufficioso: lo sciopero di alcuni penalisti. L’orario fissato per le 17 e 30 si allunga di un’ora. Il giudice Roberto Arnaldi non fa capolino. Fuori, intanto, la nebbia ricopre tutto: le case popolari e l’enorme cubo di cemento che a metà degli anni Novanta ha ospitato i primi maxi-processi a mafia e terrorismo. Un’ora dopo ecco il cancelliere: udienza rinviata e aggiornata alle 17 di domani (oggi). Poche parole e scatta la bagarre dietro le sbarre. Gli imputati non ci stanno: urlano, protestano. Sono venuti dalle carceri di mezza Italia per ascoltare il verdetto. Con loro i legali. Ma non c’è nulla da fare. Il giudice Arnaldi ha deciso di non decidere e di rimandare. Smorzati gli animi, alla fine, qualcuno farà notare che un rinvio può essere normale perché il giudice “deve giudicare sulla vita di 119 persone”. Ma gli applausi e gli insulti verso magistrati e avvocati diventano ancora più forti durante la lettura del verdetto.

“Un procedimento gigantesco”, lo ha definito il pm Alessandra Dolci nell’incipit della sua requisitoria. A tal punto, confessa in aula, “che anche io ho perso il conto del numero dei faldoni”. Oltre cinquecento per migliaia di pagine. E una stanza al settimo piano della Procura utilizzata come archivio. Un labirinto, quasi indistricabile, di intercettazioni, proroghe, informative e annotazioni in calce alle quali si alternano le firme di quattro polizie giudiziarie: carabinieri, squadra Mobile, Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia. Insomma, l’incipit dell’accusa da solo traduce il senso di questo processo. “E io – dirà la Dolci – devo dirle, giudice, che non invidio proprio il suo compito”.

Ora la sintesi è stata trovata. Per capire meglio, però, bisognerà aspettare i 60 giorni previsti per il deposito delle motivazioni. Pochi minuti fa, intanto, il giudice ha snocciolato il dispositivo della sentenza. Voce ferma tra le grida degli imputati nelle gabbie. Da Giuseppe Domenico Albanese a Pasquale Zappia (condannato a 12 anni) nominato ‘capo dei capi’ durante una riunione a Paderno Dugnano, nel centro intitolato a Falcone e Borsellino (guarda il video del summit). In mezzo buona parte della nobiltà della ‘ndrangheta lombarda. Gente come Domenico Barranca – condannato a 14 anni di reclusione – capo della locale di Milano e contatti diretti con la Provincia, organo di comando dell’intera organizzazione, capace di mantenere rapporti con uomini della cosiddetta zona grigia come Pietro Pilello, manager in passato presente in molti cda di società di Regione Lombardia o Carlo Antonio Chiriaco, ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia. Amico di politici e boss insospettabili, come quel Pino Neri, ritenuto il capo della locale di Pavia, ma che prima di essere un mafioso è un rispettato avvocato tributarista.

Zona grigia, dunque. Tradotto: mafia, impresa, politica, massoneria. Pino Neri (imputato nel processo ordinario con rito immediato) è massone dichiarato. Anche questo sta dentro al processo che oggi ha visto una sua prima parziale conclusione. Ma c’è dell’altro: l’assetto criminale, il controllo del territorio, i numeri degli affiliati, i riti, gli incontri, tutti officiati all’ombra del Duomo e nella Lombardia che corre svelta verso Expo 2015. Uno dei grandi protagonisti è certamente Vincenzo Mandalari, boss e imprenditore, a capo della locale di Bollate e condannato questa sera a 14 anni. Finito nella rete del 13 luglio 2010, Mandalari si dà alla latitanza. Il padrino in fuga, però, non va molto lontano, ma resta nell’hinterland milanese, dove può contare su molti appoggi. Meno di un anno e il 22 gennaio i carabinieri di Monza guidati dal colonnello Giuseppe Spina lo fermano alla stazione di San Giuliano Milanese. Il suo è un nome che conta. E che compare centinaia di volte nelle carte dell’inchiesta. Da lui, in parte, inizia l’indagine. Dalle sue lunghe chiacchierate con i compari di turno. In macchina o in ufficio, Vincenzo Mandalari parla di riti e assetti della ‘ndrangheta. Snocciola nomi e inconsapevolmente fornisce agli investigatori una geografia mafiosa in presa diretta, svelando la presenza di venti locali e almeno cinquecento affiliati. In Lombardia, naturalmente. Non una semplice regione d’Italia, ma per la ‘ndrangheta un vero e proprio mandamento. Il quarto dopo i tre storici (Ionico, Tirrenico e Reggio città). Tutto dunque si tiene nella mappa mafiosa. E chi tenta la sortita, chi vuole fare di testa propria, viene punito. Muore per questo Carmelo Novella, il boss scissionista che voleva fare la Lombardia ma che finì ammazzato ai tavolini di un circolo a San Vittore Olona.

Era l’estate del 2008. E in fondo di ‘ndrangheta allora si parlava poco. Anche se nel luglio di quello stesso anno il Gico di Milano guidato allora dal colonello Domenico Grimaldi sbaragliò la cosca Barbaro-Papalia. L’inchiesta Infinito era appena iniziata. Ma già si concludeva l’indagine Cerberus. Quella era mafia con tutti i quarti nobiltà al proprio posto. Un’organizzazione capace di monopolizzare l’intera partita del movimento terra in Lombardia. Facce pulite e boss in coppola, piccoli principi della ‘ndrangheta e imprenditori lombardissimi. Sull’inchiesta pesano già due gradi di giudizio. Caposaldo per tutto quello che è venuto dopo. Nel 2009 di nuovo Barbaro-Papalia. Di nuovo la terra. Ma con qualcosa in più: la ‘ndrangheta che fa l’immobiliare, ricicla, investe e si accomoda nel pieno centro di Milano in via Montenapoleone. A girare l’anno, nell’inverno 2010 arriva la politica e i suoi rapporti con boss e colletti bianchi. Sul piatto consiglieri comunali, provinciali e regionali. Ci sono particolari che inquietano. Ci sono assessori che lavorano a libro paga delle cosche. C’è una politica lombarda sempre più in scacco e sotto ricatto. E ancora, il primo luglio 2010, ci si trova di fronte alla ‘ndrangheta che da tempo pensa ad Expo. E’ l’inchiesta sulla cosca Valle che apre scenari inediti. Ci sono le famiglie storiche ma anche nomi nuovi. Come quello di Paolo Martino (poi coinvolto nell’inchiesta Caposaldo – marzo 2011), manager in doppio petto, capace di giocare su tavoli trasversali: dalla politica agli affari alla notte di Milano. Conosce il presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, ma anche Lele Mora e attraverso l’impresario dei vip contatta Luca Giuliante, avvocato (per qualche tempo legale di Ruby Rubacuori), ma soprattutto tesoriere del Pdl. Si segue la ‘ndrangheta e si scopre il progetto d’incontro (mai avvenuto) tra Martino e il presidente di Bpm Massimo Ponzellini, recentemente finito nei guai per un finanziamento da 148 milioni di euro alla società di Atlantis di Francesco Corallo, figlio di quel Gaetano Corallo ritenuto vicino al boss di Catania Nitto Santapaola. Un incontro d’affari, dunque, durante una cena per finanziare la campagna elettorale di Guido Podestà per le provinciali di Milano del 2009. Dove? In una delle residenza di Silvio Berlusconi.

La stampa così s’incuriosisce, gli articoli arrivano, l’informazione pure. Non ancora la coscienza. Ce lo racconterà proprio Infinito. “Guardate – chiosa Ilda Boccassini – che davanti alla mia porta non ho imprenditori disposti a denunciare”. Frase col botto. Come sempre quando parla Ilda “la Rossa”. E del resto a spulciare le carte dell’inchiesta s’incappa in decine di incendi, danneggiamenti, attentati. Tanti fatti, poche denunce. L’imprenditoria lombarda non lo fa. Ha paura, vero. Ma in certi casi dentro a quegli affari loschi ci trova un bel tornaconto. E passi se i propri soci per concludere affari non esitino a minacciare.

Affari, politica, e mafia. Il menu è questo. Il 13 luglio 2010 lo ha raccontato. La sentenza di oggi lo ha certificato. Il sigillo c’è per la parte criminale. Non per la politica. O meglio non ancora. Perché i rapporti ci sono e ci sono stati. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, ne conta ben 13 di politici, lombardi in rapporti più o meno diretti con la ‘ndrangheta. Dice di più: questi politici hanno ricevuto i voti delle cosche. Accuse gravi che trovano parziale conferma nelle carte, non, però, negli avvisi di garanzia o nelle sentenze.

Al di là di tutto, il romanzo criminale scritto oggi resta traccia indelebile e plastica dimostrazione di quello che la classe dirigente lombarda nega ormai da troppo tempo: la mafia a Milano esiste.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/19/ndrangheta-condanne-maxi-processo...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
24/11/2011 14:32
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Criminalità, Alemanno: "C'è rischio mafia"
Dal Viminale in arrivo agenti e mezzi
L'incontro con il neo ministro dell'Interno, Cancellieri. "Mi ha detto di avere un cuore romano che batte forte". Il Pd: "Il sindaco per non mettere in cattiva luce Berlusconi ha sempre minimizzato". La replica del delegato alla Sicurezza Ciardi: "Un attacco vergognoso alle forze dell'ordine"
"Temo ci sia un contatto tra le bande territoriali e la criminalità organizzata, che ha già comprato pezzi di economia romana e che si è limitata finora a investire. Questo significherebbe l'arrivo nella capitale della grande criminalità di stampo mafioso". Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, lascia il Viminale al termine di un incontro con il neo ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri e affronta il tema della sicurezza dopo i recenti agguati, in particolare il duplice omicidio di Ostia. E il Pd attacca: "Da almeno tre anni denunciavamo il fenomeno, ma fino ad oggi aveva sempre minimizzato la questione".

L'allarme. "Le bande territoriali sono più attive del solito e hanno un contatto indiretto con la grande criminalità organizzata perché fornisce loro la droga - spiega il primo cittadino - Ora c'è il rischio che entrino in contatto e che le bande territoriali cerchino una legittimazione, come avvenne per la banda della Magliana. Se ha luogo questo contatto avremo il problema di una criminalità di stampo mafioso a Roma".

L'annuncio di un maggiore impegno in uomini e mezzi - garantito dal ministro Cancellieri - è arrivato a poche ore dal blitz anti-camorristico dei poliziotti
della squadra mobile della Questura di Latina e dei finanzieri del nucleo di polizia tributaria di Roma, che hanno eseguito numerosi arresti e sequestri nei confronti di un clan nel basso Lazio: le persone finite in manette hanno come riferimento il clan Bardellino, del gruppo dei Casalesi, frangia Schiavone, originaria di San Cipriano d'Aversa, Caserta, da anni insediata nel comune di Formia.

Il primo cittadino di Roma si è soffermato a spiegare la differenza di vedute con il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, che ancora ieri definiva i fatti di sangue che hanno investito la Capitale negli ultimi mesi il frutto di una guerra tra bande. "Ci siamo confrontati anche oggi su due letture diverse, che comunque poi in fondo sono meno lontane di quello che sembrano - ha detto Alemanno - Io credo che il rischio di criminalità organizzata sia molto più forte di quanto rappresentato ieri dal prefetto. Ci sono due fenomeni: la crescita delle bande territoriali attorno al traffico della droga, con ambizioni di egemonia, e la presenza della criminalita' organizzata attraverso l'attivita' economica. Il rischio e' che i punti giungano a contatto. Sarebbe estremamente pericoloso e non possiamo permetterci neanche il rischio che si possa dire che Roma e' una citta' ad alta densita' mafiosa o di criminalità organizzata. Ho lanciato un allarme forte, preferisco alzare i toni ed avere reattivita' piuttosto che minimizzare e poi avere sorprese". E ancora. "Dobbiamo approfondire la questione del pizzo: ci sono segnali che dicono che in alcune zone di Roma il pizzo c'è, ma non ci sono denunce specifiche. Dobbiamo quindi capire se veramente c'è il rischio di un racket territoriale su Roma", ha continuato Alemanno.

Poi ancora sull'incontro con Cancellieri ha raccontato: "Ho trovato un ministro molto attento e sollecito; mi ha detto di avere un cuore romano che batte forte. Mi ha dato la massima disponibilità e attenzione ad affrontare la difficile situazione relativa alla sicurezza a Roma. Il ministro ha promesso più uomini e mezzi e più coordinamento da parte di tutte le forze che devono contrastare la criminalità organizzata. Ho chiesto una strategia specifica, sia in termini di intelligence che di controllo del territorio".

Reazioni. "Oggi anche il sindaco Gianni Alemanno si accorge che Roma negli ultimi anni è diventata territorio di ogni tipo di mafia. Era ora. Da almeno tre anni denunciavamo il fenomeno. Alemanno, però, per evitare di mettere in cattiva luce il governo Berlusconi e il ministro leghista Maroni, fino ad oggi aveva sempre minimizzato la questione. Solo adesso, con un nuovo governo, si è messo a far baccano - ha incalzato Marco Miccoli, segretario del Pd Roma - Alemanno ha una grande responsabilità: se avesse denunciato con forza le infiltrazioni mafiose da subito - fregandosene degli equilibri interni del governo Berlusconi e della sua carriera nazionale - ora sicuramente questo fenomeno sarebbe stato già combattuto. Invece il sindaco ha preferito tacere e mentire per anni ai romani. E questi sono i risultati: la Capitale d'Italia è la città con il record italiano di omicidi".

Replica Giorgio Ciardi, delegato del sindaco Alemanno alla Sicurezza: "L'attacco sferrato dal segretario del Pd, Marco Miccoli, alle forze dell'ordine e a tutti i funzionari del Ministero dell'Interno è davvero vergognoso. Affermare che il fenomeno dell'infiltrazione mafiosa a Roma sarebbe già stato combattuto se Alemanno non avesse minimizzato, cosa peraltro non vera, equivale a dire che tutti i responsabili delle forze dell'ordine, dal ministro all'agente di pattuglia, sono dei burattini al servizio non dello Stato ma della politica".

"Le richieste della difesa non saranno da me contrastate" ha detto il procuratore generale Alberto Cozzella rivolgendosi alla corte d'Assise d'Appello. Il procuratore ritiene focali gli stessi punti della critica di parte: contestualità del morso sul seno sinistro con il delitto, modalità di conservazione degli indumenti della vittime e la possibilità di eventuali contaminazioni. "Pertanto - ha concluso - rivolgo istanza perché la Corte disponga una perizia nel corso di cui potrò esporre i quesiti che ho già formulato con precisione". Il procuratore ha poi definito la sentenza di primo grado "poderosa".

Sulla questione è intervenuto anche il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti: " ''Sono anni, direi dal giorno che sono stato eletto, che segnalavo che il problema dell'ordine pubblico a Roma non era quello dei 'vu cunpra'' ma le infiltrazioni delle organizzazioni mafiose, della Mafia e della Camorra''. A luglio aveva lanciato l'idea - colta poi da tutti - di una fiaccolata di Roma contro la mafie e i poteri criminali "perché le inchieste e i procuratori della Repubblica ci segnalavano che nella capitale sta sempre di più diventando un territorio utile ai poteri criminali per riciclare denaro. Fenomeno questo - ha continuato Zingaretti - aggravato dalla crisi economica, quindi era evidente che occorresse alzare la testa e dare un segno importante delle Istituzioni per rilanciare l'economia sana, far sentire agli imprenditori sani e ai commercianti vittime di questi fenomeni di usura o criminalità che non sono soli''. Altro aspetto tratteggiato da Zingaretti è l'importanza dlel'associazionismo territoriale che va potenziato ''contro la mafia e renderlo più forte contro i poteri criminali''. Comunque la denuncia resta un elemento decisivo a parere del presidente della Provincia di Roma. ''La mafia va cacciata da questa città, era lo slogan di luglio e mi fa piacere che oggi siamo in tanti a urlare questo slogan'' ha concluso.
(24 novembre 2011)

roma.repubblica.it/cronaca/2011/11/24/news/criminalit_nella_capitale_alemanno_c_rischio_mafia-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
30/11/2011 20:22
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Tangenti, bufera sul Pirellone
arrestato il pdl Nicoli Cristiani
Sequestrati due cantieri della Brebemi, una cava destinata a una discarica d'amianto e un impianto
per il trattamento dei rifiuti. Il vicepresidente del consiglio regionale aveva nella propria abitazione
due buste con 100mila euro in contanti. "Sono rovinato", avrebbe detto ai carabinieri durante l'arresto
Il vicepresidente Franco Nicoli Cristiani

Nuova bufera giudiziaria sul Pirellone. Il vicepresidente del consiglio della Regione Lombardia, il 68enne bresciano Franco Nicoli Cristiani (Pdl), è stato arrestato all'alba dai carabinieri di Brescia. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa nell'ambito di un'inchiesta per una presunta tangente da 100mila euro. L'operazione dei carabinieri di Brescia, supportati da personale del Ris e da un elicottero, ha condotto all'arresto di imprenditori, politici e funzionari pubblici.

La mazzetta in casa. I militari hanno trovato nell'abitazione di Nicoli Cristiani 100mila euro in contanti, in pezzi da 500, riconducibili a una presunta tangente che a fine settembre, al ristorante Berti di Milano, sarebbero stati consegnati all'uomo politico da Pierluca Locatelli (arrestato insieme con la moglie Aurietta Pace Rocca), imprenditore attivo nello smaltimento dei rifiuti. La presunta tangente sarebbe servita per accelerare l'iter di autorizzazione di una discarica nel Cremonese. Nelle intercettazioni telefoniche i pezzi da 500 euro erano chiamati "big bubble". La moglie di Locatelli, mentre la coppia si accingeva a portare il denaro, intercettata in auto appariva molto nervosa per il timore di essere controllata da qualche organo di polizia o per il fatto di non aver contato bene le banconote. "Sono rovinato", avrebbe invece detto Nicoli Cristiani ai carabinieri al momento dell'arresto.

Il 'ras di Brescia' Quando disse ai cronisti: "Vi prendo a sberle"

Le accuse. I reati contestati sono traffico organizzato di rifiuti illeciti e corruzione. Sequestrati la cava di Cappella Cantone (Cremona) destinata a una discarica di amianto, un impianto per il trattamento di rifiuti a Calcinate (Bergamo) e due cantieri della autostrada Brescia-Bergamo-Milano, la Brebemi, a Cassano d'Adda (Milano) e Fara Olivana Con Sola (Bergamo). L'operazione ha impegnato 150 uomini dell'Arma. In carcere anche il coordinatore degli staff dell'Arpa (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) della Lombardia, Giuseppe Rotondaro, accusato di aver ricevuto una tangente di 10mila euro il 30 settembre scorso. I militari si sono presentati in tarda mattinata al Pirellone, dove Nicoli Cristiani ha i suoi uffici istituzionali al 24esimo piano.

Il meccanismo. I fondi della massicciata di alcuni tratti della Brebemi (parte lesa nell'inchiesta) sono in costruzione su una base di rifiuti non trattati e scorie miscelate con materiale di demolizione, è scaturito dall'inchiesta. Al centro c'è il gruppo di aziende che fa capo all'imprenditore bergamasco Locatelli. In estrema sintesi, l'imprenditore invece di trattare e smaltire a norma di legge gli scarti pericolosi che le sue aziende ricevevano da diverse acciaierie lombarde, li faceva interrare nei cantieri della Brebemi a Cassano d'Adda e Fara Olivana con Sola. La società Brebemi ha subito annunciato che si costituirà parte civile in un eventuale processo contro gli indagati: "Seguiremo da vicino gli sviluppi dell'indagine - si legge in una nota - e, essendo totalmente estranei ai fatti, dunque parte lesa, ci costituiremo in giudizio come parte civile chiedendo i danni ai responsabili".

"Presto altri indagati". "Il procedimento non è finito qui e ci saranno nuovi indagati", ha annunciato il procuratore aggiunto bresciano Fabio Salomone nel corso di una conferenza stampa in procura insieme con il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Maria Dell'Osso, che tessendo le lodi della "piccola" Dda bresciana (da poco portata da tre a quattro pm) per questa inchiesta, ha parlato di un "malaffare contiguo alla criminalità organizzata, ricordando che è solo un luogo comune che il traffico illegale di rifiuti riguardi solo le regioni del Sud".

I nomi degli arrestati. Gli altri arrestati sono Giovanni Battista Pagani, factotum di Locatelli; Bartolomeo Beniamino Gregori, che per il gruppo Locatelli gestisce gli autisti, i viaggi e i mezzi di trasporto; Egidio Grechi, consulente ambientale della holding; Walter Rocca, responsabile dell'impianto di Calcinate (ora sotto sequestro preventivo) sempre dello stesso gruppo; David Maria Oldrati, titolare della Terra verde srl, che ha garantito la consulenza ambientale sulla cava da trasformare in discarica a Cappella Cantone (Cremona) e il suo consulente Giorgio Obrandi.

Dall'estrema destra al Pdl. Nato a Breno (Brescia) l'11 settembre 1943, sposato e padre di due figli, Nicoli Cristiani ha iniziato da giovane a occuparsi di politica nel gruppo di estrema destra riunito attorno alla rivista Riscossa. Si è laureato in scienze politiche a Padova e ha iniziato l'attività di imprenditore. Nel 1994 è stato tra i fondatori di Forza Italia a Brescia diventando uno dei leader dei cosiddetti 'berluscones', la corrente laica del partito. Considerato vicino a Claudio Scajola, lo scorso 10 novembre non ha però partecipato a una cena con l'ex ministro "perché - aveva spiegato - sono nato con Silvio Berlusconi e non faccio nulla che possa nuocergli". Coordinatore provinciale di Forza Italia dal 1996 al 2000. Eletto in consiglio regionale nel 1995, è stato assessore all'Ambiente fino al 2005. E quando nel 2001 l'Arpa è stata commissariata, per un paio di mesi ne è diventato commissario. Dal 2005 al 2010 è stato assessore al Commercio. Rieletto nuovamente l'anno scorso, è stato nominato vicepresidente del consiglio regionale. Juventino, sempre con il sigaro in mano, Nicoli Cristiani era un assiduo frequentatore della sala fumatori al ristorante Berti, dove avrebbe ricevuto la tangente da centomila euro.

Le reazioni. "Colpito dalla notizia", ma anche "fiducioso nell'operato della magistratura": il presidente del consiglio regionale della Lombardia, il leghista Davide Boni, ha commentato in questi termini l'arresto del suo vice. Più duro l'europarlamentare leghista Matteo Salvini, secondo il quale cominciano a essere "un po' troppi" i "problemi" nel Pdl lombardo. "Tutti sono innocenti fino a prova contraria - afferma Salvini ricordando i casi di Desio, Cassano d'Adda, Buccinasco, Arese e Garbagnate - ma i problemi in casa Pdl iniziano a essere un po' troppi. La Lega fa molta attenzione a chi candida, speriamo in futuro lo facciano anche gli altri". Dall'opposizione Sel e Idv hchiedono di valutare il "dato politico" del nuovo caso giudiziario che coinvolge la Regione Lombardia. Legambiente Lombardia sostiene che "con gli arresti di oggi e i sequestri dei cantieri Brebemi viene alla luce l'ennesimo sistema di malaffare e corruzione made in Lombardia. E, tanto per cambiare, la vicenda assume tutti i connotati di una gigantesca cupola ecomafiosa". E il Pd invita il governatore Roberto Formigoni a intervenire in aula per riferire sulla vicenda.

La replica di Formigoni. "E' del tutto infondato e gratuito chiamare in causa la procedura autorizzativa della discarica di Cappella Cantone in relazione all'indagine che ha portato agli arresti odierni. Chi ha fatto simili illazioni mostra di essere più interessato a innescare polemiche politiche pretestuose, strumentali e fuorvianti che alla verità", fa sapere il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni. "A nessuna fase o passaggio della procedura, che è sempre stata collegiale - sottolinea Formigoni - è stata registrata la partecipazione delle persone oggetto dei provvedimenti giudiziari".

Il precedente di Penati. Nicoli Cristiani è il secondo vice dell'assemblea del Pirellone a finire sotto inchiesta con accuse di corruzione in questa legislatura. L'estate scorsa fu il caso delle presunte tangenti a Sesto San Giovanni a travolgere l'altro vicepresidente Filippo Penati, che poi si dimise dal suo incarico nell'ufficio di presidenza e passò dal Pd al gruppo misto, dove tuttora siede. Attualmente i due vicepresidenti di Boni sono appunto Nicoli Cristiani (Pdl) e Sara Valmaggi (Pd), eletta a settembre al posto di Penati.
(30 novembre 2011)

milano.repubblica.it/cronaca/2011/11/30/news/traffico_illegale_di_rifiuti_coivolti_politici_e_imprenditori-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
06/12/2011 10:45
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

LA PRIMA RICHIESTA D'ARRESTO NEL NOVEMBRE 2009 VENNE RIGETTATA DALLA CAMERA
Politici e banchieri vicini ai Casalesi,
richiesta d'arresto bis per Cosentino
All'alba 50 arresti in tutta Italia. Il deputato Pdl
definito dai pm «referente politico nazionale del clan»


Nicola Cosentino

NOTIZIE CORRELATE
La prima richiesta nel 2009
Il Roma di Bocchino
anticipò la richiesta d'arresto
La pentita Anna Carrino: Nicola aiutò il figlio del boss a fare il soldato a Napoli (3 dicembre 2011)
NAPOLI - Antimafia e carabinieri in azione all'alba con un blitz in tutta Italia finalizzati all'arresto di boss, banchieri e politici ritenuti vicini al clan dei Casalesi: tra loro, anche l'ex sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino. La magistratura di Napoli ha chiesto a Montecitorio di autorizzare l'arresto del deputato del Pdl, indagato per corruzione ed altri reati e definito dai magistrati «referente politico nazionale del clan dei Casalesi». Secondo fonti d'agenzia la richiesta è in corso di notifica in queste ore alla presidenza della Camera dei deputati e fa il paio con la prima che, rigettata nel novembre 2009 dalla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, provocò le dimissioni dell'allora sottosegretario.

IMPRENDITORI ANCHE DEL NORD - I provvedimenti restrittivi colpiscono in particolare elementi riconducibili alle fazioni Schiavone e Bidognetti del clan dei Casalesi. Fra i destinatari anche esponenti politici di rilievo nazionale e locale, personaggi del mondo bancario ed imprenditoriale operanti oltre che in Campania, nel Lazio, in Toscana, nell’Emilia Romagna, in Lombardia ed in Veneto.

L'INDAGINE - L'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Cosentino è stata firmata dal gip Egle Pilla, su richiesta dei pubblici ministeri Antonio Ardituro, Francesco Curcio e Henry John Woodcock.

LE ACCUSE - L'ordinanza riguarda anche un'altra cinquantina di persone,arrestati dai carabinieri con la Dia di Napoli. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione camorristica, riciclaggio, corruzione e falso. Secondo quanto si apprende l'inchiesta riguarda vicende di infiltrazioni del clan dei Casalesi nella pubblica amministrazione ed in particolare tra ex amministratori di Casal di Principe, roccaforte del clan dove il Comune viene sciolto in media ogni due anni. Gli indagati sono oltre settanta.

Redazione online
06 dicembre 2011

corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2011/6-dicembre-2011/politici-affaristi-vicini-casalesii-pm-chiedono-arresto-cosentino-19024311810...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
07/12/2011 22:38
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota



Ricercato da 15 anni, stanato in un bunker sotterraneo a Casapesenna, nel Casertano. Nel covo anche una copia di Gomorra di Saviano. Le sue prime parole dopo la cattura: "Avete vinto voi, ha vinto lo Stato". Sarà detenuto a Novara col 41 bis. Vivo apprezzamento di Napolitano, Monti si congratula col ministro dell'Interno Cancellieri
(ansa)
NAPOLI - Lo Stato ha finalmente messo le mani su Michele Zagaria, 53 anni, latitante da 15, numero uno del clan dei casalesi. "Primula rossa" della camorra ricercata per associazione di tipo mafioso, omicidio, estorsione, rapina e altri reati. Le manette ai polsi del boss sono scattate dopo massicce perquisizioni effettuate all'alba in alcune abitazioni di persone considerate fiancheggiatori del clan dei Casalesi a Casapesenna, nel casertano. Ffinché non è stato individuato il covo: un bunker a cinque metri di profondità ricavato nel sottosuolo di uno stabile. Più di cento gli agenti impegnati nell'operazione, coordinata dal vicequestore primo dirigente del Servizio centrale operativo Vittorio Pisani, lo stesso poliziotto che aveva diretto la squadra mobile di Napoli sino a poco tempo fa prima di essere colpito da un divieto di dimora a Napoli nell'ambito dell'inchiesta sul riciclaggio (ipotesi di reato per la quale non è indagato). Nelle prossime ore, Zagaria sarà trasferito a Novara, dove sarà detenuto in regime di 41 bis. Il carcere duro.

E lo Stato esulta. Vivo apprezzamento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "per l'importante risultato conseguito nel contrasto alla criminalità organizzata". Il premier Mario Monti telefona al ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri per congratularsi, poi dirama una nota: "E' una bella giornata per la Campania e per tutte le persone oneste. Il risultato di oggi rappresenta uno stimolo e dà coraggio a quanti sul territorio e nel Paese sono pronti a contrastare la criminalita organizzata".

Repubblica Tv La gioia di Saviano 1
VIDEO I filmati della cattura 2
FOTO Brindisi davanti la Questura 3
AUDIO Bolzoni: "Ora hanno perso la testa" 4

Il ministro Cancellieri non esita a giudicare l'arresto del boss "un grandissimo successo dello Stato", un colpo "non solo al clan dei casalesi, ma all'intera organizzazione camorristica", grazie "allo straordinario lavoro di forze dell'ordine e magistratura". E rivolge le sue personali congratulazioni al capo della polizia, Antonio Manganelli, per l'operazione coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia di Napoli, eseguita dalla Questura di Napoli e Caserta e dal Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato. Al ministro della Giustizia, Paola Severino, la notizia la dà in diretta il pm Antonello Ardituro, in via Arenula a Roma come vicepresidente nazionale dell'Anm.

FOTO Prime immagini del blitz 5
STORIA "Capastorta", il boss con la tigre 6
FOTO Gli identikit del boss 7
AUDIO Zagaria minaccia giornalista al telefono 8

Il boss stanato nel bunker. Come tanti altri boss della criminalità organizzata finiti in manette dopo anni di caccia, anche Michele Zagaria si nascondeva nel suo territorio: il comune di Casapesenna, terra di Gomorra, nel Casertano infestato dal clan dei Casalesi. Dove "Capastorta", il suo soprannome, si muoveva con attenzione ma anche con la disinvoltura di chi sa di poter contare sul silenzio della paura.

Per le sue sortite, "Capastorta" sbucava da sottoterra: viveva nascosto in un bunker di cemento a 5 metri di profondità, 20 metri di superficie, ricavato in un anonimo appartamento di vico Mascagni. Anche oggi, Michele Zagaria ha messo la testa fuori dalla botola. Erano le 13, ma stavolta, intorno a sé, non era il silenzio. Ad accoglierlo, gli applausi delle forze dell'ordine. Sul posto anche i procuratori Cafiero de Raho, Catello Maresca e Raffaele Falcone, Marco Del Gaudio.

Durante la lunga caccia a Michele Zagaria, sono state utilizzate anche apparecchiature dell'aeronautica militare capaci di rilevare fonti di calore umano in profondità, montate su un aereo della Guardia di finanza. Ma la svolta è arrivata alcuni mesi fa, quando la polizia ha saputo che il proprietario dello stabile di Casapesenna aveva chiesto a un fornitore industriale un motore particolare, per far scorrere su binari il vano di apertura del covo.

Il bunker di Zagaria era altamente tecnologico. Vi si accedeva con un meccanismo sofisticatissimo, che solo il boss, di fatto, poteva azionare. L'ingresso, una botola da cui si accedeva a una scala di tre metri, era nascosto dietro la parete semovente della stireria. Per far scorrere indietro la parete, Zagaria utilizzava un telecomando: ce ne erano due, uno in casa e uno nel covo, ma quando il "capo" era chiuso nel bunker quello in casa era disattivato. Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: "Speriamo che possa essere arrestato anche chi ha progettato e costruito quel bunker".

L'aerazione nella stanza sotterranea era assicurata da un impianto di climatizzazione. Quando la polizia ha individuato il nascondiglio e ha staccato la corrente elettrica, il boss ha temuto di morire soffocato. Ha cominciato a urlare e, dopo l'arresto, ha raccontato quei momenti di paura agli uomini in divisa: "Vi chiamavo e non mi sentivate...".

Gomorra tra le letture. Nella sua tana, Michele Zagaria aveva portato un crocifisso, immagini sacre, foto di famiglia e libri, quasi tutti sulla camorra: tra Gomorra di Roberto Saviano, i Gattopardi e Solo per giustizia del giudice Raffaele Cantone, L'impero di Gigi Di Fiore, l'eccezione è una biografia di Steve Jobs. Anche oggi, Michele Zagaria ha messo la testa fuori dalla botola. Erano le 13, ma stavolta, intorno a sé, non era il silenzio. Ad accoglierlo, gli applausi delle forze dell'ordine. Sul posto anche i procuratori Cafiero de Raho, Catello Maresca e Raffaele Falcone, Marco Del Gaudio.

Il boss ironico: "Ha vinto lo Stato". Il procuratore Maresca, il primo magistrato a scendere nel covo, si è così rivolto al boss appena arrestato: "Come mi ha insegnato il mio maestro Franco Roberti, è finita", ricordando l'ex capo dei magistrati antimafia di Napoli, oggi alla guida della procura di Salerno. "E' finita - ha convenuto, ironico, il boss - ha vinto lo Stato". A Maresca, Zagaria ha detto di averlo riconosciuto, perché "l'ho visto in tv". Poi ha espresso il desiderio di poter fare una doccia, prima di uscire dal bunker. Infine, il boss ha chiesto al magistrato della Dda di dargli atto che "le cose brutte che sono state scritte io non le volevo fare". Riferimento probabile ai progetti di attentati contro esponenti delle istituzioni ai quali avrebbe lavorato l'ala stragista dei casalesi, guidata da Giuseppe Setola.

Il procuratore Cafiero de Raho: "E' finita, lo abbiamo preso ma la cosca non può dirsi ancora sconfitta anche se questo è un grande passo". "Vado in pensione ben contento - ha dichiarato il procuratore Giandomenico Lepore (AUDIO 9) - questo era un regalo atteso e che mi era stato promesso. È un grande risultato quello che abbiamo ottenuto ed è il frutto di un lungo e faticoso lavoro". Zagaria, aggiunge, "era il capo del clan dei Casalesi più attivo, continuava a infiltrarsi con le sue attività nel nord Italia e le modalità della sua cattura hanno richiesto un'attività investigativa molto particolare".

"Il conto si paga. Sempre". Durante l'operazione, in vico Mascagni sono confluiti tanti curiosi, "non siamo di qui, Zagaria non lo conoscevamo". Quando è arrivato uno dei proprietari dell'abitazione dove è stato catturato il boss, il suo urlo ai poliziotti è allo stesso tempo una rabbiosa sfida e un'ammissione di sconfitta: "Non siete nessuno". Silenzio da parte dei vicini di casa, solo insulti a chi prova a fare domande. A chi chiede ai presenti se oggi, per Casapesenna e non solo, sia una bella giornata, quasi tutti rispondono: "Boh, c'è il sole, forse sì...".

Il sindaco di Casapesenna, il cui cognome il caso vuole sia esattamente quello del boss, si dice "dispiaciuto che alcuni concittadini lo abbiamo coperto e, dunque aiutato, ma l'importante è che lo abbiano preso". Il primo cittadino Fortunato Zagaria lo definisce un "giorno importante" e, soprattutto, spera sia "una lezione per i giovani, per chi in questa terra resta facilmente affascinato dalla camorra. Perché il conto si paga sempre".
(07 dicembre 2011)

www.repubblica.it/cronaca/2011/12/07/news/casalesi_catturato_boss_zagaria-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
12/12/2011 20:57
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I Casalesi e gli affari in tutt'Italia
maxisequestro da 100 milioni
I sigilli nelll'ambito dell'inchiesta sul voto di scambio che vede tra gli indagati anche il deputato Pdl Nicola Costentino. Stop a una nota discoteca di Riccione e a impianti di calcestruzzo del casertano
Sequestri preventivi, per oltre 100 milioni di euro, sono in corso in numerose regioni italiane (Campania, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia) su disposizione della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli.

I quindici provvedimenti, emessi dai pm "in via d'urgente", riguardano, tra l'altro, quattro impianti per la lavorazione del calcestruzzo del Casertano e una nota discoteca di Riccione.

Discoteca e calcestruzzo, le immagini dei sequestri Dia

I sequestri sono stati disposti dalla Dia di Napoli nell'ambito dell'operazione "Il principe e la scheda ballerina" che lo scorso sei dicembre portò all'arresto di 57 tra affiliati e fiancheggiatori del clan dei casalesi.

I beni che il personale del Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli stanno sequestrando sono riconducibili a persone già destinatarie di provvedimenti di custodia cautelare in carcere emessi nell'ambito dell'operazione dello scorso 6 dicembre. L'operazione vide anche la presentazione di una richiesta d'arresto alla Camera dei deputati per il parlamentare Nicola Cosentino e, in veste di indagato, il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro.

(12 dicembre 2011)

napoli.repubblica.it/cronaca/2011/12/12/news/ssssssssss_ssssssssss-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
14/12/2011 19:44
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Cosa nostra, pizzo e cocaina per la fiction di Canale 5. Il boss: “Digli che ci sono gli extra” L'operazione che oggi ha portato in carcere 28 persone racconta anche l'infiltrazione dei picciotti nel telefilm Squadra antimafia Palermo oggi. I padrini del mandamento di Porta Nuova ottenevano l'assunzione degli amici e spacciavano cocaina ai dipendenti della Tao due “Questa serie Tv è la nostra fortuna: così facciamo lavorare gli amici degli amici almeno per altri cinque anni, che alla gente ci piace e noi gliela dobbiamo fare qua a Palermo”. A parlare degli affari che Cosa Nostra riusciva a fare con la fiction Squadra Antimafia Palermo Oggi è il boss di Porta Nuova Calogero “Pietro” Lo Presti, finito in manette stamattina a Palermo nella maxi operazione antimafia che ha portato all’arresto di 28 persone, decapitando di fatto i vertici del mandamento a cui era affiliato Vittorio Mangano. Durante le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci , i Carabinieri sono riusciti a documentare l’interesse di Cosa Nostra per la nota serie televisiva di Canale 5 .

In un summit, avvenuto in una stalla nei pressi del cimitero dei Capuccini a Palermo, il boss Lo Presti esternava ai suoi sodali tutto il suo interesse per la fiction di Mediaset. Un interesse che doveva essere meno illecito possibile. “Senza domandare denari – diceva Lo Presti intercettato nella stalla – . A loro servizi ci dobbiamo fornire. E loro ripagano con piccioli e assunzioni… Comparse, pullmini, pasti… Ci siamo sistemati”. La famiglia di Porta Nuova riusciva in effetti a guadagnare collaborando con la Taodue, la società che produce Squadra Antimafia Palermo Oggi per Mediaset.

Gaetano Lo Presti, nipote del boss Pietro, collaborava infatti con la Taodue, dato che gli era stato affidato il servizio catering, l’accompagnamento degli attori, e si occupava anche di aspetti amministrativi per la società di produzione romana. “Per la famiglia di Porta Nuova era importante anche l’apporto Marcello Testa, socio della cooperativa Europalermo, alla quale la Taodue aveva affidato la gestione di alcuni servizi legati alla fiction”. In questa veste riusciva spesso a fare assumere come comparse parenti di affiliati al clan, come per esempio avveniva per il fratello di Giovanni Giammona, uno degli arrestati di stamattina.

Oltre ai “servizi” apparentemente leciti forniti alla fiction però, i boss non rinunciavano a taglieggiare i produttori della serie televisiva avanzando richieste estorsive. Lo Presti in un’ intercettazione telefonica del settembre 2010 racconta di aver contattato Filippo Teriaca, zio di Marcello Testa, per farsi versare dalla produzione della serie tv la somma di cinque mila euro, una sorta di estorsione una tantum, motivata con una laconica causale: “ci sono gli extra”, dice il boss intercettato.

La famiglia mafiosa di Porta Nuova riusciva poi a incrementare i profitti con la produzione della fiction fornendo anche altri tipi di “servizi”, molto meno leciti del catering e del trasporto. Il clan riforniva infatti di cocaina il set di Squadra Antimafia Palermo Oggi. Alcuni membri della troupe contattavano ripetutamente lo stesso Giummona, che era il pusher ufficiale della famiglia mafiosa. I contatti telefonici erano frequenti e spesso i tecnici della produzione utilizzavano un linguaggio in codice per ordinare dosi di droga a Giummona: “Mi servivano due fotocopie di una fotocopia”. A volte capitava anche che la qualità della droga non fosse buona. In quel caso anche le proteste erano in codice “la fotocopia mia non …non è uguale a … non si vede proprio! no, ma non è proprio uguale a quell’altre fotocopie, come mai?”. In certi casi i quantitativi di polvere bianca acquistata erano poi consistenti: “non lo so…vogliono una bella spesa” dice un membro della troupe di Mediaset annunciando a Giummona una grossa ordinazione.

Le indagini dei Carabinieri hanno evidenziato poi come la famiglia mafiosa avesse il suo peso anche in altro settore dello spettacolo: quello musicale neomelodico. Un genere molto apprezzato dai boss che però in certi casi hanno anche boicottato alcuni cantanti. E’ il caso del napoletano Vittorio Ricciardi, artista neomelodico molto apprezzato nei rioni popolari palermitani, che si era rifiutato di salutare i mafiosi detenuti durante una sua esibizione. Il boss Lo Presti, avvicinato dal manager di Ricciardi, è perentorio “fallo tornare a Napoli perché è un Carabiniere, gli dici: senti, tu qui a Palermo non puoi cantare più non con me!”. Un aneddoto che dimostra ancora una volta quanto sia importante per le famiglie mafiose il benessere dei detenuti. E’ lo stesso Lo Presti a confermarlo “se il carcerato è messo davanti la televisione… viene il cuore perché si sentono realizzati, si sentono pensati”.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/14/cosa-nostra-pizzo-droga-fiction-canale-boss-presti-digli-sono-extra...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.468
Post: 2.952
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
06/01/2012 10:46
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

I numeri sul «Portale storico della Camera»: il 27% dei documenti riguardava richieste d'arresto di deputati italiani. Il picco durante Tangentopoli

Vanity Fair – mer 4 gen 2012

Email
Stampa
Ingrandisci foto
La Camera dei Deputati (Reuters)
CONTENUTI CORRELATI
Ingrandisci foto
Camera, respinta la richiesta di arresto per Milanese
Guarda la fotogallery
Gabriella Giammanco saluta il premier
Guarda il video
Video: Manovra, deputata Lega parla in Aula vestita da operaia -VideoDoc
1:22 | 2676 visualizzazioni
Foto: Alfonso Papa alla Camera, Giunta favorevole al suo arresto
Ogni quattro documenti arrivati alla Camera, uno si occupava di richieste d'arresto nei confronti di deputati italiani. Il dato non fa certo piacere agli onorevoli, in questi giorni al centro del dibattito per gli stipendi molto più alti rispetto ai colleghi europei.

La polemica sulle buste paga d'oro degli onorevoli

I DATI SUL SITO DELLA CAMERA
Ma come un dirigente d'azienda decide la paga di un dipendente in base alla sua produttività, così i cittadini italiani devono poter stabilire se lo stipendio dei loro governanti è adeguato o meno in base al lavoro che compiono ogni giorno a Montecitorio. Per questo la Camera ha messo online dal 20 dicembre il «Portale della storia della Camera»: un archivio che raccoglie tutti i dati su Deputati, lavori parlamentari, atti e documenti di Montecitorio dal 1946 a oggi.

P3, chiesto rinvio a giudizio per Dell'Utri e Verdini

LE RICHIESTE D'ARRESTO
In quest'ultima sezione è possibile consultare i «Documenti parlamentari». quei documenti e relazioni trasmessi alla Camera dal Governo o da altri soggetti istituzionali oppure predisposti da organi della Camera stessa. 21.382 documenti, in tutto, di cui la parte del leone è costituti dalle richieste di autorizzazione a procedere.
Le domande inviate dalla magistratura per ottenere l'autorizzazione ad arrestare o a effettuare delle perquisizioni o intercettazioni a carico dei deputati dal dopoguerra a oggi sono state ben 5.851: il 27% dei documenti totali, il doppio dei documenti riguardanti sentenze della Consulta (3.900) e della Corte dei Conti (3.200).


I PRIMI ANNI
Il numero delle richieste è variato nel corso delle legislature. Nei soli due anni dell'Assemblea Costituente, la Camera ne ricevette 58, molte delle quali riguardanti il deputato Concetto Gallo: una sorta di recordman di Montecitorio, accusato di insurrezione armata, omicidio, tentati omicidi, invasione di terreni, sequestri di persona, estorsione, associazione a delinquere e detenzione di armi da guerra.

IL PICCO DI TANGENTOPOLI
Anche le prime legislature dal '48 al '58, sotto la guida di Alcide De Gasperi, furono ricche di richieste d'arresto: 802 nella prima, 586 nella seconda. Nel corso degli anni il numero si abbassò, salvo poi impennarsi e toccare il record di 896 nell'undicesima legislatura, quella di Tangentopoli, durata solo due anni, dal '92 al '94.


GLI ANNI 2001-2006
Dal '94 al 2001 la Camera ha vissuto anni relativamente «calmi», ricevendo un numero di richieste inferiore al centinaio. Nei cinque anni di governo Berlusconi che vanno dal 2001 al 2006 sono però tornate a salire, toccando quota 218.

SOLO 5 AUTORIZZAZIONI CONCESSE
Eppure in 55 anni la Camera ha autorizzato solamente cinque arresti per altrettanti deputati: l'onorevole del Pci Moranino nel 1955, accusato di aver ordinato nel 1944 una strage di partigiani ritenuti delle spie; il missimo Sandro Saccussi nel 1976, accusato dell'omicidio a Sezze Romano di Luigi Di Rosa e di istigazione all'insurrezione armata per il cosiddetto «golpe Borghese»; il radicale e sospetto terrorista Toni Negri nel 1983; il sospetto trafficante d'armi Massimo Abbatangelo nell'84 e il deputato del Pdl Alfonso Papa nel luglio 2011, accusato di estorsione, concussione e rivelazione di segreto.

Camera, il bar aggiorna i prezzi


it.notizie.yahoo.com/archivio-camera-arresti-65.html?nc
[IMG][/IMG]
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:36. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com