Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 2 3 | Pagina successiva

I costi della Pubblica Amministrazione : Ecco quanto guadagnano i dipendenti di Regioni, Comuni e Province

Ultimo Aggiornamento: 12/03/2023 17:59
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
27/10/2011 15:33
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

politici, dipendenti pubblici, pensioni d'oro, auto blu, manager pubblici......
Quanto costano le baby-pensioni
Oltre 6 mila euro annui a lavoratore

In tutto sono quasi 532 mila quelle erogate a dipendenti che hanno lasciato il lavoro prima dei 50 anni di età. Il 78,6 % sono erogate dall'Inpdap a ex impiegati pubblici, il 56,5 % sono donne

ROMA - Le 'baby pensioni' costano allo stato 163,5 miliardi. Una sorta di 'tassa' pari a 6.630 Euro a carico di ciascuno dei 24.658.000 lavoratori italiani. Il calcolo è di Confartigianato che ha analizzato quanto pesano sul bilancio statale e sulle tasche dei cittadini, in termini di mancate entrate e maggiori uscite, le 531.752 pensioni di vecchiaia e di anzianità concesse a lavoratori pubblici e privati che sono andati in pensione con meno di 50 anni di età, in alcuni casi addirittura dopo appena 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di servizio.

Il 78,6% di queste pensioni sono erogate dall'Inpdap, l'ente di previdenza del pubblico impiego, che registra 424.802 pensioni a dipendenti pubblici ritirati dal lavoro ad una età inferiore a 50 anni: di queste il 56,5% sono erogate a donne. Il costo di queste pensioni pubbliche ammonta a 7,43 miliardi. Il rimanente 21,4% è relativo alle 106.950 pensioni erogate dall'Inps a soggetti con età di uscita inferiore a 50 anni in relazione a regimi speciali e prepensionamenti, per una spesa complessiva di 2,02 miliardi.

Considerata l'età di uscita dal lavoro dei baby pensionati, la loro età attuale e la speranza di vita, i baby pensionati rimangono in pensione, in media per 40,7 anni. Con una durata media della vita stimata a 85,1 anni, si tratta del 48% della vita trascorso in pensione.

"Le baby pensioni - rileva Confartigianato - hanno un impatto sulle finanze pubbliche tutt'altro che trascurabile. La spesa previdenziale relativa a questi trattamenti previdenziali ammonta a 9,45 miliardi di euro all'anno. Ma, poiché il mezzo milione di pensionati precoci riceve un trattamento pensionistico più lungo di 15,7 anni rispetto ad un pensionato medio, il risultato è che le baby pensioni determinano una maggiore spesa pubblica cumulata per i 15,7 anni di durata della pensione eccedenti alla media che ammonta a 148,6 miliardi di euro. Ciò significa che per ciascun baby pensionato viene erogata una maggiore spesa rispetto ad un pensionato ordinario di 279.582 euro. A questa somma - prosegue Confartigianato - va aggiunta la minore contribuzione pari a 138.582 euro per ciascun baby pensionato del settore privato che complessivamente si traduce in 14,8 miliardi di mancate entrate previdenziali per gli oltre centomila baby pensionati privati".

"Le baby pensioni - sottolinea Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato - sono un fenomeno paradossale, un'assurda iniquità, frutto di politiche pensionistiche poco 'previdenti' fatte negli anni Settanta e Ottanta. Con queste cifre si mette in ginocchio qualsiasi sistema contributivo e retributivo. Con una seria riforma della previdenza che alzi l'età pensionabile si potrebbe fare un'intera manovra di sviluppo".
(27 ottobre 2011)

www.repubblica.it/economia/2011/10/27/news/quanto_costano_le_baby-pensioni_oltre_6_mila_euro_annui_a_lavoratore-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
30/10/2011 00:08
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La politica costa 350 euro a famiglia
Possibili risparmi per 3,3 miliardi
Gli organi elettivi costano 12 mila euro a testa in una vita media calcolata sugli 80 anni. Riducendo di circa un terzo i parlamentari avrebbero benefici circa 30 milioni di contribuenti
(ansa)
ROMA - Di "costi della politica" si parla tanto, spesso rimanendo nel vago. A dipanare i dubbi arriva un'analisi di Confcommercio Imprese che rileva quanto costano gli organi elettivi a famiglie e individui. E i numeri sono di tutto rispetto: oltre nove miliardi di euro l'anno, corrispondenti a poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa. Ovvero in una vita media di 80 anni, circa 12 mila euro. L'organizzazione sottolinea che per contenere la spesa pubblica basterebbe ridurre di poco più di un terzo il numero dei parlamentari, per ottenere un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all'anno.

2.900 euro all'anno per i poveri. Quello che si risparmierebbe, dice Confcommercio, è una "cifra sufficiente ad attuare una riduzione permanente di circa otto decimi di punto della prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti o, in alternativa, a ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all'anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta". Stando così le cose, sottolinea Confcommercio, e immaginando una vita media di 80 anni sia per le donne che per gli uomini, e un'indicizzazione dei costi della politica pari al tasso d'inflazione a sua volta pari al tasso d'interesse nominale, al momento della nascita ogni cittadina e cittadino italiano dovrebbero considerare un debito vitale per costi della rappresentanza pari a poco più di 12 mila euro.

Quasi il

77% dei costi monetari sono costituiti dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All'interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali.

Solo organi elettivi. Nella definizione del perimetro dei costi adottato nello studio Confcommercio non vengono considerati i costi della Presidenza del Consiglio dei Ministri né degli organi costituzionali diversi da quelli direttamente elettivi, né delle giunte di Regioni ed Enti locali. Inoltre, nom vengono inserite nei costi della politica, la spesa delle pubbliche amministrazioni per trattamenti di quiescenza.

Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica calcolati per l'anno 2009, superano i 9,1 miliardi di euro e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa.

I dati. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale, una proporzione largamente inferiore a quella dell'insieme dei costi gestionali (il 30,1%, sostanzialmente gli acquisti di beni e servizi utilizzati nella 'funzione di produzione della politica'). Il costo complessivo vale in termini medi poco più di 59 mila euro per ciascun rappresentante eletto su base nazionale e locale (cioè 9.148,6 miliardi di euro diviso per gli oltre 154 mila membri di organi collegiali).

Stimando una proporzione di riduzione di eletti a qualsiasi livello pari a circa il 36,5%, valore che proviene dalla spesso ipotizzata operazione di passaggio dagli attuali 945 parlamentari a 600 rappresentanti, suddivisi in 400 deputati alla Camera e 200 senatori presso il costituendo Senato federale, si otterrebbe a regime un risparmio di oltre 3,3 miliardi di euro all'anno.

L'organizzazione ricorda che quei circa 3,3 miliardi di risparmi consentirebbero una riduzione permanente di circa 7-8 decimi di punto della prima aliquota dell'Irpef (quella al 23%), con un beneficio generalizzato per circa 31 milioni di contribuenti capienti. In alternativa, per esempio, si disporrebbe di risorse pari a oltre 2.900 euro all'anno per ciascuna famiglia che in Italia versa in condizioni di povertà assoluta (un milione e 156 mila famiglie nell'anno 2010, secondo l'ultima indagine Istat).

Probabilmente, osserva ancora Confcommercio, "la più grande ed efficace operazione di redistribuzione mirata mai effettuata in Italia. Ma probabilmente priva, a oggi, di condizioni politiche per essere effettuata. Allora, un'ipotesi più concretamente praticabile, potrebbe essere quella di considerare, come base per applicare un taglio del 36,5%, il totale dei costi al netto di quelli di funzionamento indiretti, realizzando un risparmio quantificabile in quasi 1,8 miliardi di euro". In altre parole, spiega l'organizzazione, "stiamo escludendo dal computo (della riduzione dei costi) tutti i costi relativi al personale dipendente (i costi di funzionamento indiretti, appunto), ipotizzando, in qualche modo, un trasferimento dei dipendenti pubblici connessi al funzionamento delle assemblee legislative ad altre funzioni. La cifra di 1,8 miliardi di euro è, comunque, ragguardevole, anche perché di carattere permanente".
(29 ottobre 2011)

www.repubblica.it/politica/2011/10/29/news/la_politica_costa_350_euro_a_famiglia_possibili_risparmi_per_3_3_miliardi-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
31/10/2011 14:50
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Casta, Montecitorio contro Iachetti
Un comunicato per smentire il comico
In un video su internet il conduttore di Striscia aveva attaccato la Camera dei deputati: "Hanno fatto 33 assunzioni". La replica: "Affermazioni prive di fondamento". In realtà il provvedimento è di Palazzo Chigi
di LAURA LONGO
Enzo Iachetti
ROMA - La Camera dei Deputati emette un comunicato ufficiale per rispondere a Enzo Iachetti. Sono gli inediti cortocircuiti della comunicazione generati dalla montante polemica anti-casta, che ha nel comico il suo ultimo rappresentante.

Il conduttore del programma di "Striscia la notizia" si era sfogato contro alcuni ministri, mandandoli letteralmente a quel paese. Lo aveva fatto postando sulla propria bacheca di Facebook un videoclip.

VIDEO Lo sfogo di Iachetti 1

FOTO Il comunicato di Montecitorio 2

Nel mirino dei suoi attacchi c'è il ministro dell'Innovazione, Renato Brunetta e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. "Questa settimana - dichiara il comico nel filmato - un mio amico mi ha detto che alla Camera dei deputati, con 4.600 dipendenti, sono stati assunti altri 33 dipendenti. Quindi: vaff... Brunetta". Poi si rivolge al ministro della Difesa: "Leggo su alcuni quotidiani che La Russa ha comperato 19 Maserati per trasportare dei generali. E allora diciamo: vaff... anche a La Russa''. E infine aggiunge: "Si possono scrivere tutte le lettere del mondo - riferendosi al recente documento d'intenti 3 dell'Italia verso l'Unione europea - ma fra una quindicina di mesi saremo andati affa... pure noi. Bisogna cominciare a incazzarsi un attimino''.

Immediata la risposta dell'ufficio stampa di Montecitorio che in nota ufficiale smentisce le dichiarazioni di Iacchetti: "Niente di più falso: alla Camera i dipendenti sono 1.648 e finora non c'è stata alcuna assunzione".
Risponde all'attore anche il portavoce del ministro dell'Innovazione, Vittorio Pezzuto, che definisce il comico come ''un Beppe Grillo qualsiasi'' e lo accusa di aver ''biascicato castronerie belle e buone''. ''Non vi sono state nuove assunzioni alla Camera dei deputati - replica il portavoce di Brunetta - e semmai le avrebbe decise il presidente Fini e non il ministro Brunetta. Chissà se adesso - conclude Pezzuto- Iachetti avrà il buon gusto di chiedere scusa al ministro. Chi di mestiere fa il comico dovrebbe ricordare che i giullari erano gli unici titolati a prendersi gioco del Re dicendogli in faccia la verità. La verità, appunto, e non la menzogna".

Il dato però fornito dal conduttore non è del tutto inesatto. Le 33 assunzioni, sebbene non siano state fatte dalla Camera, sono state compiute da Palazzo Chigi. Dopo aver approvato ad agosto una manovra che rende tassativo il blocco delle assunzioni, il governo ha infatti varato un decreto che permette la chiamata in pianta stabile alla presidenza del Consiglio di 33 persone, dodici delle quali dirigenti ben retribuiti e destinati a pesare nei conti di Palazzo Chigi. Assolutamente vero, invece, l'acquisto delle Maserati da parte del ministero della Difesa.

(31 ottobre 2011)

www.repubblica.it/politica/2011/10/31/news/casta_montecitorio_contro_iachetti_un_comunicato_per_smentire_il_comico-2...


[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
01/11/2011 20:17
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Computer di Montecitorio a società schermate. “Così c’è il rischio di infiltrazioni” Assegnato l'appalto da 15 milioni di euro alla Tecnoindex spa, società con sede a Roma, schermata al 94% da una fiduciaria lombarda. La società ravennate Business-e, che ha perso l'appalto, ha fatto ricorso: "Una palese violazione del codice degli appalti pubblici"I computer della Camera dei deputati potrebbero essere affidati a una società di cui non si conoscono i reali proprietari. L’anno scorso, infatti, Montecitorio, col placet del collegio dei questori (capeggiati dall’ex Psi e attuale Pdl, Maurizio Colucci) ha assegnato un appalto da 15 milioni di euro per la gestione dei propri servizi informatici alla Tecnoindex spa. Si tratta di una società con sede a Roma, schermata al 94% da una fiduciaria lombarda (che a sua volta è controllata al 61% dalla lussemburghese De Vlaminck sa, n.d.r.): un’architettura che di fatto consente di nascondere l’identità dei soci. Sulla carta, dunque, i pc della Camera, con tutti i loro contenuti, potrebbero essere messi nella mani di una società dietro cui potrebbe nascondersi chiunque.

Eppure, nel codice degli appalti pubblici è previsto il “divieto di intestazione fiduciaria”: una norma che ha proprio lo scopo di evitare che le amministrazioni appaltanti non abbiano il controllo del reale soggetto che si aggiudica l’appalto, e di contrastare il rischio di infiltrazioni occulte e mafiose. Proprio a questo divieto si sono aggrappati i legali della società che è arrivata seconda alla gara, la ravennate Business-e, per presentare ricorso al Consiglio di giurisdizione della Camera. “L’appalto è stato aggiudicato a una società la cui effettiva gestione e direzione è affidata a un’altra società, la De Vlaminck sa, di cui non è possibile conoscere gli effettivi soci, con palese violazione dell’articolo 38 del codice degli appalti pubblici”, sostengono gli avvocati.

Inizialmente, il ricorso è stato accolto dal Consiglio presieduto dal finiano Giuseppe Consolo, che ha provveduto così ad annullare l’aggiudicazione. Ma successivamente, l’amministrazione della Camera ha presentato appello contro questa stessa sentenza, con l’obiettivo di assegnare definitivamente l’appalto (15 milioni di euro per tre anni) al raggruppamento Intersistemi-Tecnoindex.

Secondo lo staff di Montecitorio, non c’è nessun mistero dietro la società vincitrice: il 29 novembre 2010 (cioè solo dopo che e-Business ha presentato ricorso), la Brianza fiduciaria, infatti, avrebbe svelato l’identità dei soci nascosti. Si tratterebbe della Nous Informatica, una società “tutta italiana” che nulla ha a che vedere col Granducato. Resta il fatto che, secondo gli avvocati di Business-e, “la società lusemburghese ‘De Vlaminck’ è socia di maggioranza della Brianza fiduciaria, che a sua volta è azionista al 94% proprio della Tecnoindex spa”, come scrivono i legali nel contro-appello presentato lo scorso 28 luglio.

La disputa ora dovrà essere risolta dal collegio d’appello della Camera, dove, oltre a Paniz (Pdl), siedono Donato Bruno (Pdl), Pierluigi Mantini (Udc), Renato Zaccaria (Pd), e Alessandro Ruben (Fli). Il verdetto è atteso proprio in questi giorni.

di Elena Boromeo

www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/31/computer-di-montecitorio-a-societa-fantasma-rischio-di-infiltrazioni-mafiose-e-occulte...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
03/11/2011 20:23
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Fuori ruolo, abolito il doppio stipendio? Non per tutti.
La norma sui dipendenti pubblici "fuori ruolo" che li mette in aspettativa non retribuita vale solo per alcune Autorità e comunque non per gli incarichi in corso. - Bernardo Iovene
Con quale criterio sia stato detto “a te sì e a te no” è difficile saperlo, sta di fatto che dall’elenco delle Autorità che perderanno il doppio stipendio manca l’Agcom, garante delle comunicazioni, manca l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavoro, mancano i capi di gabinetto dei Ministeri e mancano i vari incarichi ricoperti dai magistrati fuori ruolo presso la Presidenza del Consiglio e della Repubblica. Il nuovo presidente dell’Antitrust, se già dipendente pubblico, dovrà scegliere tra lo stipendio dell’amministrazione di appartenenza o l’indennità della carica che va a ricoprire. Restano tanti altri privilegiati che invece potranno continuare a percepire i doppi stipendi. Infatti gli emendamenti che hanno presentato alcuni senatori sia della maggioranza che dell’opposizione per estendere la norma a tutte le amministrazioni centrali e locali dello Stato sono stati respinti.

Bernardo Iovene
02 novembre 2011(ultima modifica: 03 novembre 2011 08:46)

www.corriere.it/inchieste/reportime/societa/fuori-ruolo-abolito-doppio-stipendio-non-tutti/c9a6e4cc-0546-11e1-bcb9-6319b650d0...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
05/11/2011 21:13
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

G20, Cameron leader «virtuoso»
Berlusconi spende 30 mila euro
Il Sun elogia il primo ministro britannico per aver speso quasi 2mila euro per dormire contro i 34mila di Obama


NOTIZIE CORRELATE
Merkel: «Dieci anni per uscire dalla crisi» (5 novembre 2011)



I leader al vertice (Ap) MILANO- Dormire in un albergo economico mentre tutti i «colleghi» si danno al lusso? Si può fare. Parola di David Cameron che durante il G20 di Cannes ha deciso di alloggiare al Marriott, pagando la stanza 1.920 euro a notte. Gli altri leader hanno speso in media 23mila euro. Un paradosso che a molti non va giù. La crisi economica (e le ricette per uscirne) impone ai cittadini una certa ristrettezza nelle spese. Una sobrietà che sembra non sia rispettata dai capi di governo.
IL TABLOID- Così il tabloid inglese The Sun, fa le pulci al vertice: «Mentre il mondo cade a pezzi, i leader possono spendere oltre un milione di euro per l'ospitalità?». Così pare. Nel mirino le spese per gli alberghi sulla croisette. Il plauso, dopo aver analizzato i costi di tutti i capi di governo, è quasi d'obbligo, visto che l'unico ad aver speso meno di due mila euro è proprio David Cameron. Il primo ministro ha quindi ringraziato il quotidiano per «l'onestà», anche se per lui è stato comunque troppo.

GLI ALBERGHI- E gli altri? Sempre secondo il Sun, il secondo più «virtuoso» dopo Cameron, è stato Hu Jintao che ha speso poco più di 10mila euro a notte per una camera al Grey d'Albion. Silvio Berlusconi ha alloggiato al Carlton (quasi 30mila euro) e come vicino ha avuto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama (34mila euro) che ha alloggiato nella suite Grace Kelly. Nicolas Sarkozy, padrone di casa, non ha badato a spese e la sua suite al Majestic-Barriere è venuta a costare quasi 37mila euro. Mentre Angela Merkel, anche lei al Majestic, avrebbe speso tra i 10 e i 30 mila euro.

IL VERTICE- Questi sono i costi solo per l'alloggio. Poi devono essere incluse le cene, i pranzi. E soprattutto i regali. Penne Dupont per i capi di Stato e di governo e borse di Hermes per le rispettive consorti. Insomma, secondo i ben informati il vertice di due giorni è costato ben «80 milioni di euro, di cui 25 milioni per la sola sicurezza dei 33 capi di Stato e di governo e delle loro delegazioni». Una parte dei fondi sono arrivati da donatori per un totale di quasi 26 milioni di euro. E il resto? Intanto c'è chi calcola che le spese siano molte di più.

Benedetta Argentieri
05 novembre 2011 17:34

www.corriere.it/economia/11_novembre_05/g20-costi-alberghi-cameron_121dab1e-07c2-11e1-8b90-2b9023f462...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 3.980
Post: 50
Registrato il: 17/04/2011
Registrato il: 31/10/2011
Sesso: Femminile
05/11/2011 21:32
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Se pagavano da tasca loro ,tranquilli che erano più attenti a non spendere troppo .Predicare bene e razzolare male [SM=g7352] Cmq bravo Cameron [SM=g7350]


OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
09/11/2011 13:34
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Casta, uffici da 240 mila euro
per il sindaco di Trani


Il primo cittadino della città pugliese, Giuseppe Tarantini, ristruttura gli uffici di Gabinetto per una cifra record. "Lavori indispensabili" dichiara lui. Il tutto affidato ad un'unica ditta e solo in parte con gara d'appaltoIl sindaco di Trani Giuseppe Tarantini Lavoro ingrato quello del sindaco. Soprattutto se, a causa dei tagli, l’ufficio di rappresentanza non è provvisto né di parquet né di mobili con rifiniture in ebano e nemmeno di divani in pelle. Ma c’è chi si ribella. Lo ha fatto un primo cittadino pugliese, a Trani, Giuseppe Tarantini. L’anno scorso ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi assessori e al “signor cerimoniere” (sì, il Comune di Trani ha un cerimoniere): “L’ufficio del sindaco non è idoneo al ruolo istituzionale che tale locale deve rivestire”. La sua lamentela non è rimasta inascoltata. Nel giro di qualche settimana sono cominciati i lavori di ristrutturazione. E in meno di sei mesi la stanza del primo cittadino è stata resa di nuovo ‘idonea’. Per poco meno di 240 mila euro.

“La sensazione è che gli amministratori si siano un po’ lasciati prendere la mano”, commenta ironico Mimmo De Laurentis, consigliere di minoranza dei Socialisti uniti. Lo stanziamento iniziale, infatti, ammontava a 11.542 euro. Con la determina del 12 marzo 2010 viene affidato l’acquisto degli arredamenti per la sala giunta e la sala del cerimoniale, senza gara di appalto, a una ditta di Trani, la Seca srl, definita nel documento “di fiducia di questa amministrazione”. Ma passano quattro mesi e viene assegnato un secondo appalto, che ha come scopo: “L’allestimento con la formula chiavi in mano della stanza di rappresentanza istituzionale del sindaco” e della sala giunta. La spesa complessiva, definita a luglio, è di 99.900 euro. Stavolta non si procede per affidamento diretto, ma si fa un’indagine di mercato per “acquisire il preventivo migliore”. Arrivano sei offerte. Viene scelta ancora la Seca srl, la ditta indicata come “di fiducia”.

Passa appena un mese e l’investimento non viene giudicato sufficiente. “Su invito di autorevoli componenti della amministrazione comunale”, come si legge nella determina del 12 agosto, i lavori vengono ampliati “con notevole incremento di materiale” e “manodopera altamente specializzata”. Così il Comune di Trani sborsa altri 40mila euro e si arriva a 111.142 euro.

Non basta. A dicembre arriva un nuovo provvedimento. Alla ditta Seca srl vengono assegnati altri 14.270 euro per acquistare, nell’ordine: una fotocopiatrice, una stampante laser, 4 librerie e materiali per la segnaletica nel corridoio degli uffici del sindaco e della sala giunta. Ma per ripristinare l’idoneità istituzionale degli uffici serve ancora un’ultima tranche di ben 69.522 euro. La spesa complessiva alla fine è di 235.234 euro. “Troppo, spese ingiustificabili”, secondo il consigliere Mimmo De Laurentis. Il sindaco, però, non ha più di che lamentarsi. Il suo ufficio ora ha un parquet, divani in pelle bianca e nera, scrivania e mobili con rifiniture in ebano, una “poltrona presidenziale in pelle nera”, nuove tende, punti luce e un videocitofono per rispondere a chi bussa alla sua porta. “Lavori indispensabili”, si giustifica il primo cittadino Tarantini, “Trani è un capoluogo di provincia e deve avere una sede comunale all’altezza, non abbiamo ristrutturato solo la mia stanza, ma anche gli uffici attigui per un totale di oltre 300 metri quadrati”. Tarantini è al secondo mandato ed è un dirigente di peso del Pdl in provincia. Nel 2007 venne a sostenerlo in campagna elettorale Maurizio Gasparri: “La tua è stata un’amministrazione buona e trasparente. Alla discussione di natura politica hai risposto non accettando imposizioni, ricatti e compromessi”, disse nel comizio conclusivo il capogruppo al senato del Pdl.

Dopo la ristrutturazione del suo ufficio, l’opposizione lo attacca duramente: “Il Comune ha grossi problemi economici, anche i revisori dei conti dell’amministrazione hanno espresso gravi preoccupazioni sul bilancio comunale”, spiega il capogruppo del Pd Fabrizio Ferrante. I soldi potevano essere spesi per cose più importanti? “Argomentazioni da frati trappisti”, risponde Tarantini, “nei comuni c’è sempre qualcosa di più prioritario rispetto ad altro. Con questa logica si rischia l’immobilismo”.

di Giorgio Mottola

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/09/trani/169003/
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
12/11/2011 01:30
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Milano, chiusa l’inchiesta Zincar: milioni
di euro del Comune finiti in nulla Per lo scandalo che ha travolto l'azienda pubblica, i pm Robledo e Polizzi contestano sprechi milionari sui fondi per l'ambiente e il sociale, dai veicoli elettrici alla sicurezza stradale. Tra i beneficiati della "gestione dissennata", il fratello del deputato Pdl Maurizio Bernardi e la compagna di Fabio Ghioni, condannato per il "Tiger Team" di TavaroliSulla carta gestiva progetti nobilissimi: l’auto elettrica, l’edificio ecologico, la sicurezza dei pedoni, fino a un “sistema di navigazione urbana per gli ipovedenti”. Ma la Zincar srl, controllata dal Comune di Milano, non li realizzava mai, o consegnava una minima parte di quanto promesso. Nel frattempo distribuiva milioni di euro a consulenti e fornitori, spesso senza pezze giustificative delle loro prestazioni o per acquistare beni che nulla avevano a che fare con la commessa in corso per conto del Comune retto da Letizia Moratti. E tra i benficiati spuntano nomi noti: Massimo Bernardo, fratello di Maurizio, deputato del Pdl ed ex assessore regionale lombardo, e Damiana Bernardo, che non è parente del deputato, ma è compagna e socia di Fabrizio Ghioni, condannato per il dossieraggio del Tiger Team che faceva capo a Giuliano Tavaroli in Pirelli-Telecom.

E’ la ricostruzione contenuta nell’avviso di chiusura indagini dei pm milanesi Alfredo Robledo e Giovanni Polizzi, che ricostruiscono la “gestione dissoluta e irrazionale” – così la definiscono – che ha portato al fallimento della Zincar. I vertici della società avrebbero truccato i conti per 16 milioni 842 mila euro, gonfiando gli “stati di avanzamento dei lavori relativi alle commesse ricevute dal Comune di Milano”. E ottenevano così dall’ente pubblico “la corresponsione di acconti calcolati su opere e attività non compiute”, occultando le perdite reali, fino al tracollo. Tra gli indagati figurano il direttore generale Francesco Baldanzi, l’amministratore unico Antonio Bardeschi, due dirigenti del Comune di Milano, Mario Grippa e Giuseppe Cozza, e Donato Liviero, amministratore di fatto della Poliarkes srl, una delle aziende fornitrici. Alla Ap&B, società di comunicazione controllata da Massimo Bernardo, sono arrivati contratti per 140 mila euro, secondo i conteggi dell’accusa.

Lo scandalo, scoppiato nel 2009, aveva coinvolto anche Vincenzo Giudice, presidente di Zincar nonché ex presidente del Consiglio comunale di Milano, sempre per il Pdl, poi uscito dall’inchiesta. Le carte raccontano una decina di casi di sperpero di denaro pubblico. Come il progetto per la realizzazione di dieci colonnine per il rifornimento dei veicoli elettrici, costato oltre 340 mila euro a fronte della consegna di due soli impianti “peraltro mai installati”. Stessa sorte per un erogatore di idrogeno da impiantare all’Università Bicocca, che non ha mai visto la luce dopo aver bruciato quasi quattro milioni di euro (di cui 46 mila alla società di Massimo Bernardo).

La Zincar cura anche diversi progetti sulla sicurezza stradale (per i quali alla Ap&B di Bernardo vanno oltre 50 mila euro), problema che a Milano si manifesta in modo tragico, con frequenti incidenti che falciano pedoni, cicilisti, motociclisti, automobilisti. Risultato: studi e analisi affidati ai soliti fornitori “senza alcun documento o giustificazione dell’attività svolta”. E l’annunciato “Centro permenente per la sicurezza urbana”, una commessa da 680 mila euro, si risolve con la consegna di “un simulatore di guida, peraltro di modesto valore”, notano i pm Robledo e Polizzi, e niente più. Alla E-Pegasus srl di Mario Jesi e Damiana Bernardo, la compagna di Ghioni, vanno 282 mila euro.

Il denaro pubblico si disperde nei rivoli più disparati. Dovendo procedere alla realizzazione di un Centro operativo protezione civile, Zincar dà 25 mila euro alla società Edipol per “prestazioni estranee alla commessa”, vale a dire “realizzazione di servizi giornalistici relativi al meeting interregionale per la polizia municipale del Mezzogiorno”. Alla fine al Comune di Milano arriva soltanto un automezzo, “poi donato alla città dell’Aquila”. Neppure la meritoria intenzione di “facilitare la mobilità degli utenti con ridotte o assenti capacità visive” si sottrae al sistema. Il Comune mette a disposizione 400 mila euro, che finiscono in loghi e pubblicità non legate all’iniziativa (60 mila euro), in una relazione progettuale “sostanzialmente identica a precedenti studi già svolti dal Comune di Milano” e in una consulenza (35 mila euro) di cui i magistrati non hanno più trovato traccia.



www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/11/milano-chiusa-linchiesta-zincar-milioni-euro-comune-finiti-nulla...
[Modificato da angelico 12/11/2011 01:30]
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
12/11/2011 02:35
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Forze armate a due velocità
eroi in missione, spreconi in patria

Il ministero guidato da Ignazio La Russa, dieci anni dopo il varo del nuovo modello di Difesa, ha in dotazione una ventina di miliardi l'anno per le esigenze di esercito, marina, aeronautica e carabinieri. Ma il totale sale a 27 miliardi con i fondi legati alle missioni di peace keeping e alla produzione di armi. Sono davvero tutti soldi necessari o resistono anche in tempo di tagli aree dove la spesa potrebbe facilmente essere razionalizzata?Ogni minuto che passa lo Stato brucia 50mila euro in spese militari. Tre milioni l’ora, settantatré al giorno. L’orologio della Difesa non conosce soste, ignora gli allarmi della crisi, scandisce i tempi di un flusso finanziario continuo. Quello necessario a garantire un esercito di professionisti, gli armamenti, le missioni all’estero. E ad assicurare un ventaglio sempre più ampio di funzioni più o meno tradizionali: dalla vigilanza sulle discariche alle iniziative promozionali come feste e parate. Sono le cifre di un apparato di sicurezza interno e internazionale di cui il governo può menar vanto, ma sono anche i numeri di un gigantesco business che alimenta sprechi e sperperi. Tagliato il traguardo dei due lustri della leva volontaria, il nuovo modello di Difesa varato nel 2000 mostra tutte le sue crepe. Additate, allo stesso modo, da pacifisti e osservatori militari accreditati. Il totale delle spese per le forze armate e l’industria bellica, nel 2010, si è attestato sui 27 miliardi di euro. In questo comparto, per intenderci, lo Stato garantisce finanziamenti quattro volte superiori a quelli del fondo ordinario delle università. O, messa in un altro modo, appronta risorse più di tre volte superiori a quelle che conta di ricavare dai tagli previsti per scuola e servizi. Come si arriva a questa cifra che fa a pugni con i propositi rigoristi dell’esecutivo?

La ragnatela della spesa. Ventisette miliardi è la somma indicata dal rapporto annuale del Sipri, un istituto internazionale indipendente che ha sede a Stoccolma. E’ un conto economico in crescita rispetto all’anno precedente, che tiene conto di una pluralità di voci che fanno lievitare il totale a una quota quasi doppia rispetto a quella, ufficiale, che compare nel bilancio della Difesa: il ministero guidato da Ignazio La Russa ha infatti una dotazione di 14,5 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i 5,7 miliardi della funzione sicurezza garantita dai carabinieri e gli 1,5 miliardi delle missioni all’estero rifinanziate di sei mesi in sei mesi. Disseminate poi in mille altri capitoli ci sono le voci riconducibili alle spese militari ma che rientrano negli investimenti per la produzioni di armi, mezzi e sofisticati congegni tecnologici a scopi bellici. Il solo ministero dello Sviluppo economico ha una quota di 3,5 miliardi per questa finalità, ma nel settore della ricerca risorse ci sono fondi destinati a fini collaterali anche nei capitoli del Miur. Allora, la domanda è: in che modo vengono utilizzati i fondi?

Comandanti e comandati. L’Italia è l’ottavo paese al mondo per spese militari, addirittura il quinto se si analizzano le uscite pro-capite, cioè divise per il numero di abitanti. Eppure il nostro Paese non è né la quinta né l’ottava potenza internazionale. Un dato di partenza su cui si interrogano in molti. Anche perché lo Stato italiano, pur destinando solo lo 0,9 per cento del suo Pil alla difesa, ha un contingente militare che per dimensioni è secondo in Europa solo alla Francia. In realtà, le nostre forze armate presenti nei teatri dei conflitti, protagoniste dall’Aghanistan al Libano di missioni apprezzate a livello internazionale, non superano le 12mila unità. Ma alle spalle di queste avanguardie d’eccellenza, c’è un apparato elefantiaco che conta 190mila persone. Ed è la distribuzione di questo personale a suscitare qualche interrogativo. A partire dalla cifra dei graduati: 98mila fra ufficiali e sottufficiali. In pratica, come rivelano Massimo Paolicelli e Francesco Vignarca ne Il caro armato (edizioni Altra economia, 13 euro), oggi fra esercito, marina e aeronautica i comandanti sono più dei comandati. In Italia abbiamo seicento fra generali e ammiragli: gli Stati Uniti, che pure vantano un apparato militare da un milione 400mila uomini, hanno appena 900 figure di questo tipo. Quanto risponde questa struttura a esigenze strategiche e logiche di bilancio?


10 novembre 2011

inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/11/10/news/sprechimilitariuno_sprechimilitaridue-24772048/?inchiesta=%2Fit%2Frepubblica%2Frep-it%2F2011%2F11%2F10%2Fnews%2Fstellette_e_sprechi-247...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
19/11/2011 14:32
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Ars, pensioni e stipendi d'oro ai burocrati
buste paga doppie rispetto alla Lombardia
Al segretario generale 13 mila euro al mese, il suo omologo a Milano ne prende 6.500. Un consigliere parlamentare con incarico di direttore guadagna 9.200 euro netti al mese, in Lombardia si ferma a 3.790
di ANTONIO FRASCHILLA
PALERMO - Il palazzo d'oro non garantisce solo stipendi da favola, consentendo a un commesso di guadagnare più di un dirigente scolastico o a uno stenografo non laureato di guadagnare quattro volte di più di un insegnante di ruolo. Il Palazzo garantisce anche pensioni impensabili per qualsiasi altro dipendente pubblico. I numeri sono stati messi nero su bianco proprio dagli uffici del Palazzo in questione: per la prima volta l'Assemblea regionale rende note le cifre delle pensioni dei suoi ex dipendenti, qualifica per qualifica, con uno studio calcolato su 35 anni di contributi, il minimo per andare a riposo nell'amministrazione dorata del più antico parlamento d'Europa.

E le cifre sono impressionanti, specie se confrontate con quelle di un altro organismo consiliare come il Consiglio regionale della Lombardia, il tutto grazie all'autonomia ma anche a scatti d'anzianità automatici riconosciuti dall'Assemblea che consentono incrementi stipendiali ben superiori a quelli dell'inflazione Istat. E se è incontestabile che la Sicilia ha uno Statuto autonomo e che l'Ars ha una storia centenaria, è anche vero che in un momento di crisi come questo giustificare il costo del personale dell'Assemblea siciliana, doppio rispetto a quello di una regione come la Lombardia, è davvero difficile.

I dipendenti di Palazzo dei Normanni sono equiparati a quelli del Senato, in virtù della tanto vantata autonomia. Grazie a questa equiparazione, sancita nella prima seduta di Sala d'Ercole nel 1947, oggi le retribuzioni non
sono minimamente comparabili con quelle degli altri organismi consiliari regionali del resto d'Italia, compresi quelli delle altre regioni a Statuto speciale. All'Ars un segretario generale, incarico ricoperto attualmente da Giovanni Tomasello, con 24 anni di anzianità ha uno stipendio netto tabellare pari a 13.145 euro al mese in 16 mensilità. Un suo pari del Consiglio regionale della Lombardia guadagna 6.590 euro netti in sole 13 mensilità.

Molto meno della metà. Lo stipendio del segretario generale, carica che all'Ars è ricoperta da due persone, è maggiore anche di pari funzioni di consigli di altre regioni a statuto speciale: per esempio il segretario del Consiglio della Valle d'Aosta, Christine Perrin, guadagna 8 mila euro lordi al mese. Chiaramente con questo divario anche le pensioni risulteranno differenti, e di molto: un segretario generale con 35 anni d'anzianità all'Ars ha garantita una pensione di 12.263 euro netti al mese, in Lombardia di 5.931 euro.

Le cifre sono incomparabili anche per tutte le altre qualifiche: in Assemblea, a esempio, un consigliere parlamentare con incarico di direttore con 24 anni d'anzianità guadagna 9.257 euro netti al mese, un suo pari in Lombardia si ferma a 3.790, con il risultato conseguente che la vecchiaia per il primo sarà dorata, per il secondo un po' meno. Perché l'Ars garantirà a questo consigliere parlamentare una pensione di 9.715 euro netti al mese, il Consiglio della Lombardia di 3.411. Le differenze di retribuzione riguardano comunque tutte le qualifiche fino alla più bassa, quella dei commessi. Differenze di retribuzione dovute non solo alla "specialità" siciliana, ma anche al tipo di contratto.

Quello dei dipendenti dell'Ars prevede infatti scatti d'anzianità automatici, cosa impensabile in Lombardia: "Qui lo stipendio tabellare delle varie qualifiche non cambia in base all'anzianità e rimane sempre fisso - dicono dall'ufficio retribuzioni del Consiglio regionale lombardo - in questo modo un dipendente può avere aumenti di stipendio solo se con concorsi interni cresce di qualifica". Con questo meccanismo in Lombardia un commesso di massimo grado, cioè di categoria D3, può arrivare nella migliore delle ipotesi a guadagnare 1.566 euro netti al mese, che diventano 2 mila con un'indennità aggiuntiva che copre gli straordinari. Quando andrà in pensione questo commesso lombardo avrà un assegno mensile di 1.409 euro. Numeri che farebbero a dir poco sorridere i 120 commessi dell'Assemblea regionale, che con 24 anni d'anzianità arrivano a guadagnare 3.736 euro netti al mese e possono contare su una pensione dorata da 3.439 euro.

Nel dettaglio l'Ars garantisce pensioni elevate a tutti i suoi dipendenti: uno stenografo parlamentare avrà minimo 6.324 euro al mese, un coadiutore 4.184 euro e un tecnico amministrativo 3.746 euro. Netti, chiaramente. Ecco perché entrare a Palazzo dei Normanni è il sogno di tutti i siciliani: qui si rimane sempre al riparo dalle intemperie e si vive davvero fuori dal mondo.
(19 novembre 2011)

palermo.repubblica.it/cronaca/2011/11/19/news/ars_pensioni_e_stipendi_d_oro_ai_burocrati_buste_paga_doppie_rispetto_alla_lombardia-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
19/11/2011 23:13
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Tanti auguri Cicciolina, onorevole pornostar
di Alessandra Vitali
Ilona Staller festeggia il 26 novembre. E dal prossimo mese le arriverà la pensione da parlamentare. Grazie a quei cinque anni alla Camera. Storia di una pornostar diventata icona della trasgressione. Nell'Italia degli anni Ottanta
Ilona Staller
APPROFONDIMENTI
FOTO Ilona, in arte Cicciolina
Quel giorno di luglio, in piazza Montecitorio, faceva caldo. Ma non per questo le ragazze si presentarono discinte. Lo facevano per abitudine e professione, erano i tempi in cui “ci voleva, per fare il mestiere, anche un po’ di vocazione”. Due luglio del 1987, Ilona Staller in arte Cicciolina, pornodiva eletta nelle liste del Partito radicale ringraziò chi le aveva tributato ventimila preferenze debuttando davanti al palazzo in compagnia delle stimate colleghe Moana Pozzi, Ramba, Baby Pozzi e Hula Pop. Polizia in affanno e, dietro alle transenne, folla fremente in attesa che si ripetesse il rito che la candidata aveva celebrato durante la campagna elettorale: comizi sulla libertà sessuale, via i bottoni della camicia, seno al vento e mani dei sostenitori più impegnate a palpeggiare che ad applaudire. L’attesa, quel 2 di luglio dell’87, non andò delusa. Cicciolina e le compagne omaggiarono la folla con un mini-show, le altre sfilandosi la maglietta, lei invece castigata come si conveniva a una parlamentare, in abito verde aderentissimo niente spacchi o scollature. Non rimase disatteso il monito di Andreotti che, sulla sua rubrica su L’Europeo, aveva auspicato che si presentasse alla Camera in abiti decorosi per rispetto agli elettori, “anche quelli che votano per Benedetto Croce”.

Buon compleanno, Cicciolina da Budapest, figlia di un funzionario del ministero dell’Interno ungherese, arrivata in Italia a vent’anni e adottata dalla grande famiglia di Riccardo Schicchi, all’epoca tycoon del porno, che alla fine degli anni Settanta la lanciò nel firmamento delle stelle dell’eros. Sesso e candore infantile la miscela incandescente sulla quale s’era fondata la sua carriera, sempre al confine fra il soft e l’hard core, abitini bianchi e coroncina di fiori e il fido serpente, “Pito Pitone”, che l’accompagnava nei suoi show. Un’icona di trasgressione che nell’Italia di quegli anni trovò un terreno fertile in cui piantare radici, tanto da conquistare la paternità del primo seno nudo mandato in onda dalla Rai. Era il 1978.

E’ dell’anno dopo, il 1979, l’idea di entrare in politica. Si presenta con la Lista del Sole. Un flop. Meno di dieci anni dopo Marco Pannella la punta – lui sempre a caccia di candidati-shock – e le offre un posto nel 1987 per arricchire le sue liste. Lei comincia a girare città e paesi a bordo di una cabriolet rossa. Se nel mondo della politica c’è chi storce il naso (Emanuele Macaluso, allora dirigente del Pci, scrisse su L’Unità che raccattava voti “regalando baci e facendo vedere le tette”) nelle piazze è sempre bagno di folla.

Grazie all’onorevole pornodiva si moltiplicano i giudizi sprezzanti sull’Italia, mentre fanno il giro del mondo le foto di lei fra gli scranni di Montecitorio inguainata in poco onorevoli abiti. Da parlamentare si occupa delle questioni a lei più care: il divieto di allevare animali da pelliccia, la riapertura delle case chiuse, la creazione di “parchi dell’amore”, la battaglia contro la censura. Sconfina anche nella politica estera: durante la crisi del Golfo, nel 1990, annuncia di essere pronta a fare l’amore con Saddam Hussein per convincerlo a evitare la guerra.

Alla Camera cominciarono ad arrivare le richieste di autorizzazione a procedere contro Ilona per atti osceni (commessi, secondo l’accusa, nei suoi spettacoli e nei comizi politici). Ma i sostenitori non le mancavano: l’Aula la assolse, a scrutinio segreto, bloccando i processi nei suoi confronti con 190 voti a favore e 130 contro.

Poi, la politica passò in cavalleria. Alle politiche del 1992 fu un flop il “Partito dell’amore” ideato – ben prima di Berlusconi – con Moana Pozzi e Cicciolina ritenne più opportuno tornare alle origini. Riprese l’attività da pornostar e cercò di farsi una famiglia. Si sposò con l’artista americano Jeff Koons ma finì piuttosto male, e solo da poco tempo ha vinto la battaglia legale per l’affidamento del figlio.

Quattro anni fa ha pubblicato con Mondadori un libro di memorie, “Per amore e per forza”. Oggi, alle soglie dei sessant’anni, con la maturità torna anche l’interesse per la politica. Ilona si dice pronta a fondare un partito “ottimista-futurista”. Se poi l’idea dovesse non andare in porto, potrà sempre ritirarsi a vita privata e festeggiare con l’arrivo della pensione da parlamentare: tremila euro lordi che la Camera comincerà a versarle dal prossimo mese. Eredità di quei cinque anni in cui è stata per tutti “l’onorevole Cicciolina”.

(19 novembre 2011)


www.kataweb.it/tvzap/2011/11/19/tanti-auguri-cicciolina-i-60-di-unonorevole-pornostar...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
20/11/2011 14:28
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Turismo, i nuovi incarichi d’oro ordinati
dalla Brambilla vengono bloccati al fotofinish Fermato da una fronda interna al ministero il blitz per dare altri 130 mila euro al direttore dell'Enit Paolo Rubini, che sarebbe diventato consigliere di Convention Bureau, un carrozzone dotato di 7 milioni, finito in rosso in tre mesiStava diventando un manager pubblico da guinness dei primati. Uno capace di raddoppiare le sue entrate in appena due anni, da quasi 190 mila euro a oltre 400 mila, in barba alla crisi e alle promesse del governo di contenere gli emolumenti dei dirigenti. Paolo Rubini, 49 anni, direttore dell’Ente per il turismo (Enit) non ha raggiunto il traguardo per un soffio. È stato bloccato in extremis da una specie di fronda interna al ministero del Turismo guidato dal capo del Dipartimento per lo sviluppo, Caterina Cittadino, che non se l’è sentita di dare pedissequamente seguito alle disposizioni del ministro uscente, Michela Vittoria Brambilla, perentoriamente impartite attraverso il capo di gabinetto, Claudio Varrone. In base a quell’ordine a Rubini e a Mario Resca, amicissimo di vecchia data di Silvio Berlusconi, consigliere Mondadori e direttore dei Beni culturali, dovevano essere versati 130 mila euro all’anno ciascuno per i loro incarichi rispettivamente di consigliere delegato e presidente di Convention Bureau, società voluta a tutti i costi dalla Brambilla ufficialmente per incrementare il turismo dei convegni, ma che in pratica si è rivelata un’inutile costola dell’Enit, una specie di carrozzone in fasce, nato con la bella dotazione di circa 7 milioni, ma capace di accumulare 567 mila euro di passivo in appena 3 mesi di vita.

Se avesse avuto anche i quattrini di Convention Bureau, Rubini avrebbe fatto Bingo cumulando questa somma ai circa 190 mila euro di direttore dell’Ente del turismo, onnicomprensivi secondo il contratto, ma che poi si sono gonfiati con altri 5. 639 euro al mese che lo stesso Rubini si è assegnato per la reggenza della sede turistica di Tokyo, più 2. 639 per quella di Francoforte, più 406 euro per la reggenza della Direzione informatica. Senza contare i 16. 558 euro disposti e incassati dallo stesso Rubini a titolo di una tantum per la gestione dell’ufficio di Pechino dal 6 maggio al 24 agosto. Le storie intrecciate di Rubini e Convention Bureau sono esemplari. Prima di diventare direttore dell’Enit, Rubini era stato uno dei più stretti collaboratori della Brambilla in quell’avventura dei Circoli della Libertà berlusconiani passati come una meteora tra un rifrullo di quattrini e mille polemiche. Da dirigente dell’ente turistico si è messo in luce, tra l’altro, per l’ambizioso progetto di portare in mostra in giro per il mondo le opere di Michelangelo.

Un tentativo abortito e sostituito da un programma assai più sobrio, basato sull’esposizione dei lavori di un certo Roberto Bertazzon, “pittore, scultore e conceptual design”, un artista nato a Pro-secco a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, che ama dipingere e scolpire rane. Rubini si è distinto anche per il progetto Magic Italy in Tour, un programma studiato per rilanciare l’immagine dell’Italia in 19 città di 12 paesi europei attraverso una mostra su un camion in cui era presentato il meglio della cucina e della produzione agricola nazionale. Costo oltre 3 milioni di euro e organizzazione incerta, stando almeno a quel che ha raccontato alcuni giorni fa Laura Garavini del Pd in un’interrogazione alla Brambilla. Secondo la Garavini, per esempio, a Madrid in pieno luglio il camion è rimasto aperto nelle ore del solleone micidiale e delle piazze deserte, dalle 2 alle 8, per di più nel quartiere periferico di Madrid Rio.

Nelle intenzioni della Brambilla, Rubini avrebbe dovuto essere la colonna portante anche di Convention Bureau. La nascita di questa società ha seguito un percorso tortuoso. Il primo atto è una lettera dello stesso ministro Brambilla con cui si stabilisce che la nuova azienda sia finanziata con i soldi del ministero, ma sia formalmente costituita e partecipata da Promuovi Italia, altra società pubblica dipendente da Enit che di fatto, però, si occupa in prevalenza di faccende lontane dal turismo. Il passaggio chiave è del 26 gennaio e porta la firma del capo di gabinetto del ministro, Varrone, il quale impone in sostanza al Dipartimento del Turismo di derogare ai propri poteri di controllo su Enit e controllate. In questo modo da quel momento in poi sarà la stessa Enit, cioè Rubini, a vigilare sulla gestazione della nuova società relegando in un scomoda posizione subalterna Promuovi Italia.

Quest’ultima, però, prende la cosa seriamente: mette in campo un’ipotesi di piano aziendale e studia la forma societaria più appropriata. Anche se volesse, del resto, non potrebbe prendere la faccenda sottogamba, visto che per ottemperare alla volontà del ministro è costretta a una variazione di statuto e a un aumento di capitale impegnativo: da 120 mila euro a 1 milione e 120 mila. L’atteggiamento cauto dei vertici di Promuovi Italia irrita però i vertici del ministero, i quali alla fine impongono lo statuto di Convention Bureau e nominano un consiglio di amministrazione composto in prevalenza da fedelissimi del ministro. Siamo tra febbraio e marzo di quest’anno e la situazione è già talmente compromessa e pasticciata che il consiglio di amministrazione non resta in carica che per il tempo necessario a insediarsi. A maggio il vecchio consiglio viene azzerato e in quello nuovo entrano Resca e Severino Lepore, proprietario dell’Harry’s Bar di via Veneto a Roma. E subito la società comincia a spendere soldi. Tanto che, siamo in luglio, Resca convoca un’assemblea straordinaria dei soci per un aumento del capitale sociale da 500 mila euro a 1 milione e per chiedere all’azionista Promuovi Italia nuovi soldi per ripianare i debiti. Da Promuovi Italia esce così un altro milione e 500 mila euro per rimettere in corsa la società.

L’ultima stranezza arriva proprio nei giorni della caduta di Berlusconi. Poco dopo che il tabellone elettronico della Camera certifica la fine del governo, dal ministero parte la richiesta di aggiungere un altro milione alla dotazione di Convention Bureau, soldi che dovrebbero essere sottratti proprio alla dotazione di funzionamento di Promuovi Italia. Per i dirigenti di quest’ultima società è la goccia che fa traboccare il vaso, tanto che ora stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di liquidare Convention Bureau o di cedere la partecipazione, anche gratis. Per sottrarsi a un abbraccio non voluto e soffocante.

di Fabio Amato e Daniele Martini

Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2011



www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/19/brambilla-incarichi-doro-al-fotofinish...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
21/11/2011 20:27
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

La figlia di Scaroni alla Consob
l’ente che vigila sull’Eni La giovane avvocatessa, figlia dell'amministratore delegato del colosso dei carburanti, assunta a tempo determinato (con contratto di cinque anni) senza concorso pubblico. Guadagnerà circa 60-65 mila euro l'anno, più i soldi delle eventuali trasferteL'amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni “La riscoperta e la pratica di valori etici, che sembravano essere stati dimenticati, si pongono come la Stella polare del nostro agire”. Parole di Giuseppe Vegas, presidente della Consob, a conclusione del suo intervento a chiusura dell’anno 2010-2011 della scuola di polizia tributaria della Guardia di Finanza, il 30 giugno scorso. Detto, fatto: pochi giorni dopo (il 13 luglio), dopo aver bloccato cinque concorsi pubblici per 12 posti, la Consob assume a tempo determinato (con delibera numero 17870) Clementina Scaroni, avvocatessa, figlia del numero uno dell’Eni Paolo Scaroni. Il tutto, ovviamente, senza indire un bando pubblico. Risulta infatti “vincitrice – così recita la delibera della Commissione della Consob – della selezione per il profilo di esperto in diritto commerciale e amministrativo”. Una selezione per titoli in cui ha ottenuto il punteggio 54,0. E si tratta di un buon contratto: categoria “C1”, equiparato alla qualifica di funzionario di secondo livello. A tempo determinato sì, ma della durata di cinque anni, cosa che potrebbe condurre a una stabilizzazione, by-passando, appunto, il concorso pubblico. Anche sulla retribuzione Clementina non avrà da lamentarsi: almeno 60-65 mila euro lordi l’anno.

L’AVVENTURA in Consob della figlia di Scaroni è iniziata il primo settembre. Lei, che prima lavorava nel noto studio legale milanese Bonelli Erede Pappalardo (di cui è cliente l’Eni), è stata destinata alla filiale di Milano dell’authority, nella prestigiosa sede di via Broletto. E si occuperà del contenzioso della Consob. L’avvocatessa era stata destinata, al momento dell’assunzione, alla Divisione Intermediari / Ufficio Vigilanza e Albo Intermediari e Agenti di Cambio. Poi con un successivo ordine di servizio è stata spostata “a decorrere dal 3 ottobre 2011 – si legge nel documento – presso la sede di Milano, alla Consulenza Legale / Ufficio Intermediari e Mercati”. Una sede distaccata dell’ufficio legale, che da sempre risiede a Roma. Sede sulla cui utilità ci sarebbe da discutere. L’ufficio legale della Consob, infatti, si occupa per lo più di controversie di fronte al Tar. E la sede del Tribunale amministrativo competente per l’authority è quella romana del Lazio. A Milano ha poche cause, gestite finora da un paio di legali esterni di quel foro (come avviene in altre città). L’avvocatessa, se in futuro avesse necessità di discutere una causa davanti al Tar, dovrà raggiungere la Capitale in “missione”, con un ulteriore costo a carico della collettività: in Consob, lo prevede il contratto, il dipendente in trasferta, oltre al rimborso del viaggio, si ritrova in busta paga da 100 a 150 euro (dipende dall’inquadramento) al giorno in più. Ad agosto il senatore dell’idv Elio Lannutti ha presentato un’interrogazione parlamentare all’ora ministro dell’Economia Giulio Tremonti con cui critica “l’assunzione di un esperto di diritto commerciale alla Commissione nazionale per le società e la borsa senza avere indetto alcun concorso pubblico – scrive Lannutti – e la scelta di Clementina Scaroni, che dell’amministratore delegato di Eni non è un’omonima”. E il senatore dell’Idv ha chiesto “misure urgenti per mettere la Consob in condizione di esercitare al meglio le funzioni di efficienza, trasparenza e legalità a presidio dei risparmiatori, avendo riguardo anche alla disciplina relativa alle assunzioni di personale nonché alla definizione di percorsi di carriera”.

IL 9 MAGGIO scorso Paolo Scaroni è intervenuto all’incontro annuale della Consob con il mercato a Piazza Affari. In quell’occasione ha spiegato che “il sistema di corporate governance italiano ha molti pregi e qualche difetto e ha pescato a piene mani dal modello inglese”, che è “concepito per governare public company” e che prevede una separazione fra proprietà e gestione dell’azienda. Chissà se proprio il “modello inglese” ha ispirato l’amministratore delegato del gruppo italiano con maggiore capitalizzazione in Borsa, la cui figlia lavora nell’authority che ha il compito di vigilare anche sull’Eni. Del resto anche lo stesso Vegas è transitato da un incarico di governo (viceministro dell’Economia) al vertice di un’autorità di controllo, che dovrebbe essere indipendente.

da Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2011

www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/20/la-figlia-di-scaroni-alla-consob-lente-che-vigila-sulleni...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
24/11/2011 15:01
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Rimborsi, benefit e sconti col fisco
Il Bengodi dei partiti Ogni anno costano 217 milioni. I tagli del 30 per cento? Diventati del 3 per cento. E poi l'indennità, diarie, trasporti quasi gratis e perfino i parrucchieri. Però a loro non basta maiE= mc al quadrato. Per una formuletta di tre lettere Einstein ha guadagnato il Nobel. Chissà che premio conquisterebbe uno scienziato capace di calcolare i rimborsi elettorali dei partiti italiani. Alla faccia della trasparenza. Ma quanto paghiamo ogni anno ai partiti? Nel 2011 circa 180 milioni (172 milioni per Camera, Senato, Europee e regionali cui vanno aggiunti amministrazioni a statuto speciale e referendum). Contando le voci accessorie si tocca quota 217, 5 milioni (senza contare esenzioni fiscali e sanatorie che vedremo). Un calcolo improbo (guarda l’infografica). Primo, i finanziamenti sono divisi in cinque fondi, uno per ogni elezione (Camera, Senato, Europee, Regionali e referendum). Secondo, la somma va divisa per anni e per consultazioni elettorali. Per dire, nel 2010 i partiti hanno preso i rimborsi per le politiche del 2006. Ma nel frattempo si erano svolte anche quelle del 2008. Gli uffici della Camera spiegano: “In alcuni anni i rimborsi si sommano”.

Per non parlar di mazzette. E la riduzione promessa del 30%? Quasi nulla: nel 2008 i rimborsi, sommando Camera e Senato (+ 10 % rispetto al 2011), Europee (+ 2 %) e regionali (-15 %) arrivano a 177 milioni. I tagli sarebbero del 3%. Ma in quell’anno si sovrapposero i rimborsi di due elezioni politiche, aggiungendo altri 37 milioni, per un totale di oltre 250. La politica è vorace. Qualche maligno, vedendo quanto entra nelle casse dei partiti dalle mazzette, sostiene che potrebbe bastare (ogni anno la corruzione ci costa 60 miliardi, quanto gli interessi sul debito). Ma oltre ai finanziamenti illeciti ci sono quelli legali. Qui forse i partiti contano sulla memoria corta degli italiani che nel referendum del 1993 avevano votato con il 90, 3 % contro il finanziamento pubblico. Ma è bastato cambiare il nome e i soldi sono rimasti. Anzi, sono aumentati a dismisura. Oggi si chiamano “rimborsi elettorali”.

I risultati sono paradossali, anche senza contare casi come quello ricordato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del partito che alle Europee del 2004 spese 16. 435 euro e ne ricavò un rimborso di 3 milioni. Dal 1998 al 2008 i “rimborsi” ai partiti sono aumentati del 1110 %. Dal 1976 al 2006 gli italiani hanno sborsato ai partiti oltre 3 miliardi. Meglio non fare confronti: ogni francese paga 1, 25 euro l’anno, gli spagnoli arrivano a 2, 58, mentre noi italiani sfioriamo quota 3, 62 (contando i contributi ai giornali). Per carità di patria bisognerebbe tacere degli Stati Uniti, dove i cittadini pagano mezzo euro e una volta ogni 4 anni (per le Presidenziali).

Non basta: in sedici anni lo Stato ha pagato 600 milioni di euro (37 milioni l’anno) per i cosiddetti giornali organi di partito. Decine di testate, alcune storiche come l’Unità, altre figlie di partiti nemici di Roma Ladrona, come la Padania o il Foglio della famiglia Berlusconi e di Denis Verdini. Ma si ricorda anche dei contributi al Campanile nuovo dell’Udeur di Clemente Mastella. Giornali con una buona diffusione, ma anche testate mai viste in edicola. Fin qui le voci (faticosamente) quantificabili.

Ci sono state altre entrate sparse in mille leggi e leggine. Prima c’era stata la storia del 4 per mille infilato nella dichiarazione dei redditi. Ma è stata eliminata. Anche perché aveva portato una miseria. Poi ecco una norma mimetizzata nel testo unico sulle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche: prevede un’esenzione fiscale del 19% sulle donazioni. In pratica su 100 euro di donazione 19 li mette lo Stato.

Questioni di famiglia. Con esiti sconcertanti, come ricordato da Rizzo e Stella: “Le aziende di Francesco Gaetano Caltagirone e della sua cerchia familiare hanno donato tra il 2008 e il 2010 all’Udc di Pier Ferdinando Casini, marito di Azzurra Caltagirone, 2 milioni e 700. 000 euro in 27 assegni da 100.000 euro”. Perché tante complicazioni? “Le donazioni ai partiti, fino a un tetto di 103. 000 euro, hanno appunto uno sconto fiscale del 19 per cento. Avessero fatto un assegno unico, con quel tetto, le aziende Caltagirone avrebbero potuto risparmiare 19. 000 euro. Facendone 27 ne hanno risparmiati 19. 000 per ciascuno. Risultato finale: uno sconto di 513. 000”. Niente di illegale, la colpa non è di Caltagirone. Ma se invece che al partito del genero avesse regalato la somma, per dire, a un’associazione per bambini malati avrebbe avuto sgravi fiscali 51 volte inferiori.

Così ai 220 milioni di euro ne vanno aggiunti altri. Impossibile dire quanti. Dovrebbero bastare. E invece no, perché poi a questo bisogna aggiungere stipendi e benefit di tanti esponenti di partito che sono parlamentari o consiglieri regionali. Un elenco che per gli inquilini di Montecitorio è lungo come un rosario: l’indennità mensile, dopo le ultime riduzioni, è pari a 5. 246, 97 euro netti (5. 007, 36 per chi svolge altri lavori). La diaria, riconosciuta a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma è di 3. 503, 11 euro. Il rimborso per spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori vale 3. 690 euro.

Pure i gettoni. Per i trasporti ogni deputato usufruisce di tessere per la libera circolazione (in Italia) autostradale, ferroviaria, marittima e aerea. Per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Roma-Fiumicino e Montecitorio, è previsto un rimborso trimestrale (da 3. 323, 70 a 3. 995, 10 euro). Il Parlamento non fornisce cellulari, ma ogni deputato dispone di 3098, 74 euro l’anno per le spese telefoniche. Ecco poi l’assegno di fine mandato e il vitalizio che a ogni legislatura si promette di eliminare. Infine parrucchieri (uno ogni 52 parlamentari), bar e ristoranti che costano come il dopolavoro ferroviario. Per non dire delle auto blu. Infine le sanatorie per l’affissione abusiva di manifesti elettorali. Un classico. Così un writer che scarabocchia un muro di Roma si becca 500 euro di multa. Mentre un partito che imbratta mezza Italia si vota la sanatoria che liquida le multe con mille euro.

da Il Fatto Quotidiano del 24 novembre 2011


www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/24/rimborsi-benefit-e-sconti-col-fisco-il-bengodi-dei-partiti...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
24/11/2011 20:46
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Vitalizi, il Senato li mette al bando
a partire dalla prossima legislatura
L'ha deciso il Consiglio di presidenza all'unanimità. "Non era possibile modificare il regime per i parlamentari già eletti", dice il questore Adragna, del Pd. "Avremmo toccato i diritti acquisiti". Nel rispetto della spending review, programmati anche nuovi tagli ai costi di funzionamento

ROMA - Assegni vitalizi addio, almeno per i senatori del futuro. Il Consiglio di presidenza di Palazzo Madama, con a capo Renato Schifani, ha deciso all'unanimità il superamento dell'attuale e contestatissimo sistema, che scatta dopo appena cinque anni di mandato. Ed è facile immaginare che una decisione analoga sarà presa, al più presto, anche dai colleghi della Camera (Fini si è già detto favorevole al taglio e l'ufficio di presidenza sta già lavorando alla proposta). La novità, però, riguarderà solo i parlamentari eletti a partire dalla prossima legislatura. Non saranno dunque toccati i diritti acquisiti.

La decisione rispecchia quanto già votato dall'aula del Senato nei mesi scorsi, con alcuni ordini del giorno. E si sono dichiarati a favore i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Ma non era possibile modificare anche il regime del vitalizio per i senatori ancora in carica o per gli ex, come buona parte dell'opinione pubblica auspicava? "Giuridicamente non eravamo competenti", risponde Benedetto Adragna, questore a Palazzo Madama eletto nelle liste del Pd, "si sarebbero intaccati diritti acquisiti. Comunque abbiamo dato un segnale, abbiamo avviato una serie di tagli che continueranno nei prossimi anni. Cerchiamo di essere in sintonia con il nuovo corso di sacrifici che dovrà affrontare il Paese".

Quale sistema sarà applicato ai senatori, d'ora in poi, per la pensione? "Non l'abbiamo ancora stabilito - spiega Adragna - perché di questo dovremo discutere con i nostri colleghi della Camera. Non è concepibile un regime diverso, per deputati e senatori. Ritengo comunque che bisognerà adeguarsi al sistema vigente per il resto dei cittadini, quindi quello contributivo, con la possibilità da parte degli onorevoli di scegliere una pensione integrativa. E anche l'età a partire dalla quale potrà essere percepito l'assegno dovrà essere identica a quello del resto della popolazione. Quindi, se salirà a 67 anni, dovrà adeguarsi anche per noi".

Quella sui vitalizi non è però l'unica decisione presa dal Consiglio di presidenza del Senato. Ci sono novità anche sul piano della spending review, per tagliare i costi di palazzo Madama. E' stata revocata una gara già indetta, quella per la tipografia, con l'obiettivo di risparmiare un milione e mezzo di euro riducendo il numero di copie attraverso la digitalizzazione.

Stessa logica anche per i servizi assicurativi, che riguardano sia i senatori che i dipendenti di palazzo Madama. "Avevamo previsto una spesa di 9 milioni e 300 mila euro per il triennio - spiega Adragna - valida per tutte le ipotesi del ramo danni e infortuni. Abbiamo deciso di fare una gara per il valore massimo di 6 milioni 450 mila euro. Ci siamo arrivati eliminando una serie di garanzie che facevano aumentare il prezzo".

"A giugno - continua Adragna - avevamo deciso di puntare a un taglio pari all'un per cento della spesa. Siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo senza intaccare i fondi di riserva, ma risparmiando sui costi dei servizi: dalla comunicazione istituzionale (oltre un milione in meno), ai servizi informatici (con un taglio di 700 mila euro), dalle spese sulla manutenzione (con una riduzione di 430 mila euro), ai beni materiali di consumo (247 mila euro), fino al ristorante".

Infine, è stata indetta una gara per i servizi bancari. "Finora - spiega Adragna - ci siamo affidati alla Bnl sia per la Tesoreria che per gli sportelli. Ora ci sarà una una regolare gara d'appalto, con Bankitalia come consulente". Infine, stop al turnover. "Nessuna nuova assunzione per tutto il resto della legislatura".


I
(24 novembre 2011)

www.repubblica.it/politica/2011/11/24/news/vitalizi_il_senato_li_mette_al_bando_l_ha_deciso_il_consiglio_di_presidenza-2...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
29/11/2011 20:00
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Bus scontati, la Casta si stanzia 400 mila euro. I Consumatori: “Inaccettabile” Dirigente o semplice impiegato del Comune di Bologna, l'abbonamento del trasporto pubblico anche per il 2012 verrà scontato da 300 a 115 euroGli sconti per la casta dei dipendenti pubblici a Bologna continuano. A Palazzo d’Accursio, al termine di una giornata difficile in cui la maggioranza che sorregge la giunta comunale di centrosinistra ha litigato e si è spaccata su tutto, l’unità è stata ritrovata proprio sulle agevolazioni nei trasporti per i dipendenti comunali. Una variazione di bilancio del valore di 400mila euro che permetterà ai dipendenti del Comune di Bologna, dirigenti od uscieri che siano, di ottenere abbonamenti personali a tariffa speciale sugli autobus Atc e sconti per gli abbonamenti Trenitalia.

L’ok è arrivato nel tardo pomeriggio, prima con l’approvazione della delibera stessa (21 Sì – sindaco, Pd, Sel e Idv ; 11 No – Pdl, Lega Nord, Bo2016 ; 2 astensioni – M5S ), poi con il voto per la sua immediata esecutività (23 Sì – sindaco, Pd, Sel, Idv, M5S – 11 No – Pdl, Lega Nord, Bo2016).

Così in tempi di crisi, il privilegio di un’agevolazione non da poco come questa si ripete. Stando a un’inchiesta diilfattoquotidiano.it dell’estate scorsa proprio sul tema costo dei trasporti per i dipendenti pubblici, era emerso dai dati forniti da Atc che gli abbonamenti in convenzione del trasporto pubblico con i dipendenti di Palazzo d’Accursio erano1.408.

Dall’inchiesta era emerso che i dipendenti comunali e i dirigenti (senza distinzione) possono usufruire di diversi pacchetti scontati oltre il 50%. L’abbonamento annuale urbano (il solito abbonamento a 300 euro prezzo pieno), per i lavoratori del Comune costa 115 euro.

Agevolazioni di questo tipo, sebbene non ancora rilevate con gli stessi termini di gravità, sono presenti in varie città di Italia: da Roma a Torino, passando per Pescara e Ferrara, perché trovano origine in un decreto del 1998 voluto dall’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, governo Prodi, varato per facilitare l’utilizzo di mezzi pubblici e diluire il traffico. Secondo Federconsumatori però, “è un privilegio che non trova alcuna ragion d’essere”. Il presidente, Rosario Trefiletti “sono forme corporative, sbagliate dal punto di vista sociale, culturale ed economico. Devono essere abolite, perché le uniche forme di agevolazioni devono essere legate al reddito o all’anzianità, non a chi opera nel settore. Ancor più se stiamo parlando del settore pubblico – e aggiunge – Condanno assolutamente questo tipo di provvedimenti e chi le applica, e non si spiega perché un dipendente, ancor più se un dirigente, debba poter usufruire di sconti rispetto ai normali cittadini”. Per Trefiletti, l’origine di queste facilitazione è da ricercare in una peculiarità italiana, il corporativismo: “ quello delle agevolazioni corporative, è un antico vezzo italico, molto presente in tutti i settori. Basti pensare alle Ferrovie italiane”. Come funziona nello specifico?

In pratica, se ipoteticamente il direttore generale del Comune, che guadagna 161 mila euro lordi annui, volesse un abbonamento Atc, lo pagherebbe (o forse lo ha già pagato e da ieri con certezza lo pagherà anche il prossimo anno) meno della metà di quello che pagherebbe un precario o 105 euro in meno rispetto a uno studente. Il Comune per il solo rimborso di questo abbonamento dimezzato che in 1.171 dipendenti hanno scelto, spende (direttamente o tramite Atc, di cui è principale azionista) 216 mila euro. Dopo la votazione di ieri lo stanziamento, a quanto pare, è quasi raddoppiato.

Anche se per avere prezzi ancor più scontati sarebbe meglio farsi assumere in Regione. Lì la convenzione tra Regione e Atc consente ad un dipendente di pagare un abbonamento annuale 38 euro e a un dirigente 50 euro, senza alcuna differenza di inquadramento né di reddito. Nel 2011 sono stati sottoscritti 1.900 gli abbonamenti per una cifra che sta tra i 475mila e i 486 mila euro.

Anche a Palazzo Malvezzi, sede la Provincia di Bologna, non se la passano male: 50 euro per i dipendenti semplici, senza però agevolazioni per i dirigenti.

Un sistema di sconti e di autoagevolazioni mai messo in discussione e che si ripete di anno in anno, proprio nei giorni in cui la questione del costo dei mezzi pubblici è stata al centro delle contestazioni dei precari di Santa Insolvenza, che nel corso di una fiaccolata per le vie del centro storico hanno impacchettato in segno di protesta i gabbiotti Atc di via Lame e del punto vendita di via Rizzoli: “oggi Atc ha deciso di imbarcarsi nel folle progetto del People Mover, milioni e milioni buttati via che però costringono tutti i cittadini a pagare biglietti dai costi altissimi”. Ad eccezion fatta, aggiungiamo noi, dei dipendenti pubblici di Comune, Provincia e Regione.


www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/28/agevolazioni-dipendenti-pubblici-trasporti-stanziati-altri-mila-euro...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
07/12/2011 00:19
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Costi della politica , i tagli che mancano
Ecco qualche consiglio su dove è possibile farli
Spese del Parlamento, vitalizi, enti locali, auto blu e scorte. E poi benefici fiscali per chi sostiene i partiti, auto e voli blu

Li vuole davvero, Mario Monti, dei suggerimenti sui tagli possibili ai costi esorbitanti della politica come ha detto in tivù l'altra sera? Sono tante le cose che si possono fare stando alla larga dal qualunquismo, dal populismo, dalla demagogia. Purché abbia chiaro che si metterà contro il più grande dei partiti italiani, il Pti: Partito Trasversale Ingordi.

Vuole partire dal Parlamento? Ci provò, quattro anni fa, Tommaso Padoa-Schioppa, che avrebbe voluto imporre un taglio delle spese correnti, cresciute tra il 2001 e il 2006, al di là dell'inflazione, del 15,2% a Montecitorio e addirittura del 38,8 a Palazzo Madama. Un'impennata inaccettabile. Tanto più che il Paese da anni non cresceva. E subito, nei corridoi delle Camere, si levò un grido di rivolta: «Il Parlamento è sovrano!». Fausto Bertinotti e Franco Marini presero carta e penna e risposero assai piccati che per «autonoma assunzione di responsabilità» avevano deciso di rinunciare ad aumentare i costi in linea con il Pil nominale, accontentandosi dell'inflazione programmata. Come fosse una rinuncia epocale. Risultato: dal 2006 al 2010 le spese correnti di Montecitorio, con la sinistra e con la destra, sono salite ancora del 12,6% per un ammontare di 149 milioni. Quelle di Palazzo Madama del 9,4%, per altri 46 e mezzo. Totale: 195 milioni in più. Negli anni della grande crisi.
Senza ledere alcuna autonomia, né rischiare ricorsi alla Corte Costituzionale, il governo ha in mano una leva: il potere di affamare la politica più insaziabile. E sarebbe un peccato se esitasse a usarla. A partire dal meccanismo che, ipocritamente, sostituì il finanziamento pubblico abolito dal referendum.

I rimborsi elettorali
Ogni cittadino italiano (senza considerare i contributi ai gruppi parlamentari o ai gruppi consiliari regionali) spende per mantenere i partiti circa 3 euro e 30 centesimi l'anno. È molto più rispetto alla Spagna (2 euro e 30) ma il doppio della Germania (1,61 euro, anche se lì vengono finanziate pure le fondazioni che ai partiti sono strettamente legate) e due volte e mezzo rispetto alla Francia (1,25 euro). Giulio Tremonti e Vittorio Grilli lo scorso anno ci avevano provato, a ridurre i rimborsi del 50%. Battaglia persa: il taglio fu ridotto al 30, poi al 20, poi al 10%. La motivazione? Inconfessabile: il rischio che con i partiti a corto di soldi la corruzione avrebbe ripreso vigore. La risposta è nella umiliante classifica di Transparency appena pubblicata, dove per onestà amministrativa siamo sessantanovesimi. Un'impennata del 1110% in un decennio dei rimborsi elettorali non ha alcuna giustificazione. È cambiato il mondo, rispetto all'anno scorso. Se il nuovo premier vuole può riprovarci, a tagliare lì. E vediamo chi avrà il fegato di votargli contro.

«Total disclosure»
Sulla trasparenza basterebbe copiare il Regno Unito. Introdurre cioè l'obbligo di pubblicare su Internet non solo i redditi e le situazioni patrimoniali di tutti i parlamentari e i titolari di cariche elettive, ma anche gli interessi economici che fanno capo a ciascuno. Identico obbligo di trasparenza dovrebbe valere per i contributi privati ai partiti e ai singoli politici, oggi consultabili solo da chi fisicamente si presenta a un certo sportello della Camera. Vanno messi tutti su Internet, cominciando con l'abolire il limite dei 50 mila euro introdotto nel 2006 al di sotto del quale quei versamenti possono restare occulti. In Inghilterra Tony Blair, lasciando Downing Street, fu costretto a mettere in vendita 16 dei 18 orologi (due li comprò a prezzo di mercato) che gli aveva regalato il Cavaliere: che da noi si possano segretamente donare 100 milioni di vecchie lire a un partito è assurdo. Va da sé che in parallelo, finalmente, dovrebbe essere imposto a tutti i segretari amministrativi l'obbligo di certificazione dei bilanci.

Benefici fiscali
Basta un decreto per spazzare via la più indecente delle leggine, quella che spiega come «le erogazioni liberali in denaro» a organizzazioni, enti, associazioni di assistenza si possono detrarre dalle imposte per il 19% fino a un tetto massimo di 2.065 euro e 83 centesimi. Tetto che per i finanziamenti politici è cinquanta volte più alto. Di qua un risparmio di 392 euro per chi regala 100.000 euro alla ricerca sulle cardiopatie infantili, di là uno di 19.000 per chi versa la stessa somma ad Alfano o Bersani. I risparmi non sarebbero molti? È una questione di principio. Ineludibile.

Bilanci
Tutti i rendiconti (dallo Stato a quelli degli enti locali) devono essere resi omogenei, confrontabili e leggibili. I capitoli di spesa devono essere chiari e trasparenti. Un esempio? Spulciando nel bilancio di palazzo Chigi il neoarrivato Mario Monti troverà 50 milioni di euro sotto la voce opaca «Fondo unico di presidenza»: che cosa sono? Spese di rappresentanza?

Dotazioni delle Camere
Secondo l'istituto Bruno Leoni per mantenere il Parlamento ogni cittadino italiano spende 26,33 euro, contro 13,60 di un francese, 10,19 di un britannico, 5,10 di un americano. Camera e Senato, mentre votano una manovra con tagli che spingono al pianto il ministro Elsa Fornero, continuano a chiedere allo Stato sempre gli stessi soldi fino al 2014? Se davvero non si può, come dicono, interferire nella loro autonomia, il governo potrebbe tuttavia ridurre la loro dotazione a carico del Tesoro. Tanto più che a Montecitorio e Palazzo Madama c'è un tesoretto accumulato fra avanzi di amministrazione e fondi «di solidarietà» che si aggira sui 700 milioni di euro. Con la crisi che c'è, rompano quel loro «salvadanaio».

Palazzo Chigi
La presidenza del Consiglio è arrivata a occupare 20 sedi in un progressivo gigantismo che ha ridicolizzato le promesse di asciugare l'apparato che oggi occupa circa 4.600 persone: più del triplo del Cabinet office, la corrispondente struttura del Regno Unito. Per farlo, però, è fondamentale una norma che riporti la presidenza del Consiglio sotto la Ragioneria generale dello Stato, com'era fino al 1999 (senza rischi né umiliazioni per la democrazia...) prima che D'Alema rivendicasse l'autonomia finanziaria.

Vitalizi e pensioni
Stravolte pesantemente le pensioni di alcuni milioni di italiani, è essenziale un segnale dall'alto netto. Quello arrivato finora, che fa scattare il contributivo dal 2012 per i vitalizi parlamentari, è insufficiente. E anche qui è assai discutibile che il governo sia impossibilitato a intervenire. Potrebbe infatti decidere un prelievo eccezionale sugli altri redditi dei titolari di vitalizi parlamentari o regionali, più elevato per coloro che ancora non hanno raggiunto l'età per la pensione di vecchiaia. Sono diritti acquisiti? Lo erano anche quelli dei cittadini che si sono visti «cambiare il contratto» che avevano firmato con lo Stato quando erano entrati nel mondo del lavoro.
Di più: oggi deputati e senatori che durante il mandato istituzionale intendono continuare ad accumulare anche la pensione, possono farlo versando soltanto il 9% della retribuzione relativa alla loro vecchia attività: magistrato, professore, medico, dirigente d'azienda... Il restante 24% è un contributo figurativo che grava sulle casse dell'ente di previdenza. Cioè quasi sempre dello Stato. Porre l'intero 33% a carico del beneficiario sarebbe una misura di giustizia elementare.

Regioni
È dimostrato che un consiglio regionale come quello della Lombardia e dell'Emilia-Romagna possono funzionare con un costo di circa 8 euro a cittadino. Molto dignitosamente. Applicando questo standard a tutte le regioni (alcune arrivano a costare procapite 50 volte di più) si potrebbero risparmiare ogni anno 606 milioni di euro. Lo Stato non può intervenire sulle autonomie regionali, pena l'immancabile causa alla Consulta? Il governo potrebbe aggirare l'ostacolo decretando un taglio ai trasferimenti alle Regioni corrispondente alla differenza fra gli 8 euro procapite e la spesa attuale.

Gettoni di presenza
Equiparare i livelli dei gettoni di presenza nei consigli comunali, spesso diversissimi da città a città nella stessa Regione (45,90 euro a Padova, 92 a Treviso, 160 a Verona) è urgentissimo. Si fissi un parametro basato sulla popolazione e fine. Altrettanto urgente è frenare gli abusi resi oggi possibili dalle leggi sugli enti locali. Un consigliere comunale di Palermo, come abbiamo raccontato, può arrivare a intascare 9 mila euro al mese. Ricordate? Per legge il Comune deve compensare il datore di lavoro per le ore perdute dal consigliere a causa degli impegni istituzionali. Capita quindi che qualche consigliere, in precedenza disoccupato o con una retribuzione modesta, si faccia assumere appena eletto da un'impresa di famiglia con uno stipendio stratosferico: il Comune non ha scampo, deve pagare all'azienda «amica» i «danni» per quel consigliere perennemente impegnato in municipio. Una pratica molto diffusa, da stroncare: non c'è posto al mondo dove un consigliere comunale, in gettoni e rimborsi vari, possa guadagnare 10.000 euro al mese.

Auto blu
Lo Stato vuole avviare un grande piano di dismissioni del patrimonio edilizio pubblico? Bene. Ma perché non fare la stessa cosa con lo sterminato parco di auto blu, mettendole in vendita? Ne guadagnerebbe anche l'immagine della politica. Si dirà che il maggior numero di auto blu è in periferia, e su quelle il governo non può intervenire. Fissi degli standard, basati sulla popolazione e la chiuda lì.

Voli blu
In Inghilterra tutti i voli di Stato sono sul web: aeroporto di partenza, di arrivo, chi c'era a bordo, dove andava e perché aveva quel tale ospite con nome e cognome. La sola trasparenza, possiamo scommettere, ridurrebbe moltissimo decolli e atterraggi. Con risparmi conseguenti.

Scorte
Che per Roma girino ogni giorno otto auto di scorta a politici e magistrati contro una sola gazzella dei carabinieri o volante della polizia impegnata sul fronte della sicurezza dei cittadini è inaccettabile. Il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri lo sa. E sa quanto i cittadini aspettino un segnale: più auto per la sicurezza, meno per le scorte.

Dirigenti
Il governo Prodi aveva introdotto il tetto alle retribuzioni dei dirigenti pubblici intorno ai 289 mila euro lordi l'anno. Una norma che aveva fatto a lungo discutere finché con Berlusconi era stata sostanzialmente svuotata. Non sarebbe il caso, visti i tempi, di ripristinare il tetto? Vietando, soprattutto, cumuli inaccettabili come quelli di cui godono alcuni magistrati i quali incassano lauti stipendi da componenti di authority continuando a percepire la retribuzione da magistrato «fuori ruolo»?

Conflitti d'interessi
L'Italia è il Paese dei conflitti d'interessi e intervenire a tutto campo è laborioso. Ma alcune cose si possono fare subito. Perché non stabilire che per i consigli delle società pubbliche (tutte, senza esclusione) non ci possano essere più di tre amministratori? E perché non vietare per almeno cinque anni a chi ha avuto un incarico elettivo o di governo di diventare consigliere? Sparirebbero d'incanto molte delle circa 7 mila società controllate da enti locali e Stato. Almeno quelle che servono solo a dare una poltrona ai trombati. I risparmi? Considerevoli: gli amministratori e gli alti dirigenti di quelle società sono 38 mila. Ancora più urgente, però, è fissare un paletto insuperabile: chi governa ha il diritto di scegliere gli amministratori delle società pubbliche o miste. Ma deve anche rispondere dei bilanci che essi presentano: basta con i buchi colossali che emergono da bilanci «distrattamente» approvati nella speranza che poi, a tappare la voragine, arrivi lo Stato.

Sergio Rizzo
e Gian Antonio Stella

www.corriere.it/economia/11_dicembre_06/costi-della-politica-i-tagli-che-mancano-sergio-rizzo-gian-antonio-stella_37b8e9c4-1fd7-11e1-9592-9a10bb8687...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
07/12/2011 22:36
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Mario Staderini è riuscito a testimoniare con dei video come le strutture adibite a ospitare esclusivamente sacerdoti o studenti universitari funzionano come degli hotel e sono aperti a tutti. Nel 2005 l’Anci aveva stimato in più di 400 milioni di euro il mancato introito per queste esenzioni, cifra che, alla luce della rivalutazione del 60% degli estimi catastali, sfiora oggi i 700 milioni di euro
Far pagare alla Chiesa l’Ici sugli immobili che non sono utilizzati a fini di culto ma per attività economiche. Contro i privilegi del Vaticano scampati alla manovra lacrime e sangue di Mario Monti, si scaglia un numero sempre maggiore di forze politiche. E se i Radicali e alcuni deputati di Futuro e Libertà invocano un intervento, Gabriella Giammanco del Pdl ha compiuto un passo in più, proponendo direttamente al ministro Elsa Fornero l’introduzione dell’Ici vaticana. Anche il coordinatore del partito, Denis Verdini, si è detto d’accordo a rivedere i privilegi riconosciuti alle proprietà della Chiesa. Mentre Antonio di Pietro annuncia che presenterà “un emendamento per eliminare questa ingiustizia”, ha detto il leader dell’Idv. “Sarebbe giusto far pagare le tasse alla Chiesa per gli immobili che adopera non a scopo di culto, ma per fini commerciali”.

L’ipotesi di lasciare l’esenzione solo sui locali adibiti alle attività di culto, beneficenza e carità è condivisa anche dal leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. “I locali che sono adibiti ad attività commerciali è giusto che siano tassati”. Come distinguerli e individuarli? I Radicali sono entrati in possesso dell’elenco dei beni di proprietà della Chiesa, scoprendo che i convitti riservati a ospitare sacerdoti in realtà sono dei veri e propri alberghi. Mario Staderini, segretario dei Radicali, è riuscito a testimoniare con alcuni video come queste strutture destinate a esclusivo utilizzo della Chiesa siano in realtà aperti a tutti: una camera può essere affittata anche per dei mesi. Infatti grazie alle norme attuali, un pensionato religioso che fa pagare una retta di 600 euro al mese ad uno studente per una camera oggi non paga l’Ici. Lo stesso dicasi per le case per ferie che si comportano di fatto come degli alberghi. Nel 2005 l’Anci aveva stimato in più di 400 milioni di euro il mancato introito per queste esenzioni, cifra che, alla luce della rivalutazione del 60% degli estimi catastali, sfiora oggi i 700 milioni di euro.


Inoltre si configura, secondo le testimonianze raccolte dai Radicali,una grande area di elusione, che si verifica ogni volta che quello stesso pensionato accoglie oltre agli studenti anche turisti e lavoratori, oppure quando una struttura riservata al clero affitta camere anche a privati. Solo a Roma il sindaco Gianni Alemanno ha recuperato in un anno oltre 10 milioni di euro di Ici non pagata grazie ad alcuni accertamenti effettuati.


La stampa cattolica sta difendendo le esenzioni scagliandosi in particolare contro il sito www.vaticanopagatu.org e negando che la Chiesa goda di privilegi così diffusi “come si vuol far credere” in queste “campagne col trucco”, titola Famiglia Cristiana. Immediata (e ironica) la risposta dei gestori del sito: “Davvero una storica testata come Famiglia cristiana può pensare che gli italiani vogliono tagliare i privilegi vaticani a causa della campagna della nostra pagina facebook? Se 158 mila persone aderiscono alla nostra richiesta, cioè che anche il Vaticano paghi i sacrifici della manovra finanziaria, è perchè tanta gente vive tutti i giorni, nelle proprie città, gli infiniti favori e i privilegi di cui godono gli enti ecclesiastici. Piuttosto che pensare a noi, farebbero bene a prendere ad esempio dalla Chiesa ortodossa, che in Grecia ha detto di essere pronta a cedere parte del suo vasto patrimonio immobiliare per aiutare il paese a contrastare la grave crisi economica. Noi invece gli chiediamo solo di pagare le tasse”.

Anche il Radicale Staderini ha ribattuto a Famiglia Cristiana. “Ora che non sono solo i Radicali a chiedere l’abolizione dell’esenzione Ici per le attività commerciali degli enti ecclesiastici, dalla stampa cattolica tornano anatemi e fatwe dopo che questa estate mi avevano persino dato del massone”, commenta Staderini. “È inutile che il direttore di Avvenire e Famiglia Cristiana ripetano che vogliamo tagliare i fondi alle parrocchie o alla Caritas. Al contrario, chiediamo l’eliminazione dei privilegi fiscali garantiti alle strutture ecclesiastiche che fanno business, ad esempio nel settore turistico o ricettivo”.

www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/07/pdl-fli-paghi-anche-chiesa-radicali-scoprono-convitti-usati-come-alberghi...
[IMG][/IMG]
OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 13.446
Post: 2.930
Registrato il: 26/06/2003
Registrato il: 23/10/2011
Sesso: Maschile
10/12/2011 20:26
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

Non ci provino, a distinguere ancora figli e figliastri. Non ci provino, a toccare le pensioni degli italiani senza toccare prima (prima!) quelle dei dipendenti dei palazzi della politica o della Regione Sicilia. Un cittadino non può accettare di andare in pensione un paio di decenni dopo chi ancora può lasciare con 20 anni d'anzianità. Non solo non sarebbe equo ma, di questi tempi, sarebbe un insulto.
Che esistono qua e là staterelli dai privilegi inaccettabili non lo dicono i soliti bastian contrari. Lo dice, per la Sicilia, lo stesso procuratore generale della Corte dei Conti isolana, Giovanni Coppola, nell'ultima relazione: «L'opinione pubblica non comprende perché in Sicilia i dipendenti regionali possano andare in pensione con soli 25 anni di contribuzioni, o addirittura con 20 anni se donne, solo per il fatto di avere un parente gravemente disabile, mentre lo stesso non avviene nel resto d'Italia».

Errore: anche meno. Come nel caso dell'ispettore capo dei forestali Totò Barbitta di Galati Mamertino, che riscattando dei contributi precedenti, il 1 gennaio 2009 (ma da allora la legge non è cambiata) se n'è andato quarantacinquenne, dopo 16 anni, 10 mesi e 30 giorni. La previdenza, visto «il lavoro usurante», regala ai forestali siciliani un anno ogni cinque di servizio. Diceva di dover accudire un parente affetto da grave handicap: avuto il vitalizio, è partito per la Germania. Stracciato comunque, per età, dal record di Giovannella Scifo, una dipendente dell'ufficio collocamento di Modica (Ragusa) in quiescenza a 40 anni. «Non le pare esagerato?», le ha chiesto Antonio Rossitto di « Panorama». E lei, serafica: «Non le posso rispondere. C'è la privacy».

Fatto sta che, spiega la Corte dei conti, su 751 «regionali» andati nel 2010 in pensione 297 hanno lasciato in anticipo «rispetto all'ordinaria anzianità anagrafica e/o contributiva e, tra questi, ben 286 con le agevolazioni della legge 104/1992 che tanto ha fatto discutere per l'incomprensibile disallineamento rispetto alla normativa nazionale».

Fatto sta che, spiegava giorni fa sul Giornale di Sicilia Giacinto Pipitone, se è vero che nel 2004 la riforma Dini passò, con nove anni di ritardo, anche per i dipendenti pubblici siciliani, l'adeguamento non è mai stato varato per chi ha avuto la «fortuna» di essere assunto dalla Regione. Basti dire che «chi a livello statale ha ancora oggi quote di pensione da incassare col retributivo, fa il calcolo sulla media delle buste paga degli ultimi anni di servizio. I regionali calcolano invece la loro quota di retributivo sulla base dell'ultima busta paga incassata al momento di lasciare gli uffici: sfruttano quindi fino all'ultimo gli aumenti e i vari scatti di carriera». Conclusione? Risposta dei giudici contabili: «Nel 2010 i contributi versati sono diminuiti del 17% riuscendo a coprire appena il 32,2% della spesa».
Non basta: «lo stesso sistema più vantaggioso si applica anche sul calcolo della buonuscita. Per la maggior parte dei regionali viene calcolata moltiplicando il valore dell'ultimo stipendio». Risultato? Scrive Antonio Fraschilla: i direttori generali «vanno in pensione incassando un assegno medio di 420.133 euro, come certificato dalla Corte dei Conti, anche se hanno ricoperto l'incarico solo negli ultimi mesi della loro carriera».

Lo ricordino, Mario Monti ed Elsa Fornero: se non obbligano la Sicilia a eliminare immediatamente questi bubboni ogni loro sforzo per spiegare che la crisi planetaria è così grave da obbligare a pesantissimi sacrifici sarà inutile. Peggio: grottesco. Vale per i privilegi dei dipendenti regionali siculi, vale per quelli degli organi istituzionali.

Certo, al Senato non godono più dello stupefacente dono che fino a qualche anno fa veniva fatto da ogni presidente che, andandosene, regalava loro, a spese dei cittadini, due anni di anzianità. Ma ci sono ancora, a Palazzo Madama, persone che, assunte prima del 1998, possono andare in pensione prima di tutti gli altri italiani, a cinquant'anni o poco più, godendo anche di quella regalia. È giusto? È un diritto acquisito e quindi intoccabile anche quello?

È accettabile che, 16 anni dopo la riforma Dini, nonostante i ritocchi, non ci sia ancora un dipendente del Senato (quelli arrivati dopo il 2007 possono andarsene con qualche penalità ancora a 57 anni) che accantoni la pensione col sistema contributivo? Così risulta: dato che dal 2007 non è entrato alcuno, i primi soggetti al «contributivo» (peraltro maggiorato con un «aiutino» intorno al 18%) dovrebbero essere sette funzionari in arrivo nel 2012. Come possono capire, gli italiani, che quei fortunati godano di 15 mensilità calcolate sul 90% dell'ultima retribuzione e trasmesse intatte al 90% alla vedova se ha figli minori di 21 anni? Ma non basta ancora: nonostante le polemiche seguite alle denunce del passato come quella dell'«Espresso» che quattro anni fa rivelò che al Senato uno stenografo arrivava a 254 mila euro l'anno e un barbiere a 133 mila, le retribuzioni sono cresciute ancora dal 2006, in questi anni neri, del 19,1%. Arrivando a un lordo medio pro capite di 137.525 euro. Centodiecimila più di un dipendente medio italiano, il quadruplo di un addetto della Camera inglese (38.952) e addirittura 19 mila più della busta paga dei 21 collaboratori principali di Obama, che dalla consigliera diplomatica Valerie Jarrett al capo dello staff William Daley, prendono al massimo (trasparenza totale: gli stipendi dei dipendenti, nome per nome, sono sul sito della Casa Bianca) 118.500 euro. Lordi.

Sia chiaro: Palazzo Madama può contare su collaboratori, dai vertici fino agli operai, di eccellenza. Sui quali sarebbe ingiusto maramaldeggiare demagogicamente. Loro stessi, però, discutendo del loro futuro con l'apposita commissione presieduta da Rosi Mauro (sindacati di là, una sindacalista di qua) non possono non rendersene conto: di questi tempi, la loro trincea con tre liquidazioni (una interna, una dell'Inpdap, una del «Conto assicurativo individuale») e le due pensioni (una del Senato e ora ancora dell'Inpdap) è indifendibile. Tanto più che anche nel loro caso, il peso delle pensioni sui bilanci è cresciuto in modo spropositato.

Vale per Palazzo Madama, vale per il Quirinale dove troppo tardi la presidenza ha introdotto «misure dissuasive» con la previsione di «significative riduzioni» dei trattamenti pensionistici come un limite per l'anzianità «a regime» (campa cavallo...) di 60 anni con 35 di contributi (da leccarsi i baffi...), vale per Montecitorio, dove lo stipendio lordo è poco più basso che al Senato: 131.586 euro. Con tutto ciò che ne consegue sulle pensioni. Non sarà facile rompere certe incrostazioni. Verissimo. Ma è troppo facile far la faccia dura solo con i piccoli...

Gian Antonio Stella
10 dicembre 2011 | 12:32

www.corriere.it/economia/11_dicembre_10/pensioni-i-privilegi-nei-palazzi-del-potere-gian-antonio-stella_bb532eda-22f6-11e1-bcb9-01ae5ba751...
[IMG][/IMG]
Pagina precedente | 1 2 3 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:54. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com